Bartolo Longo, fondatore del santuario di Pompei – Chi propaga il Rosario è santo! (Cammini di santità #53)

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Manca veramente pochissimo alle prossime canonizzazioni, a cui speravo di prendere parte, ma altri impegni mi tratterranno a Milano. Ho comunque pensato di dare il mio contributo attraverso le pagine di
Sacro Cuore VIVERE, rivista dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Bologna, tanto più che, il prossimo 19 ottobre, sarà iscritta nell’albo dei Santi anche una suora Figlia di Maria Ausiliatrice (il primo ramo di consacrate della Famiglia Salesiana), suor Maria Troncatti.

Avevo pensato di dedicare a lei l’articolo per il mese di settembre e di parlare invece, a ottobre, di Bartolo Longo, pensando di rimandare a dopo la canonizzazione, qui sul blog, il racconto aggiornato del mio legame con lui.

Il direttore mi ha però comunicato di aver cambiato programma: il numero di settembre non avre99bbe ospitato la mia rubrica, perché interamente dedicato al nuovo Rettor Maggiore (il superiore generale dei Salesiani di Don Bosco) e alla Famiglia Salesiana in genere.

In compenso, essendo ottobre il mese delle missioni, l’articolo su suor Troncatti non solo sarebbe stato presente, ma in versione raddoppiata, quindi su quattro pagine invece delle solite due e come articolo di primo piano. Anche quello su Bartolo Longo sarebbe comparso nello stesso numero, nella solita collocazione.

Mi sono quindi messa d’impegno su due fronti, oltre a quelli dovuti alle altre collaborazioni che ho in corso. Se per suor Troncatti dovevo ancora leggere e documentarmi, con Longo mi sentivo di padroneggiare di più la materia, ma sapevo di non dover dare nulla per scontato, pensando sempre che la rivista e il post che avrebbe ripreso l’articolo avrebbero potuto arrivare a qualcuno che non conosce affatto la sua storia, né quella del santuario di Pompei e delle opere annesse, tutte fondate da lui.

Per cambiare un po’ la mia esposizione rispetto ad altri articoli usciti dopo la notizia della canonizzazione con dispensa dal miracolo, ho pensato di riferirmi al rapporto, storicamente accertato, tra Longo, san Giovanni Bosco e il Beato Michele Rua, primo Rettor Maggiore salesiano. In questo è stato preziosissimo uno dei lavori di don Ivan Licinio, vicerettore del santuario, a cui ho mandato l’articolo per correttezza; l’ho fatto anche con i giornalisti che ora collaborano alla rivista Il Rosario e la Nuova Pompei. Da tutti ho ricevuto complimenti che non sento di meritare interamente: ho commesso qualche piccolo errore, ma sento di aver lavorato davvero per dar gloria alla Madonna e a Dio, più o meno come aveva fatto l’ancora per poco Beato.

Com’è nel mio modo di fare, questo post ha, appunto, ancora l’etichetta “Beati”, unicamente per rispettare il fatto che Bartolo può essere chiamato Santo dal momento in cui il Papa lo dichiarerà tale, non prima. Nel titolo, invece, “santo” ha la minuscola: è una ripresa della frase a cui faccio riferimento nel primo paragrafo e campeggiava sullo striscione appeso al Municipio di Pompei l’ultima volta che sono passata di lì, lo scorso 14 maggio.

Pensavo però che sarebbe stato ottimo riprendere qui l’articolo proprio oggi, giorno della sua nascita al Cielo (corrisponderebbe anche al giorno della memoria liturgica, ma è domenica) e, in quanto prima domenica di ottobre, occasione in cui a Pompei viene solennemente recitata la Supplica alla Beata Vergine del Rosario.

 

* * *

 

È un giorno di ottobre dell’anno 1872. L’avvocato Bartolo Longo si trova da qualche tempo a Valle di Pompei, come amministratore dei possedimenti della contessa Marianna Farnararo, da poco rimasta vedova. Sin dall’inizio della sua permanenza si è reso conto della miseria in cui vivono gli abitanti della zona: non ci sono scuole e i bambini sono abbandonati a sé stessi; perfino la religiosità degli abitanti è ai limiti della superstizione. Quanto a lui, ha ritrovato da tempo la fede, ma il ricordo della sua vita passata torna spesso a tormentarlo. Anche il futuro gli sembra oscuro: i tentativi di matrimonio sono sfumati, mentre lo stato religioso sembra non fare per lui.

In preda all’inquietudine, Bartolo esce di casa e inizia a camminare senza meta, fino ad arrivare in un luogo chiamato Arpaja, forse perché, per il suo squallore, ricorda la tana delle mitologiche Arpie. Lì si ferma di botto, col cuore oppresso dall’angoscia. Proprio in quel punto, però, crede di riascoltare le parole che tante volte gli aveva ripetuto il suo direttore spirituale: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». Quel ricordo è come un lampo che squarcia la notte dei suoi pensieri: «Se è vero», grida rivolto alla Madonna, «che tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario!». Un silenzio inaspettato segue le sue parole, accompagnato da una repentina calma interiore: Bartolo intuisce che un giorno quel grido sarà esaudito. Di lì a poco, da lontano, sente suonare le campane dell’Angelus di mezzogiorno.

 

Dall’anticlericalismo al ritorno alla fede

Bartolo nasce a Latiano, in provincia di Brindisi e diocesi di Oria, il 10 febbraio 1841. A sei anni viene mandato dai genitori al Real Collegio Ferdinandeo di Francavilla Fontana: sotto la guida dei padri Scolopi, consolida la religiosità che già viveva in famiglia e diventa uno dei migliori allievi. Successivamente intraprende la carriera da avvocato, studiando a Lecce e quindi a Napoli.

Tuttavia, nei corsi universitari che frequenta, sente sempre più raccontare che Gesù non è il Figlio di Dio, ma solo un uomo eccezionale, secondo quanto sostengono vari esponenti dell’anticlericalismo. I principi a cui Bartolo è stato educato iniziano a sgretolarsi, ma rimane in lui una certa attrattiva verso il soprannaturale: per questa ragione, accetta di partecipare ad alcune riunioni in cui si afferma che vengono evocati gli spiriti dei defunti. Il 12 dicembre 1864 si laurea, ma continua ad essere inquieto e a partecipare a quelle riunioni.

La sua situazione cambia grazie all’amico Vincenzo Pepe, che da una parte lo rimprovera, dall’altra l’invita a ricorrere ai consigli spirituali del domenicano padre Alberto Radente. Il 29 maggio 1865 ha il suo primo colloquio con lui: circa un mese dopo, il 23 giugno, quell’anno solennità del Sacro Cuore di Gesù, si riaccosta alla Comunione. Consolida il suo rinnovato rapporto con Dio diventando Terziario domenicano, col nome di fra’ Rosario, e iniziando a frequentare circoli ben diversi da quelli dello spiritismo, ossia le conferenze spirituali e i Cenacoli di preghiera guidati da una nobile napoletana, Caterina Volpicelli.

 

Nasce il santuario di Pompei

Proprio Caterina mette in contatto Bartolo con la contessa Marianna, che gli offre una  proposta lavorativa: deve amministrare i possedimenti ereditati dal marito, il conte Albenzio De Fusco, a Valle di Pompei. È la stessa cittadina dove, da meno di un secolo, sono riemerse le rovine della Pompei romana, distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo.

Dopo l’esperienza dell’ottobre 1872, Bartolo decide di dedicare interamente la sua vita a far conoscere e amare la Vergine Maria, particolarmente attraverso la preghiera del Rosario. Incoraggiato dal vescovo di Nola, monsignor Giuseppe Formisano, sotto la cui giurisdizione ricade Valle di Pompei, parte col chiedere agli abitanti un soldo al mese per ricostruire la fatiscente chiesetta parrocchiale. Inizia a insegnare il catechismo, ma anche a leggere e a scrivere, ai figli dei contadini. Organizza feste popolari, distribuisce largamente corone del Rosario e oggetti religiosi, ma continua a pensare che la Madonna e quella gente meritano di più.

Il 13 novembre 1875 arriva, su di un carro carico di letame, un quadro della Madonna del Rosario, che Bartolo si è procurato attraverso i suoi amici religiosi. Inizialmente sembra brutto, ma col tempo e grazie a un primo restauro acquista uno splendore che attrae anche i contadini. Il giorno dopo, al termine della missione popolare per la quale ha fatto arrivare il quadro, Bartolo riceve un suggerimento dal vescovo Formisano: costruire una chiesa nuova. Dopo anni di lavori, di progetti, di elemosine chieste e ricevute, il 7 maggio 1891 viene consacrato il santuario tanto desiderato.

 

Don Bosco e don Rua tra i “santi viventi” suoi amici

Alla costruzione del santuario, Bartolo, insieme alla contessa Marianna che continua a sostenerlo, affianca subito la prima opera di carità: un orfanotrofio femminile, per educare le bambine e le ragazze fino alla maggiore età. A quella struttura si aggiunge l’ospizio per i figli dei carcerati, nato dall’incontro tra l’avvocato e un detenuto che non sapeva a chi affidare i suoi bambini.

Per avere un aiuto nell’educazione di quei ragazzi e ragazze, Bartolo pensa di ricorrere a don Giovanni Bosco, che va a incontrare nel maggio 1885. Prende spunto da lui e dal Bollettino Salesiano nel rendere gratuito il periodico Il Rosario e la Nuova Pompei, che aveva fondato l’anno precedente. Resta in contatto con i Salesiani anche dopo la morte del fondatore: il 6 gennaio 1892 scrive a don Michele Rua, il primo Rettor Maggiore, per interpellarlo circa la nascita di un orfanotrofio maschile. Nella stessa lettera, gli confida: «Nel giorno di Natale mi è parso che il Cuore di Gesù voglia affidare questa nuova fondazione ai Figli di Don Bosco. Se questa è un’illuminazione o un’ispirazione dal cielo, me lo dirà la Paternità Vostra Reverendissima». Don Rua visita il santuario, ma alla fine, per varie questioni, la presenza salesiana, sia maschile sia femminile, non viene concessa. Bartolo, dunque, diventa anche fondatore di una congregazione religiosa, le Figlie del Rosario di Pompei, di spiritualità domenicana. Don Bosco  e don Rua sono solo alcuni dei “santi viventi” che Bartolo conosce nel corso della sua vita. Alcuni, come quelli citati, sono già stati beatificati o canonizzati, come anche la già citata Caterina Volpicelli o il francescano padre Ludovico da Casoria, che gli insegnò a vivere la carità verso i ragazzi abbandonati.

 

La sua eredità: carità e preghiera

Per mettere a tacere le voci circa il loro rapporto, Bartolo e la contessa Marianna accettano di unirsi in matrimonio il 1° aprile 1885. Nel 1893, sempre a causa di voci malevole, lui cede a papa Leone XIII la proprietà del santuario e di tutte le opere pompeiane e, qualche anno più tardi, rinuncia anche all’amministrazione. Ormai spogliato di tutto, osserva la crescita del santuario e le vite rinnovate di tanti orfani e orfane, ma anche della stessa cittadina, che diventerà Prelatura territoriale prima, poi Comune autonomo col solo nome di Pompei.

Bartolo muore il 5 ottobre 1926, preceduto, il 9 febbraio 1924, dalla moglie. Nel 1900, dalle pagine de Il Rosario e la Nuova Pompei, aveva sintetizzato così l’esperienza pompeiana: «Il Santuario di Pompei si differisce precipuamente dagli altri Santuari, perché qui la Carità è il carattere proprio di quest’opera che eccede le forze umane». Alla carità si unisce la preghiera, attraverso il Rosario, ma anche con le forme ideate o riprese da Bartolo stesso: le principali sono i Quindici (poi Venti) Sabati del Santo Rosario e la Supplica alla Beata Vergine del Rosario di Pompei, recitata in tutto il mondo a mezzogiorno (la stessa ora del grido di quel lontano ottobre 1872) dell’8 maggio e della prima domenica di ottobre.

Bartolo è stato beatificato da san Giovanni Paolo II 26 ottobre 1980; la sua canonizzazione, con dispensa dal secondo miracolo, è stata fissata al 19 ottobre 2025. Subito dopo il  Concistoro in cui papa Leone XIV ha stabilito la data, monsignor Tommaso Caputo, arcivescovo prelato di Pompei, ha riunito la comunità religiosa e civile pompeiana nella cappella in cui, dal 2000, sono venerate le spoglie dell’«avvocato della Madonna», per invitare a «rendere grazie al Signore, nostro Dio, il cui amore ha cambiato il cuore di un uomo che, da peccatore, è diventato santo».

 

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 6 (ottobre 2025), pp. 22-23

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