Fidarsi in due è meglio - Chiara Corbella ed Enrico Petrillo (Cammini di santità #4)
Chiara, fra Vito ed Enrico il giorno del matrimonio (fonte) |
Per
il numero di settembre della rivista «Sacro Cuore» mi è stato chiesto di
ritornare sulla vicenda di Chiara Corbella coniugata Petrillo, quella madre di
famiglia romana quasi mia coetanea che ho presentato per la prima volta qui,
poco dopo il suo passaggio all’altra vita. Ho letto libri e articoli e
ascoltato testimonianze, cercando di produrre un ritratto obiettivo che permettesse,
comunque, di delineare il cammino che lei e il marito Enrico hanno vissuto
unitariamente, come coppia. Questo, insomma, è ciò che ho capito, pur con
qualche imprecisione: per un approfondimento più sicuro, invito a consultare il
sito ufficiale e a leggere i due libri (la biografia e la raccolta di testimonianze) che l’hanno fatta conoscere prima qui in Italia, poi in gran
parte del mondo.
Il
mio testo è stato interpolato dal direttore con affermazioni tratte dai libri
di cui sopra. Stavolta non uso il titolo con cui è comparso sulla rivista, Siamo nati e non moriremo mai più, ma
quello che gli avevo dato in fase di redazione: lo ritengo meno prevedibile (è
la frase scelta per intitolare la biografia) e più calzante sulla mia
esposizione. I titoli dei paragrafi, invece, li ho scelti io e sono stati
approvati.
* * *
È
Il 2 agosto 2002. Un giovane ventitreenne è seduto a un tavolo di un ristorante
di Medjugorje, dov’è andato in pellegrinaggio. Il posto di fronte a lui è
libero finché non arriva a occuparlo una ragazza sui 18 anni. Si guardano: entrambi
hanno l’intuizione di essere fatti l’uno per l’altra, anzi, che l’uno fosse da
sempre destinato all’altra e viceversa. Lui si chiama Enrico Petrillo, lei
Chiara Corbella.
L’unione di due cammini
Chiara
è nata a Roma il 9 gennaio 1984. Ha fatto parte del Rinnovamento nello Spirito;
lì ha imparato a rivolgersi in maniera fiduciosa a Dio, dedicandogli almeno
mezz’ora al giorno. Enrico, invece, nato nel 1979 è membro di una comunità di
preghiera del Rinnovamento Carismatico.
Nel
loro fidanzamento, tra allontanamenti e riavvicinamenti, approdano ad Assisi
dove frequentano il Corso Vocazionale e il Corso Fidanzati e ad Assisi il 21
settembre 2008 viene celebrato il matrimonio: «questa sposa che aveva capito
che dicendo sì ad Enrico consacrava la sua vita al Signore» scrive Padre Vito
[fra Vito d’Amato, il loro padre spirituale, NdA].
Genitori che accompagnano alla vita
Chiara
ed Enrico aspettano il primo figlio già a un mese di distanza dal matrimonio. È
una femmina, che decidono di chiamare Maria Grazia Letizia, cioè: Maria, grazia
e letizia della nostra vita! Alla prima ecografia, però, emerge che la bambina
ha una grave malformazione, un’anencefalia. La prima reazione di Chiara è di
piangere tra le braccia di sua madre, Maria Anselma: vive la paura e la
preoccupazione di trovare il modo di riferirlo al marito. È certa di voler
tenere la bambina, tuttavia teme di non riuscire ad affrontare la questione da
sola.
Andando
da Enrico si imbatte in un quadro della Vergine Maria e si ricorda che il
Signore le aveva chiesto di “accettare quel figlio che non era per lei” e trova
un’analogia col suo caso: “mi ha fatto riflettere sul fatto che forse non
potevo pretendere di capire tutto e subito – ha dichiarato durante una
testimonianza – e che forse il Signore aveva un progetto che effettivamente io
non riuscivo a comprendere”.
Maria
Grazia Letizia nasce il 10 giugno 2009: riceve il Battesimo, poi smette di
vivere. È in ogni caso un dono del Signore, «è la grazia che ha avuto Grazia
Letizia – osserva Enrico – l’abbiamo chiamata Grazia per questo; Letizia perché
eravamo certi che il Signore ci avrebbe meravigliato e che avrebbe portato
tanta gioia attraverso di lei. E in effetti poi è stato così. Qualche giorno
dopo c’è stato il funerale ed è stato il primo funerale meraviglioso a cui
abbiamo avuto la grazia di assistere. Io ho suonato la chitarra e Chiara il
violino: non pensavamo di riuscire a fare questa cosa. Ci piaceva amare nostra
figlia con tutto noi stessi. Avevamo poco tempo per godercela e quindi quello che
potevamo fare era anche questo: suonare». Enrico ricorda le parole di Chiara:
«Voglio dire alle mamme che hanno perso dei bambini questo: noi siamo state
mamme, abbiamo avuto questo dono. Non conta il tempo, se un mese, due mesi,
poche ore… conta il fatto che noi abbiamo avuto questo dono. E non è una cosa
che si può dimenticare».
Un sì rinnovato, fino alla fine
Appena
tornati dall’ospedale, si trovano d’accordo nell’aspettare solo i giorni
necessari al recupero, prima di tentare una nuova gravidanza. Stavolta è un
maschio, ma di nuovo ha una condizione che i medici considerano incompatibile
con la vita: ha malformazioni viscerali, gli manca del tutto una gamba e
l’altra è poco più di un moncherino. I due sposi s’interrogano su dove Dio li
stia conducendo, con l’arrivo di un figlio che avrebbe comunque avuto una grave
disabilità: ancora una volta, consapevoli di essere stati preceduti dalla
Grazia divina, dicono il loro SÌ.
«Siamo
sicuri, scrive Chiara, che anche questa volta Dio ci farà capire cosa dobbiamo
fare. Siamo sereni: prima di essere nostro figlio è Suo figlio». Il bambino
nasce il 24 giugno 2010 e lo chiamano Davide Giovanni. Anche la sua esistenza
dura poco meno di un’ora. Il cammino spirituale di Chiara è iniziato con una
“consegna totale” al Signore mediante Enrico e prosegue con la semplice
spiritualità dell’affidamento al Signore. Chiara la esprime con tre P: Piccoli
Passi Possibili, ma anche con una profonda consapevolezza di essere a servizio
dei piani di Dio: «Non eravate nostri, non eravate per noi, perché il possesso
è l’incontrario dell’amore».
Il
terzo figlio risulta sano, ma ora è la salute di Chiara ad essere in pericolo:
quella che le sembra un’afta sulla lingua è, in realtà, un carcinoma. Tra
viaggi e consulti, i coniugi Petrillo riescono a trovare le cure giuste perché
la gravidanza prosegua, nel rispetto delle vite di madre e figlio.
Così,
dopo che il 30 maggio 2011 viene alla luce Francesco, viene effettuata
l’operazione per Chiara e le vengono prescritte le terapie, ma non servono.
Lei, comunque, non smette di dare e di ricevere amore fino al 12 giugno 2012,
quando si addormenta per sempre nel Signore. Mentre tutti gli amici pregano e
vegliano, nelle ultime ore, il marito manda loro un sms: «Siamo con le lampade
accese. Aspettiamo lo sposo» e Chiara dice: «Vi voglio bene. Papà, ti voglio
bene. Mamma, ti voglio bene. Enrico, ti voglio bene. Vi voglio bene a tutti…».
A suo figlio Francesco aveva scritto una lettera per quando sarà grande: «Vado
in cielo ad occuparmi di Maria e Da- vide, e tu rimani con il papà. Io dal
cielo prego per voi».
Amare non è mai possedere
Chi
legge e rilegge gli articoli su di lei, oppure guarda con attenzione i filmati
che la riguardano, si rende conto che non basta considerare Chiara unicamente
in base al suo pur eroico gesto. Insieme a Enrico, ha messo alla base della
loro storia d’amore una sconfinata fiducia nel Signore, da cui tutti e due si
sono sentiti scelti, amati e benedetti.
Infatti,
come lei ha capito di dover essere madre in senso pieno, così lui, accettando
di non vantare diritti né sulla moglie né sui bambini, è stato davvero padre:
tutti e due, seguendo san Francesco, avevano riconosciuto che amare non
equivale mai a possedere.
A
otto anni dal giorno in cui si sono promessi fedeltà e amore davanti a Dio,
Enrico non si stanca di raccontare la loro vicenda di sposi credenti, tanto da
affermare: «La mia vita con lei è il vangelo che conosco meglio».
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