Madre Giuseppina Bakhita, libera figlia di un Dio crocifisso
Chi
è?
Nacque a Olgossa, nella regione del
Darfur in Sudan, intorno al 1869. Con lei venne alla luce una sorella gemella.
La sua famiglia era composta dal padre, dalla madre, da tre fratelli e
altrettante sorelle; quattro altri figli erano morti prima che lei nascesse. A
circa sette anni fu rapita e venduta a un mercante di schiavi. Le venne imposto
il soprannome di Bakhita, che in arabo significa “Fortunata”.
Dopo un tentativo di fuga, fu venduta
a un altro mercante, che la portò a El Obeid, popolosa città del Sudan. Con un’altra
schiava, fu comprata prima da un ricco arabo, poi da un generale turco. Nel
1882, mentre si trovava a Khartoum a seguito del generale e della sua famiglia,
fu notata da Calisto Legnani, agente consolare, che la volle acquistare.
Tre anni dopo, Bakhita arrivò in
Italia. Legnani la cedette all’amico Augusto Michieli: da allora e per i tre
anni seguenti, fece da bambinaia alla figlia dell’uomo e di sua moglie Maria
Turina, Alice, detta Mimmina. L’amministratore dei beni dei Michieli,
Illuminato Checchini, fece in modo che venisse ammessa insieme a Mimmina nell’Istituto dei Catecumeni
a Venezia, retto dalle Figlie della Carità Canossiane, per avere una solida
formazione religiosa.
Il 29 novembre 1889 Bakhita fu
dichiarata legalmente libera. Il 9 gennaio 1890 ricevette i Sacramenti dell’iniziazione
cristiana: fu battezzata coi nomi di Giuseppina Margherita Fortunata. Dopo aver
palesato alle Canossiane il desiderio di volersi consacrare a Dio nella loro
congregazione, Giuseppina cominciò la formazione alla vita religiosa: professò
i voti perpetui il 10 agosto 1927. Trascorse il resto della sua vita, salvo dal
1937 al 1939, nella casa canossiana di Schio, svolgendo i compiti di
sacrestana, cuciniera e portinaia.
Morì per una malattia polmonare,
complicata da scompensi cardiocircolatori, alle 20.10 dell’8 febbraio 1947;
aveva circa 78 anni. Beatificata dal Papa san Giovanni Paolo II il 17 maggio
1992, è stata canonizzata dallo stesso Pontefice il 1° ottobre 2000. I suoi
resti mortali sono venerati nella chiesa dell’Istituto Canossiano di Schio,
esposti in un’urna sotto l’altare maggiore.
La sua memoria liturgica cade l’8
febbraio (tranne che nella diocesi di Milano, in cui, per evitare la coincidenza
con quella di san Girolamo Emiliani, è spostata al giorno successivo),
anniversario della sua nascita al Cielo. Non a caso, nello stesso giorno, dal 2014, ricorre
anche la Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di
persone.
Cosa
c’entra con me?
Un giorno di parecchi anni fa, nell’oratorio femminile della mia parrocchia, mi capitò tra le mani un opuscolo che riguardava santa Giuseppina Bakhita. Non ricordo la data con esattezza, ma suppongo che fosse a ridosso della canonizzazione. Sulle prime pensai che si trattasse di una suora non solo straniera, com’era palese, ma anche vissuta all’estero. Ricordo pure che la cuffia indossata nella foto, un tempo parte della divisa delle Canossiane, mi fece sorridere, perché mi sembrava qualcosa di antico.
Ogni tanto mi capitava di sentire
parlare di lei, ma non avevo approfondito troppo la sua storia. Un primo passo
è accaduto quando ho deciso di comprare un piccolo libro che la riguardava. A
sorprendermi furono soprattutto le peripezie da lei affrontate fino all’arrivo
in Italia, al seguito di Calisto Legnani. Ciò nonostante, sapevo che la sua
storia aveva un finale non solo felice, ma glorioso. Per questo, ho prestato
quel libretto a una ragazza che conoscevo e che sembrava avere un vago
interesse a riguardo.
C’è anche un altro legame: il canto A sua immagine, del Gruppo Shekinah, il coro giovanile in cui presto servizio, è una nuova versione, col testo cambiato, di un canto composto per la canonizzazione di santa Bakhita, composto da Andrea Bianchin. La ragazza a cui avevo prestato il libretto era proprio una mia ex compagna del coro.
C’è anche un altro legame: il canto A sua immagine, del Gruppo Shekinah, il coro giovanile in cui presto servizio, è una nuova versione, col testo cambiato, di un canto composto per la canonizzazione di santa Bakhita, composto da Andrea Bianchin. La ragazza a cui avevo prestato il libretto era proprio una mia ex compagna del coro.
Ho di nuovo ricordi sfumati, ma so con
certezza che un giorno mi sono ritrovata a bussare alla porta della scuola che
le Canossiane hanno in centro a Milano, in via della Chiusa. Non vorrei
sbagliarmi, ma suppongo fosse perché volevo avere del materiale su madre
Fernanda Riva, che da poco era diventata Venerabile. In ogni caso, non fu
nemmeno allora che ho ricominciato a interessarmi a quella sua consorella
sudanese.
La causa scatenante è avvenuta non
meno di un mese fa. Volevo trovare una figura femminile da presentare per la
rubrica Santi da giovani, dopo il
successo, davvero inaspettato, dei post sulla giovinezza di san Giovanni Bosco
(se non li avete letti, qui c’è la prima parte, qui la seconda). Guardando il calendario, ho visto che l’8
febbraio cadeva proprio la memoria liturgica di santa Bakhita. Ho ripreso
quindi il libretto e, dopo un breve calcolo, ho constatato che lei possedeva un
requisito fondamentale per rientrare in quella rubrica: è morta che aveva circa
78 anni, quindi in età parecchio avanzata, a dispetto dei patimenti incontrati
quand’era ancora ragazzina.
Sono andata in libreria per
documentarmi meglio: in particolare, m’interessava procurarmi il Diario, ossia il testo autobiografico
dettato, nel 1910, a madre Teresa Fabris. L’ho letto in mezza giornata o poco
più, restando confermata nella mia iniziale impressione. Tuttavia, mi sembrava
di non avere un quadro complessivo dei suoi anni dai 18 ai 30. Per questa
ragione, ho deciso di tornare dalle Canossiane, ma proprio il 7 febbraio mi
sono sentita poco bene e sono rimasta bloccata in casa per due giorni (era solo
un malessere passeggero).
«Passata la festa, gabbata la santa»?
Nient’affatto: febbraio doveva ancora finire, per cui ero ancora in tempo a
poter scrivere di lei. Così, il 14 febbraio, rieccomi in via della Chiusa.
Certo, avrei potuto comprare la biografia come avevo comprato il Diario, ma non avevo trovato l’edizione
più recente di quella uscita nel 2000.
Ho esposto la mia richiesta a una
delle Madri, che ha chiamato una consorella. A lei ho spiegato, come all’altra,
che volevo fare un articolo sulla giovinezza di santa Bakhita. Entrambe furono
molto felici del mio interesse, anzi: la prima mi presentò all’altra dicendo
che le sembravo «innamorata» della santa. Mi hanno dato, alla fine, sia la
biografia che cercavo, sia un paio di opuscoli per bambini, oltre a una
manciata di santini.
Volevo ricambiare con alcuni libri che
non m’interessavano più, ma le suore hanno declinato l’offerta. Mi sono
ripromessa, allora, di scrivere un articolo che potesse piacere loro, per
compensare. La mia cronica disorganizzazione, unita al silenzio che m’impongo in
Quaresima, ha comportato che potessi mantenere la promessa solo oggi: non a
caso, è san Giuseppe. A dirla tutta, ho desistito perché lei stessa dichiarò
che la sua storia poteva essere riassunta con una sola frase: «Il Signore mi ha
voluto bene».
Un aspetto che sento di avere in
comune con lei è sicuramente la coscienza di essere figlia di Dio. Quando era
ancora bambina e non aveva ancora ricevuto l’appellativo che sostituì il suo
vero nome, si domandava chi avesse creato il sole, la luna, le stelle e tutto
il resto. Grazie alle Canossiane di Venezia, che la istruirono nella fede, trovò la risposta
al suo interrogativo. Io penso di aver maturato questa certezza mediante i miei
familiari anzitutto, poi tramite la mia maestra di religione alle elementari,
la mia catechista, le suore e i sacerdoti dell’oratorio dove sono cresciuta.
Devo invece migliorare principalmente
sulla capacità di affrontare i problemi della vita, piccoli e grandi, senza
piangermi addosso o scaricare sugli altri le mie angosce, sperando che le
risolvano al posto mio. Sto invece facendo qualche progresso nell’usare l’arma
dell’ironia: a questo proposito, mi ha spiazzata vedere che santa Bakhita era
la prima a ironizzare sulla sua carnagione scura o sulla sua dentatura, rimasta
perfetta anche da anziana.
Spero di non praticare una forzatura
eccessiva, ma penso che se la sua vicenda fosse accaduta oggi, di certo ne
avrebbero tratto un libro capace di finire nei primi posti dei Bestseller della fede di RebeccaLibri. Oppure, lei stessa sarebbe
stata ospitata in vari programmi televisivi, né più né meno delle occasioni in
cui, per obbedienza, accettò di viaggiare per le case canossiane per offrire la
propria testimonianza.
Il
suo Vangelo
Il messaggio fondamentale incarnato da
santa Giuseppina Bakhita è sicuramente fondato sulla speranza. Lo conferma
anche la menzione al punto 3 dell’enciclica Spe Salvi, insieme a quella, al punto 32, del Venerabile François Xavier Nguyên Van Thuân.
Ricordando il suo passato, lei
affermava di sentirsi sostenuta da una forza misteriosa nei momenti di maggior sconforto o privazione. Quando ha conosciuto
Dio e si è scoperta sua figlia, ha di certo capito che quella forza era una
delle virtù, la seconda di quelle teologali secondo la tradizione cattolica.
Per questo non si stancava mai d’incoraggiare gli altri a essere riconoscenti
per il dono della fede, che le si era palesato, a suo dire, troppo tardi.
Sorprende, a una prima analisi, come
abbia attinto la speranza dal Crocifisso. Quel Crocifisso che le fu regalato da
Illuminato Checchini e che, per impulso, le venne da nascondere immediatamente.
Ma anche quello a cui si rivolse per ottenere forza prima di affermare, con
coraggio, che intendeva restare nell’Istituto dei Catecumeni. Evidentemente,
trovava una sorta di comunanza tra le piaghe che lei portava sul suo corpo (e
che, comprensibilmente, tendeva a non scoprire) e i segni della Passione.
Quell’identificazione fu tanto
progressiva da portarla a dominarsi anche nei più piccoli bisogni, perfino in
quelli derivanti dal suo stato di salute, in particolare negli ultimi anni di vita:
Dico alla natura: sta’ buona adesso, poi vedremo… Mi unisco alla Passione del Signore e della Madonna, e così, piano piano, la natura si calma e non ha più bisogno di nulla.
Per questo la sua vicenda è
d’ispirazione non solo per chi è costretto in varie forme di schiavitù, ancora
oggi, ma anche per quanti si sentono schiacciati da pesi interiori e cercano
qualcuno che mostri loro come e dove trovare l’autentica libertà.
Per
saperne di più
Michele
Aramini, Santa Giuseppina Bakhita,
Velar – Elledici 2009, pp. 48, € 3,50.
Biografia agile per una prima
conoscenza.
Bakhita,
Il diario, San Paolo 2010 (seconda
edizione), pp. 92, € 8,50.
Le memorie raccolte da madre Fabris,
arricchite da una raccolta di suoi pensieri e di sue frasi.
Roberto
Italo Zanini, Bakhita – Inchiesta su una
santa per il 2000, San Paolo 2009 (terza edizione), pp. 208, € 13,50.
Edizione economica: Roberto Italo Zanini, Bakhita – La schiava diventata santa, San Paolo 2013, pp. 272, €
7,90.
Biografia redatta per la sua
canonizzazione.
Santa Giuseppina Bakhita, Il Pozzo di
Giacobbe 2015, pp. 24, € 3,90.
Piccola biografia illustrata per
bambini.
Augusta
Curreli, La storia di Bakhita, Éditions
du Signe 2000, pp. 47, € 7,00 (fuori catalogo, ma richiedibile alle
Canossiane).
Nella cornice dei bombardamenti che
colpirono Schio nel 1943, la stessa “madre Moretta” (com’era soprannominata)
racconta ad alcuni bambini la sua vicenda.
Su
Internet
Sito curato da una consorella canossiana che risiede a Roma (quello ufficiale è in costruzione)
Pagina sul sito istituzionale delle
Canossiane
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