Antonio di Padova: se chiedi miracoli...

Statua venerata nel santuario di Sant’Antonio di Padova
in via Carlo Farini a Milano (fonte)
Chi è?

Fernando de Bulloês y Taveira de Azevedo nacque a Lisbona verso il 1195. Inizialmente scelse la vita religiosa presso gli Agostiniani di Coimbra, ma, quando giunsero in quel luogo le spoglie dei cinque Protomartiri Francescani, che prima di partire per il Marocco erano passati per quel monastero, scelse di passare tra i Frati Minori, assumendo il nome di frate Antonio.
Desiderando seguire le orme dei martiri, si diresse in Marocco, ma una malattia lo fece tornare in Italia, dove partecipò al “capitolo delle stuoie” dei frati, dove poté sentire parlare san Francesco d’Assisi.
Incaricato personalmente dal santo di formare teologicamente i suoi frati, s’impegnò a correggere gli eretici in Romagna e nel sud della Francia. Ritiratosi a Camposampiero, vicino Padova, morì d’idropisia il 13 giugno 1231, presso il convento dell’Arcella.
Canonizzato il 30 maggio 1232, è stato nominato Dottore della Chiesa, con l’appellativo di Doctor Evangelicus, nel 1946. La sua memoria liturgica cade il 13 giugno, giorno anniversario della sua nascita al Cielo. I suoi resti mortali sono venerati a Padova, nella basilica a lui dedicata.
Un sondaggio commissionato da Famiglia Cristiana all’agenzia SWG, per l’uscita dei volumi «I Santi nella storia», nel 2006, lo vedeva al secondo posto tra i personaggi più pregati da un campione di italiani.

Cosa c’entra con me?

Penso che tutti abbiamo un santo particolarmente caro ai nostri familiari perché la sua immagine è esposta su qualche comodino o incorniciata e appesa al muro: nel mio caso, si tratta proprio di sant’Antonio. Mia madre porta il nome di Antonietta in suo onore e, sin da piccola, me l’ha presentato, ma senza approfondire troppo.
A farmi capire qualcosa in più su di lui è stata una biografia per ragazzi, scritta da Giannina Facco e pubblicata dalle Edizioni Messaggero di Padova, che mia sorella aveva preso in prestito dall’oratorio femminile della nostra vecchia parrocchia e che non aveva mai restituito.
Rimasi meravigliata dagli innumerevoli segni che aveva compiuto, ma soprattutto uno suscitò il mio interesse: il miracolo del cuore dell’avaro (Lucyette dovrebbe dedicarvi uno dei suoi “Ma che sant’uomo!”). Un’illustrazione di quel libro, realizzata come le altre da Piero Mancini, mi rimase impressa nella memoria. Se non siete deboli di stomaco, osservatela:
Meno male che neanche in originale è a colori!


Sia il racconto sia l’immagine mi sono tornati in mente alcuni anni fa, quando, sul punto di uscire da quella crisi di rigetto verso santi e simili di cui già scrivevo, credevo di voler più bene ai cantanti famosi che al Signore. Ero convinta che, alla mia morte, il referto dell’autopsia avrebbe dimostrato che non avevo più il mio muscolo cardiaco, che sarebbe stato ritrovato tra i miei dischi e i faldoni di articoli sul mio gruppo preferito.
Un altro racconto mi aveva stupita, ma per motivi meno sanguinolenti: quello in cui la mula di Bonvillo dimostra di essere molto più saggia del suo padrone, inchinandosi davanti all’Eucaristia e ignorando la biada che le veniva posta davanti, anche se era digiuna. Se perfino un animale riconosceva Dio in quel Pane, cos’avrei dovuto fare io, se non metterLo al centro della mia vita?
Appurato che sant’Antonio mi aveva insegnato questo mediante i suoi prodigi, non mi restava che passare un pochino di quanto avevo capito ai miei familiari, cambiando il loro modo di rivolgersi a lui, sino ad allora vissuto in maniera un po’ troppo tradizionale.
Mia madre, ad esempio, era abituata a recitare la cosiddetta Tredicina intercalando tredici Gloria al Padre con questa breve preghiera, che è parzialmente in dialetto napoletano:
Sant’ Anto’, cammina tu,
lengua santa, parla tu,
per la tua santa gloria
facce grazie, sant’Antonio.
Trirece grazie faje ‘o juorno,
una a nuje che tanto n’avimme bisogno.
Di per sé non è male, ma mi sembrava una forma troppo riduttiva di preghiera.
Così, dopo che da alcuni anni avevo preso a frequentare la chiesa a lui dedicata nella mia città nel giorno della sua festa, ho deciso di adottare, per la preghiera in famiglia, uno schema di preghiera che avevo trovato lì. A ogni Gloria, viene fatta corrispondere un’intenzione specifica: per gli emigranti, per i bambini, per i sacerdoti e così via. Potete trovarla a questo indirizzo.
Non ho visto né la miniserie televisiva con Daniele Liotti a rivestire il suo saio, e neppure il film con Jordi Mollà di cui parlava Filippociak qui: sono lievemente allergica a quel genere di trasposizioni, che non riescono quasi mai a restituire l’effettiva grandezza del personaggio.
Al Santuario di Padova, invece, sono stata almeno due o tre volte, per quel che riesco a ricordare, ma in spirito l’avrò visitato chissà quante volte, tanto da aver logorato la piccola guida che i miei avevano preso lì mi pare per l’ostensione delle reliquie nel 1981. Quanto avevo letto mi ha permesso di gustare meglio l’arte che lì esprime la fede di tantissimi fedeli che davvero, da ogni parte del globo, accorrono in quel luogo.
Vorrei tornarci quanto prima, anche per riparare alla figuraccia che ho commesso l’ultima volta: ero riuscita finalmente a trovare un angolino dove pregare da sola, presso l’Arca del Santo, quando il telefonino che mi aveva prestato mia madre (all’epoca non ne avevo ancora uno tutto mio) ha squillato, procurandomi le occhiatacce degli altri pellegrini. Avevo dimenticato di spegnerlo o d’impostare la vibrazione!

Il suo Vangelo

Giustamente sant’Antonio è stato definito “arca del Testamento”, perché la cultura da lui acquisita tra gli Agostiniani di Coimbra si è poi trasfusa in una predicazione appassionata. Come ha fatto notare il mio Arcivescovo proprio oggi, nel corso dell’Eucaristia da lui celebrata nella chiesa di via Farini a Milano, i due aspetti di predicatore da un lato e di patrono dei poveri dall’altro non si escludono, ma sono visibili in parallelo, perché mediante essi Antonio ha potuto assimilarsi alla grandezza di Cristo.
Il segreto della sua predicazione, e dei miracoli che spesso ne derivavano, stava tutto nella profonda libertà e nel distacco che aveva imparato e nell’adeguamento alle condizioni della vita, che spesso andavano nella direzione opposta a quella che lui pensava.
Al suo stesso caso, quindi, può essere applicata una delle definizioni del buon predicatore che diede nei suoi Sermoni:
I santi predicatori sono simboleggiati dalle nubi, perché sono lievi, vale a dire liberi dal gravame delle cose della terra. Simili a colombe, essi stanno alla finestrella (dell’arca), custodendo i sensi del corpo, affinché la morte non entri nell’abitazione dell’anima.
Così prego e spero che quanto so degli uomini e donne riusciti di cui ho letto e scritto le biografie possa venire consegnato a tante persone, ma solo se imparerò a vivere come loro e a raccontarli con la carità che sola può trasmettere la verità.

Per saperne di più

[aggiornato al 13 maggio 2020] 

Sant'Antonio di Padova, I Sermoni, Edizioni Messaggero Padova 2015 (quinta edizione), pp. 1328, € 40,00.
Traduzione in lingua corrente della sua opera più importante.

Vergilio Gamboso (a cura di), La vita del Santo raccontata dai contemporanei. Assidua - Rigaldina, Edizioni Messaggero Padova 2012, pp. 176, € 8,90.
Le due biografie più antiche, presentate in lingua corrente. 

Vergilio Gamboso (a cura di), Libro dei miracoli di sant'Antonio, Edizioni Messaggero Padova 2016 (terza ristampa), pp. 112, € 8,00.
Il racconto dei miracoli da lui compiuti in vita, che è stato fonte d'ispirazione per molti artisti. 

Vergilio Gamboso, Antonio di Padova. Vita e spiritualità, Edizioni Messaggero Padova 2018 (prima ristampa), pp. 336, € 16,00.
Biografia che descrive la sua identità spirituale e quella umana. 

Nicola Vegro, Antonio segreto. La forza di un uomo, Edizioni Messaggero Padova 2019, pp. 616, € 25,00.
Un romanzo storico basato sui documenti e sugli scritti del Santo. 



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