In giro per le sette chiese


L’altare della reposizione
della mia parrocchia,
lo scorso anno
C’è un’usanza, tra quelle della Settimana Santa che inizia proprio oggi, che mi è particolarmente cara. È quella del “giro delle sette chiese”, le cui radici affondano nel Giubileo del 1300. A partire da metà del 1500, però, ha avuto il carattere di alternativa al Carnevale, grazie all’apporto di san Filippo Neri.

Un po’ di storia

Il sito della parrocchia di Santa Maria in Vallicella a Roma, cuore della Congregazione dell’Oratorio da lui fondata, riporta che il primo pellegrinaggio ufficiale si svolse il 25 febbraio 1552, Giovedì Grasso, e fu diviso in due parti. Oggi i padri dell’Oratorio hanno rinnovato quest’usanza e la compiono di notte, con una buona partecipazione di fedeli, a ridosso della memoria liturgica di san Filippo, il 26 maggio, e a settembre (ma quest’anno il secondo pellegrinaggio non c’è).
Da piccola, però, sentivo parlare, più che di “giro delle sette chiese”, di “struscio”, effettuato a partire dal termine della Messa “nella Cena del Signore”, la sera del Giovedì Santo. A Napoli, infatti, questa pratica è nota con questo nome.
L’etimologia viene fatta derivare, leggo qui, da
un bando del Settecento quando a Napoli durante la Settimana Santa fu imposto il divieto di circolare con cavalli e carri, divieto successivamente confinato alla sola via Toledo.
I fedeli, che in gran numero osservavano il rito dei sepolcri, si trovavano quindi obbligati a percorrere a piedi la principale arteria cittadina.
Per il gran numero di persone, il passeggio era lento e si procedeva quindi strusciando (strisciando) i piedi lentamente sul selciato ed anche le stoffe ancora rigide dei vestiti nuovi indossati per l’occasione, strusciavano tra di loro producendo un suono sommesso.
Come il modo di dire “fare il giro delle sette chiese” ha assunto un valore più godereccio, oltre a quello di “girare senza senso” (l’opposto del senso reale!), così oggi per “struscio” s’intende il passeggiare per le vie del centro città, specie quelle più famose per i negozi di moda, come appunto via Toledo a Napoli.
Mia madre e mia zia, che da giovani lavoravano come sarte, mi hanno poi raccontato che dovevano obbligatoriamente terminare il loro lavoro in tempo per il Giovedì Santo, così i loro clienti potevano mettersi in mostra.

La mia esperienza

Ero negli anni del liceo, quando ho saputo che nel mio oratorio si organizzava qualcosa di simile, ma per il mattino del Sabato Santo. Finché facevo Pasqua a Napoli non potevo parteciparvi, ma da quando ho iniziato a restare a casa per quelle festività, sono stata assidua frequentatrice.
Anzi, ho finito col diventare l’organizzatrice del percorso e con l’impaginare un pieghevole con una traccia di preghiera da usare per ogni tappa. In questo modo, ho potuto scoprire alcune chiese, nel centro di Milano, che sono poi diventate tra i miei luoghi di preghiera preferiti.
La struttura base era così:
-      ingresso in chiesa con genuflessione in direzione dell’altare della reposizione, ossia il luogo dove le particole consacrate vengono poste dopo la Messa del Giovedì Santo (nella tradizione ambrosiana è impropriamente noto come “scurolo”: di solito, infatti, è pieno di luci e fiori);
-      sosta all’altare della reposizione;
-      meditazione su un brano del Vangelo tratto dai racconti della Passione;
-      preghiere d’intercessione, preghiera comune o silenzio (a seconda di come indicato sul foglietto);
-      Padre nostro;
-      bacio al Crocifisso e uscita dalla chiesa.
In molte occasioni mi è capitato d’incontrare sacerdoti che conosco, ben felici che con me ci fossero altre persone, alle quali mostravano le bellezze artistiche del luogo. Lo scorso anno le parti si sono invertite: mentre ero di turno alla cappella di Sant’Aquilino come ogni venerdì, è arrivato un prete che fino a settembre era nel mio Decanato, insieme ai bambini della sua parrocchia.
Dove abito adesso non si usa, o meglio, avevo provato a introdurre l’usanza, ma con scarso risultato. So però di altri oratori di Milano dove i sacerdoti e gli educatori accompagnano bambini e adolescenti a piedi, specie nel centro città, o di altri ancora, in tutto il territorio della diocesi, dove il percorso viene svolto in bicicletta, specie tra parrocchie che fanno parte di una stessa Comunità Pastorale. Si può fare anche da soli, ma, come ogni pellegrinaggio, è meglio in compagnia, purché non ci si lasci distrarre troppo.

Qualche traccia da cui prendere spunto

Non esistono sussidi ufficiali per compiere il giro delle sette chiese in maniera meditativa, ma attingendo a quella miniera di materiale pastorale che è Qumran2.net sono riuscita a trovarne alcuni, che si possono modificare inserendo i nomi delle chiese visitate. Questo, per esempio, sfrutta l’impianto di Facebook, mentre questo, più sobrio, penso sia più indicato per adulti e giovani.
Un altro, invece, è di chiaro impianto ambrosiano, perché si rifà al tema della proposta per gli oratori del 2008 delle mie parti, che era «Dimmi perché». Le tappe, però, sono cinque, non sette. Penso poi che non sarebbe male abbinare a ogni sosta la meditazione su una delle ultime sette parole di Gesù in croce, come suggerito qui.
Infine, questo è lo schema che usavo io nel mio vecchio oratorio: in versione semplice e con preghiere di san Carlo Borromeo. Ignoro quale sia la fonte originaria, perché l’ho sempre visto impaginato come pieghevole e in fotocopia. Nel corso degli anni l’ho cambiato qua e là, aggiornando i brani di Vangelo alla traduzione CEI 2008 e operando qualche miglioria grafica (salvo qualche pasticcio).
Sarei molto curiosa di sapere se anche da voi si fa il giro delle sette chiese e come. Fatemelo sapere ai contatti che trovate nella parte destra di questa pagina. Intanto, buona Settimana Santa!

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