Laura Vincenzi: come «essere all’altezza dell’Amore»


Guido, un gattino e Laura in una foto del 18 novembre 1983 (per gentile concessione degli Amici di Laura)
Foto scelta non a caso: il 1° marzo 1986 lei scrisse a lui che dovevano essere
come dei micetti in braccio a Dio Padre,
«sicuri poiché da Lui e per Lui non abbiamo nulla da temere»
Chi è?

Laura Vincenzi nacque a Ferrara il 6 giugno 1963, seconda dei quattro figli di Odo Vincenzi e Luisa Deserti. Trascorse l’infanzia a Tresigallo, paese dove risiedevano i suoi genitori e dove frequentò le scuole elementari e le medie. Ricevette i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana nella parrocchia di Sant’Apollinare a Tresigallo, dove s’inserì anche nell’Azione Cattolica Ragazzi, di cui in seguito divenne educatrice. Frequentò poi il liceo linguistico a Ferrara e s’iscrisse, nel 1982, alla facoltà di Lingue dell’Università di Bologna.
Alla ricerca di nuove esperienze per crescere nello spirito, nel luglio 1982 si recò con la sorella Silvia all’eremo di Spello, per una settimana di ritiro. Lì conobbe Guido Boffi, di Roma, con cui fece amicizia. Col tempo, però, comprese di essere innamorata di lui, ricambiata: si fidanzarono il 27 agosto 1983. Cominciarono quindi a frequentarsi quando possibile, a scriversi e a vivere momenti intensi.
Nell’estate 1983, di ritorno da un campo-scuola, Laura cominciò ad avere dolori al piede sinistro. Successivi accertamenti dimostrarono che si trattava di un sinovialsarcoma a predominanza fibrosa monofasica. La ragazza reagì cercando di mantenersi fedele a un ritmo di vita normale, senza cedere alla depressione, o anche Guido ne avrebbe risentito.
Nonostante un ciclo di terapie, il 24 febbraio 1986 Laura subì l’amputazione della gamba sinistra. Continuò, per quanto riusciva, a seguire gli impegni universitari e parrocchiali, contando sull’amore del fidanzato e sull’affetto di quanti le volevano bene, in famiglia e al di fuori. Morì in casa propria, il 4 aprile 1987; non aveva ancora ventiquattro anni.
Il processo diocesano per la sua causa di beatificazione, volto a indagare l’eroicità delle sue virtù, è iniziato a Ferrara il 7 dicembre 2016. La tomba di Laura si trova invece nel cimitero di Tresigallo.

Cosa c’entra con me?

Penso di non sbagliarmi nell’affermare che la prima volta che ho letto il nome di Laura Vincenzi sia stato nel primo ed esauritissimo volume di Cerco fatti di Vangelo, di Luigi Accattoli. Mi commosse, ma solo in modo superficiale.
Mi riaffiorò alla memoria quando, sul blog di Accattoli, ho cominciato a leggere commenti da parte di un utente circa l’imminente avvio della sua causa di beatificazione. Ho provato a fare ricerche online, ma solo per capitare di nuovo su una delle pagine dei “fatti di Vangelo” del vaticanista in pensione. A quel punto ho riconosciuto che poteva essere interessante approfondire la sua storia e trarne un profilo per santiebeati. Le uniche fonti di prima mano di cui disponevo erano le pagine del libro Lettere di una fidanzata presenti su Google Books.
Dall’aggiornamento presente alla fine della pagina già citata ho appreso dell’esistenza di una pagina Facebook. Ho mandato un messaggio il 9 novembre 2016, ricevendo una risposta molto positiva il 20 gennaio 2017, quando il processo diocesano era iniziato già da un mese. Il tono con cui l’amministratore della pagina mi rispose m’infiammò subito: non resisto quando sento qualcuno dichiarare che la santità di qualcuno è di tutti e per tutti e quando vedo che una storia esce dai propri confini parrocchiali o diocesani.
Il 26 febbraio dello stesso anno ho ricevuto altro materiale a cui attingere, soprattutto per gli anni precedenti al fidanzamento: la prima biografia uscita nel 1988, l’edizione delle lettere del 1990 e un profilo più breve. Dopo qualche giorno di lavorazione, il mio articolo era finito; l’ho quindi mandato per posta elettronica il 7 marzo. Il 15 aprile ho ricevuto altre integrazioni, ma su santiebeati è comparso solo il 25 agosto 2017, perché prima avevo avuto problemi col mio computer (però su La Croce è stato pubblicato il 22 aprile).
La lettura, quella volta, non mi lasciò indifferente. Provai tenerezza, commozione, ammirazione per la tenacia di Laura. Mi venne anche da pensare che mi sarebbe piaciuto, un giorno, innamorarmi così di qualcuno.
Pure il modo con cui lei visse la condizione di malattia mi ha fatto riflettere: evidentemente, anche lei si considerava una “sana malata”, che non voleva essere tenuta all’oscuro delle terapie e dei rischi cui poteva andare incontro. Vedere che si era fidata dei suggerimenti di un erborista per seguire una dieta che avrebbe dovuto depurarle l’organismo, ma che invece mi sembra aver avuto effetti contrari, mi ha ricordato alcuni fatti di cronaca. Più che per guarire, in fondo, penso che l’abbia assunta per disciplinarsi nel cibo, come già aveva fatto nell’uso del tempo.
Seppur consapevole che Laura abbia avuto la sua storia originale, mi è venuto naturale metterla a confronto con altri due personaggi. Anzitutto, con Maria Cristina Cella Mocellin: erano più o meno coetanee e avevano una concezione simile dell’amore cristiano, grazie alla quale sono in cammino verso gli altari. Tuttavia, Cristina è diventata sposa e madre e, ancor prima, aveva pensato a lungo alla consacrazione religiosa. Non mi risulta, invece, che Laura abbia mai considerato quella scelta vocazionale, mentre con Guido si è interrogata se celebrare un matrimonio d’emergenza, ma poi, di comune accordo, lasciarono cadere l’ipotesi.
Come Giulia Gabrieli, invece, Laura pensava che la sua vita avrebbe potuto avere «due bei finali», secondo le parole di quell’adolescente bergamasca. Nel proprio caso, riferì alla madre e agli amici che erano guarire e perciò laurearsi, sposare Guido e avere dei figli da lui (avevano già scelto i nomi: Marco e Chiara), oppure morire e andare dal Signore.
Un mese fa, mentre consultavo il sito dell’Azione Cattolica Italiana per tutt’altre ragioni, ho visto che era appena uscita la nuova edizione delle Lettere di una fidanzata. Ho subito scritto subito all’Ufficio Stampa dell’Editrice AVE, che ringrazio davvero, ricevendo il libro a strettissimo giro di posta, il 31 gennaio.

Il suo Vangelo

L’esperienza che Laura ha vissuto è quella di una fede a lettere maiuscole, usate per parole intere o anche per le iniziali di termini fondamentali per lei: Vivere, Vita, Esistenza, Amore, Amare, Forza, Gioia. Senza Guido non sarebbe stata la stessa: lui ne è consapevole, secondo una testimonianza che ho trovato, pronunciata in occasione della presentazione della nuova edizione delle lettere.
Il titolo che ho dato a questa mia interpretazione della sua storia è motivato dal fatto che ho cominciato a leggere il suo libro nei giorni del Festival di Sanremo. Mentre scorrevo le pagine, mi ronzava in testa il concetto di «essere all’altezza dell’amore» della canzone Mi farò trovare pronto di Nek. Mi sembrava adatta alla situazione di Laura, specie in riferimento a quanto scrive nel diario congiunto che scambiava col fidanzato, il 9 marzo 1985:
Come essere luce, speranza per Guido se anche io sono a volte a terra? E come può esserlo Guido per Laura? Si può essere “Specchio di Dio” anche quando si è in difficoltà e si perde un po’ di abbandono fiducioso a Dio? (Ecco forse il significato del NON MI SENTO ALL’ALTEZZA…).
L’interrogativo trova risposta nelle successive pagine, dove il loro rapporto si fa sempre più profondo e sublima sogni e aspettative, seppur lecite, nella preghiera per ottenere il bene, anzi il Bene, l’uno per l’altra.

Per saperne di più

Laura Vincenzi, Lettere di una fidanzata, a cura di Guido Boffi, Editrice AVE 2018, pp. 176.
La raccolta delle lettere e di alcune pagine del diario di Laura è ora proposta in una nuova edizione, dopo quella per l’editrice Luciani e quella per Città Nuova.

Su Internet

Pagina su di lei nella sezione “Servi di Dio” nel sito della Fondazione Azione Cattolica Scuola di Santità
[AGGIORNAMENTO 27/10/2021] Sito ufficiale 

Commenti

Post più popolari