Vivere la carità camminando con i poveri – Padre Daniele Badiali, servo di Dio (Cammini di santità #12)


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Per il numero di ottobre di Sacro Cuore VIVERE mi è stato chiesto di scrivere di padre Daniele Badiali, sacerdote fidei donum della diocesi di Faenza-Modigliana e membro dell’Operazione Mato Grosso. Da qualche parte avevo già letto di lui e mi ero già preparata a trattare la sua vicenda in parallelo a quella del suo amico Giulio Rocca. Alla fine il direttore mi ha chiesto di dedicare l’articolo per il numero di gennaio di quest’anno solo a quest’ultimo. In effetti ottobre, mese missionario per eccellenza, poteva essere ancora più adatto.
Mi sono però posta un interrogativo: visto che Badiali era un sacerdote diocesano, avrei dovuto usare la qualifica di “don” o di “padre”, come lo chiamavano i suoi fedeli in Perù? Mi sembrava qualcosa di analogo ai primi tempi del Pime, i cui membri si sentivano preti della diocesi di Milano destinati alle missioni estere. Ho poi deciso di usare il secondo titolo; dopotutto, nelle sue lettere si firmava così. Ecco quindi la mia sintesi.

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San Luis, sulle Ande peruviane, 1° settembre 1991. Una piccola folla di uomini e donne, col viso bruciato dal sole di montagna, è radunata lungo la strada sterrata che conduce in paese. Qualcuno regge uno striscione con la scritta: «Bienvenido padre Daniel – Tus hijos te acogen con amor». Arriva un giovane prete, festosamente accolto dalla popolazione locale. Giunto nella sua nuova chiesa, s’inginocchia ai piedi della statua della Madonna: piange lacrime di commozione e non smette neppure durante la celebrazione della Messa. È padre Daniele Badiali, italiano di Faenza.


Esperienze che segnano la vita

Daniele è nato il 3 marzo 1962. I suoi genitori abitano nel paese di Ronco di Faenza e fanno i contadini: la loro è una famiglia numerosa, che comprende nonni, zii e cugini. Frequenta la parrocchia del paese insieme al cugino Gabriele, col quale entra a far par- te del gruppo giovanile fondato dal nuovo parroco, don Antonio Samorì. Le esperienze di volontariato e i campi estivi che compie col gruppo gli permettono d’incontrare alcuni ragazzi che lavorano per i più poveri: sono membri di un movimento giovanile, l’Operazione Mato Grosso (OMG).
Daniele, dopo qualche anno, con alcuni adulti della sua parrocchia va ad aiutare i terremotati: prima in Friuli, nel 1976, poi in Irpinia, nel 1980. Nello stesso anno Giorgio Nonni, iniziatore dell’OMG a Faenza, sceglie di partire alla volta del Perù e di diventare sacerdote. Questa scelta colpisce Daniele, che gli confida: «Mi piace quello che vivi e cerchi, ti vengo dietro, desidero vivere come te». Terminate le superiori, compie il servizio civile nella parrocchia di San Giuseppe a Faenza e inizia a studiare Filosofia da esterno al Seminario di Bologna.

Destinazione Perù

Daniele parte nel 1984 per Chacas, in Perù. Lì ritrova Giorgio Nonni e padre Ugo De Censi, il fondatore dell’OMG. Si adopera per non essere di peso agli altri volontari nei servizi di tutti i giorni. Inoltre, assiste i ragazzi del Taller “Don Bosco”, una scuola di falegnameria con internato. Inizialmente gli viene prospettato di continuare gli studi nel Seminario che l’Operazione intende fondare, ma l’iniziativa non ha seguito. Per questo motivo, d’accordo col vescovo di Faenza, Daniele accetta di rientrare in Italia: un giorno tornerà in Perù come sacerdote missionario.
Durante gli anni nel Seminario regionale di Bologna, dove studia Teologia, si impegna per diventare più umile e docile, in vista del sacerdozio cui aspira. Viene ordinato a Faenza il 22 giugno 1991. Nel mese di agosto è inviato nella diocesi di Huari, come missionario “fidei donum” della diocesi di Faenza-Modigliana.
Gli viene assegnata la parrocchia di San Luis, il cui territorio comprende più di 60 paesini di montagna. Il 29 settembre racconta ai suoi familiari in una lettera: «Appena entrato in parrocchia ho cominciato a prendermi carico dei pesi che un parroco deve portare, la gente subito è venuta a chiedermi Messe, battesimi, matrimoni, funerali. […] Il lavoro è tanto, ma sono contento».

Un giovane parroco sulle Ande

Col tempo, padre Daniele impara a conoscere pienamente il popolo di cui deve prendersi cura. Sono bambini e ragazzi che lo commuovono per la devozione con cui pregano, ma anche persone di ogni età che senza sosta bussano alla sua porta: non hanno davvero di che vivere. Spesso il giovane sacerdote chiede agli amici in Italia sostegno materiale ed economico per loro: rappresentano il modo con cui può rinnovare i miracoli di Gesù, nel suo piccolo.
Nota, però, una certa analogia tra la situazione peruviana e quella italiana. «Anche qui è la stessa cosa», scrive agli amici Fabrizio e Silvia, «non si vuole Dio tra i piedi, chiede troppi sacrifici e ribalta troppo la nostra vita». Invece lui, padre Ugo e gli altri dell’Operazione hanno un altro messaggio da portare: il sacrificio e la carità sono gli unici mezzi per far entrare il Signore nella propria vita e ottenere la salvezza dell’anima.
«Venendo in Perù mi è stato strappato via quel Dio che mi ero costruito studiando la teologia: quello era solo scritto sui libri. Tutte cose vere, ma quel Dio lì ora non lo trovo più, qui non c’è mai stato. Il Dio di Gesù è un Dio vero che ti entra nel cuore e ti strappa tutto, ogni certezza, ogni illusione di aver compiuto un passo verso di Lui».
È chiamato a portare la croce dei poveri: «La gente bussa continuamente alla porta per chiedere viveri e medicine, per chiedere, per chiedere, per chiedere... Non so cosa fare... Scapperei di fronte a tutto questo». Talvolta pensa che tutti i suoi sforzi siano inutili: nelle lettere afferma di sentirsi «al buio», si definisce addirittura «ateo» in ricerca. Ma è un attimo: gli basta pensare o scrivere che Gesù «agli amici più cari, per regalo, dà la sua croce» e riprende la sua missione con impegno rinnovato. Percorre chilometri su chilometri a piedi, fa catechismo, insegna canti composti e suonati da lui stesso.

Verso il sacrificio finale

La sera del 1° ottobre 1992, Giulio Rocca, uno dei volontari dell’Operazione, viene prelevato da alcuni terroristi appartenenti all’organizzazione “Sendero Luminoso” e ritrovato assassinato il giorno dopo (cfr. Sacro Cuore VIVERE 1-2017). Padre Daniele l’ha conosciuto bene. Così riassume, scrivendo all’amica Serena il 10 marzo 1994, ciò che da lui ha imparato: «In ogni attimo che viviamo deve apparirci chiaro che è la nostra vita ad essere chiamata in causa; che quel peso non lo possiamo delegare ad un altro; e che attraverso quel sacrificio ridò la speranza ad un ragazzo vicino a me; che vale la pena spendere la vita per gli altri. Per me è questo il senso della morte di Giulio, il suo sacrificio è la speranza aperta anche per me, così non desidero scappare da questo cammino che mi può portare al suo stesso sacrificio».
Il 16 marzo 1997, dopo aver celebrato la messa domenicale a San Luis e a Pomallucay, si reca a Yauya, per la celebrazione serale. Di ritorno, con altre sei persone a bordo della jeep, intorno alle 22, si trova improvvisamente la strada bloccata da pietre. Daniele intuisce immediatamente che si tratta di qualcosa di grave. Compare un bandito armato che cerca un italiano in ostaggio. Rosamaria, una volontaria italiana, scende. P. Daniele subito si fa avanti scostandola e dicendo:

“Vado io, tu rimani”.

P. Daniele viene allontanato, mentre il bandito minaccia con due spari tutti gli altri passeggeri e incita l’autista della jeep a ripartire. Il corpo di Daniele viene ritrovato il giorno 18 marzo in località Acorma, luogo poco distante da San Luis, in una scarpata piena di pietre, avvolto in un telo di nylon azzurro, ha il Rosario tra le mani legate dietro la schiena, ucciso da un colpo di pistola alla nuca. P. Daniele è vegliato tutta la notte ad Acorma, attorno alle pietre bagnate dal suo sangue, dalla popolazione e dai volontari dell’OMG. È accompagnato e vegliato in preghiera da San Luis a Chacas, fino a Lima.
Il 23 marzo la salma rientra in Italia e viene vegliata per tutta la notte e la mattina successiva. Il pomeriggio del lunedì 24 marzo avviene il rito funebre nella cattedrale di Faenza con la partecipazione di moltissima gente. La salma è tumulata presso il cimitero di Ronco di Faenza nella tomba di famiglia.
Nell’Operazione Mato Grosso padre Daniele Badiali è considerato “martire della carità” insieme a Giulio Rocca. La diocesi di Faenza-Modigliana, dal 20 marzo 2010 al 19 ottobre 2014, ha eseguito le ricerche per il suo processo di beatificazione. Oggi, a vent’anni dalla sua uccisione, la sua testimonianza continua a realizzare ciò che auspicava lui stesso: «Sempre più l’annuncio del Vangelo mi appare legato alla mia vita, e la mia vita deve “dire Gesù”».

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Rispetto alla stesura originaria, manca una precisazione cui tenevo molto: la causa di padre Daniele non è per indagare il suo martirio in odio alla fede, ma l’esercizio delle virtù eroiche. Questo non comporta che io disprezzi il suo sacrificio, tutt’altro: è solo per evitare che ci sia confusione.

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