Tre domande a… don Alberto Vitali: monsignor Romero ci parla ancora


La copertina del libro di don Vitali su Romero
Chi è?



Don Alberto Vitali, ordinato sacerdote nel 1988, è attualmente responsabile della Pastorale dei Migranti della Diocesi di Milano. È anche parroco della parrocchia di Santo Stefano Maggiore a Milano, dal 2015 parrocchia personale dei migranti, e delegato arcivescovile delle ACLI. Ancor prima, ha avuto incarichi in Pax Christi Italia.

Nel 2010 ha dato alle stampe, per Paoline Editoriale Libri, Óscar A. Romero – Pastore di agnelli e di lupi, che nel 2017 ha visto una nuova edizione, riveduta e corretta.



Cosa c’entra con me?



Ho incontrato per la prima volta don Alberto in piazza Santo Stefano, durante un’uscita compresa in uno dei corsi per operatori pastorali della comunicazione. Ho scambiato qualche parola con lui, pensando che prima o poi mi sarebbe piaciuto intervistarlo: sapevo, infatti, che era autore di una delle biografie più recenti di monsignor Romero.

Appena ho saputo della canonizzazione di quest’ultimo, ho pensato che l’occasione era arrivata. Se non avessi saputo che l’altroieri, al Centro Missionario del PIME di Milano, si sarebbe svolta una serata speciale dedicata a monsignor Romero, credo che gli avrei scritto un’e-mail. Sono quindi andata al PIME e, dopo aver concesso che i giornalisti veri gli ponessero le loro domande, gli ho rivolto le mie.

 

Quando e come ha sentito parlare per la prima volta di monsignor Romero?

Era il 26 marzo 1980. La notizia della sua morte arrivò in Italia il giorno dopo l’accaduto, ma il don del mio oratorio ne parlò a noi giovani due giorni dopo il suo martirio. A un anno di distanza, uscì il primo libro, che era una selezione di alcuni scritti. Sempre il don del mio oratorio me lo ha prestato: da lì è nata la mia passione e la mia devozione per Romero.

Nel corso del tempo, la sua conoscenza di Monsignore le è servita per crescere come credente?

Certo, come credente e come sacerdote. Se adesso sono responsabile della Pastorale dei Migranti a Milano è per tutta una serie di concause. Prima, in Pax Christi Italia, seguivo le Chiese latinoamericane e grazie a questo sono entrato in contatto con El Salvador. Infine, la Diocesi di Milano mi ha chiamato a questo servizio.

Il percorso per dimostrare la sua santità, secondo lei, ha eliminato tutte le perplessità sul suo conto o crede che qualcuno continuerà a martirizzarlo in maniera postuma, com’è accaduto in passato?

Quelli non mancheranno mai. Quel che conta è che il processo ha fugato tutti i dubbi, altrimenti la Chiesa non l’avrebbe proclamato Santo. Il suo popolo ha intuito la sua santità prima ancora di alcuni dei suoi confratelli vescovi e di alcuni sacerdoti: era più libero da pregiudizi e interessi. Alcuni esponenti della Curia romana, ad esempio, avevano degli interessi da difendere. Il popolo, invece, da difendere aveva solo la propria vita.

Il motto episcopale di monsignor Romero era Sentire cum Ecclesia. Anche nella sua fedeltà alla Chiesa può quindi essere un modello per noi, sebbene, quando l’aveva scelto, la sua concezione di Chiesa fosse quella della Chiesa gerarchica. Poco per volta ha capito, come insegna il Concilio Vaticano II, che la Chiesa è il popolo di Dio. Lui è stato martire, certo, ma perché era vescovo di un popolo martire, che in tutto ha contato ottantamila tra assassinati e scomparsi.

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