Gabriele Fanetti: un seme dalla “finestra del Cielo”
Il ritratto di San Luigi Gonzaga in abiti secolari scelto per l'immagine fatta stampare in ricordo di Gabriele Fanetti (fonte) |
Chi è?
Gabriele
Fanetti, nato il 18 dicembre 1988, era figlio di Renato e Giordana e fratello
di Luca, Alessandro e Lucia. Apparteneva alla parrocchia di San Colombano Abate
in Riva di Suzzara (MN), dove era catechista, animatore presso l’Oratorio,
dedicato a san Domenico Savio, e cerimoniere del Gruppo Chierichetti. Frequentava
inoltre un corso del Consorzio Agrituristico Mantovano, per la gestione di
una piccola azienda agricola legata alla parrocchia.
La
sera del 31 gennaio 2011, di ritorno da un censimento dell’agricoltura per
conto della Regione Lombardia, fu vittima di un incidente stradale fra Canicossa
e Cesole di Marcaria, a causa di un banco di nebbia.
Cosa
c’entra con me?
Come
scrivevo tempo fa, lo scorso anno ho preso parte, con i miei compagni del
Gruppo Shekinah, alla GMG di Madrid. La mattina di domenica 21 agosto, mentre
mi dirigevo verso uno dei bagni pubblici dell’aeroporto di Cuatro Vientos, ho
notato a terra qualcosa di simile ad un santino. L’ho raccolto: raffigurava
l’immagine che ho posto in cima a questo articolo. Sul retro, una preghiera a
san Luigi Gonzaga, che altri non è che il giovane ritratto nel dipinto. Ad
incuriosirmi, oltre alla scelta iconografica (di solito lo si vede con l’abito
da chierico), una frase al termine della preghiera: «In ricordo di Gabriele
Fanetti, alla GMG di Madrid “Dalla finestra del Cielo”». Lì per lì, ho supposto
che fosse morto prematuramente per una malattia o altro e ho invocato san Luigi
per lui. Mi sono ripromessa di cercare, tornata a casa, notizie a riguardo, ma,
presa da altre faccende, l’ho tralasciato.
A
febbraio 2011, mentre riordinavo alcuni libri, me ne sono ricordata e, senza
por tempo in mezzo, ho intrapreso le ricerche. Non sono andata molto lontana
dalle mie supposizioni: Gabriele, infatti, era scomparso appena otto mesi prima
del mio viaggio a Madrid. Gli articoli che ho rintracciato hanno gettato luce
sul suo impegno parrocchiale e sulla sua passione agricola, in modo da capire
meglio che persona era.
Decisamente,
mi è parso un vulcano d’idee, il che me l’ha avvicinato ancora di più: aveva
intenzione di ricostruire l’ambiente naturale dove si svolse la sanguinosa
battaglia di Luzzara, del 15 agosto 1702, riproducendo quella che viene comunemente
definita piantada. Si tratta di un sistema
di coltivazione fatto di filari di viti sostenuti da alberi di medio fusto, per
la precisione aceri, che servono a delimitare le coltivazioni, soprattutto di
grano. Gabriele voleva riprodurlo per cercare di comprendere le cause che
portarono al massacro, in un solo pomeriggio, di oltre settemila soldati. Poco
dopo la sua morte, precisamente il 13 febbraio 2011, si è compiuta la prima
fase di quel progetto, con l’iniziativa «Oltre il pianto, piantiamo la piantada».
Quanto
all’impegno liturgico, il suo parroco, don Giorgio Bugada, ricordò per La Gazzetta di Mantova che il giovane
prese parte alle celebrazioni per il Columban’s
Day (evento annuale che riunisce tutte le comunità legate alla figura
dell’abate irlandese) del giugno 2010 ed affiancò il Primate d’Irlanda,
cardinal Seán Baptist Brady, durante la Messa. Inoltre, avrebbe voluto, aiutato
da alcuni sacerdoti, iniziare una serie di letture per avvicinare a Gesù i
giovani suoi coetanei.
La
prima volta che il ragazzo sentì parlare più diffusamente del patrono della sua
comunità, però, fu a sei anni, durante un’attività pratica del Grest. In un
articolo, intitolato Colombaniamo e
pubblicato sul settimanale diocesano La
Cittadella del 16 luglio 2010, precisamente in un inserto dedicato a
quell’evento (ahimè, non sono riuscita a procurarmelo), scrisse che fu proprio
disegnando magliette che imparò a conoscerlo meglio. Penso che nelle nostre parrocchie, mediante i Grest o gli Oratori Estivi, tanti bambini e ragazzi vivono ogni anno qualcosa di simile.
In
generale, le persone che l’hanno conosciuto e che hanno commentato la notizia
sul web sembravano concordi nel definirlo solare, generoso, infaticabile.
Oltre
a questi contatti indiretti, ho avuto la sorpresa d’incontrare i genitori di
Gabriele, suo fratello Alessandro e don Giorgio nel luglio scorso, trovandomi a
partecipare alla celebrazione eucaristica che concludeva il Columban’s Day 2012, presso la chiesa di
San Marco a Milano. Appena ho riconosciuto, uscita di chiesa, lo stendardo col
nome della parrocchia di Riva di Suzzara, mi sono accostata a chi lo portava e,
dopo essermi presentata, ho estratto dalla tasca dei miei pantaloni il santino
di san Luigi, che mi ero portata da casa nella speranza d’incontrare qualcuno
che lo riconoscesse; in effetti, è andata proprio così. Per riassumere, sono
stata molto colpita dalla generosità dei Fanetti e di don Bugada, che hanno
acconsentito alla pubblicazione di questo articolo e hanno corretto alcune mie
imprecisioni.
Il suo
Vangelo
La
sera in cui Gabriele è morto era quella del giorno in cui la Chiesa ricorda san
Giovanni Bosco, che spese completamente la sua vita per i giovani. Famosa è la
sua affermazione: «Mi basta che siate giovani perché io vi ami assai». La
dedizione di questo ragazzo per i suoi piccoli e per i chierichetti mi pare
espressione di qualcosa di simile, se penso al fatto che il parroco ha
commentato che gli sarebbe piaciuto, un giorno, dedicare a lui l’Oratorio.
Il
brano di Vangelo a lui più immediatamente riconducibile, che i suoi parenti
hanno scelto per l’immagine distribuita alla Messa del funerali, immagino però
che sia quello delle Beatitudini in Matteo. Sul retro del ricordino, che sua
madre mi ha gentilmente donato, è infatti riportato il versetto: «Beati i puri
di cuore, perché vedranno Dio».
Spero
con tutta me stessa che Gabriele sia stato davvero un “puro” secondo il Vangelo
e che la sua vicenda, insieme a quelle di tanti altri giovani ritenuti da chi
li ha conosciuti più degni del Cielo che della terra, non venga dimenticata.
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