Monsignor Mario Campidori, la gioia senza barriere
Chi è?
Mario
Campidori nacque a Gaiano di Solarolo, in provincia di Ravenna, il 28 settembre
1917, in una famiglia di contadini. A cinque anni, in seguito a una missione
popolare, iniziò a pensare di diventare sacerdote, ma dovette attendere per
aiutare la famiglia nel lavoro dei campi. A quattordici anni entrò nel
Seminario diocesano di Imola, passando al Seminario Interdiocesano Regionale
«Benedetto XV» di Bologna per il Liceo e la Teologia.
Fu
ordinato sacerdote il 27 giugno 1943 nella cattedrale di Imola. Fu subito
nominato cappellano a Riolo, poi fu destinato a San Patrizio e a Conselice con
lo stesso incarico. Nel 1945 divenne parroco di Spazzate Sassatelli, tra Imola
e Conselice.
Due
anni dopo il suo ingresso nella nuova parrocchia, cominciò ad avere problemi di
salute: non vedeva bene e perdeva spesso l’equilibrio. Un ricovero ospedaliero
nel 1948 gli manifestò che aveva la sclerosi multipla. Don Mario rimase
bloccato a letto per due anni, senza riuscire a celebrare la Messa; nel 1950
poté tornare a farlo, ma assistito da un altro sacerdote.
Nel
1954 fu per la prima volta pellegrino a Lourdes. Nel suo secondo
pellegrinaggio, conobbe un sacerdote che si diceva guarito dalla stessa
malattia tramite una terapia sperimentale: don Mario vi si sottopose e, da
allora, la sclerosi multipla non peggiorò, pur lasciandolo invalido.
Cercò
quindi un modo diverso per restare sacerdote seppure in carrozzella: decise di
andare lui stesso di casa in casa, dove ci fossero persone con disabilità che
non riuscivano a vivere pienamente la partecipazione alla vita nelle
parrocchie. Dai volontari che lo accompagnavano e che condividevano quel suo
progetto nacque il movimento «Simpatia e Amicizia».
Per
concedere alle persone con disabilità uno spazio dove trascorrere le vacanze
senza problemi, ma anche perché i giovani imparassero a «santificare il tempo
libero», come diceva spesso, istituì il Villaggio senza Barriere Pastor
Angelicus a Savigno (Bologna), dedicandolo a
papa Pio XII, cui era molto affezionato. In modo da dare continuità alla sua
opera, fondò la Comunità dell’Assunta, composta da consacrati e consacrate.
Morì a Bologna, dove viveva dal 1966 ospite della Casa del Clero, il 5 maggio
2003.
Cosa c’entra con me?
Da
tre anni a questa parte, agli adolescenti del mio oratorio viene proposto di
passare una settimana al Villaggio senza Barriere. La prima volta che ne ho
sentito parlare, infatti, è stata tramite le pagine del periodico delle due
parrocchie del mio quartiere, con una testimonianza da parte di uno dei
ragazzi. Tuttavia, non conteneva neppure un cenno a chi avesse fondato quella
realtà.
Agli
inizi di quest’anno fu riferito a noi giovani che, ad agosto, saremmo partiti
per il Cammino di Santiago. Io non stavo nella pelle dalla contentezza, dato
che era un’esperienza che avrei davvero desiderato compiere. Tuttavia a marzo,
proprio quando avevo già versato la caparra per il viaggio, il don mi comunicò
che aveva deciso di non farmi venire: alla GMG di Cracovia, infatti, avevo dato
prova di scarsissima resistenza fisica e psicologica. Vedendo la mia delusione, provò a
consolarmi suggerendomi di venire al Villaggio senza Barriere insieme agli
adolescenti e mi fece restituire la caparra.
Da
allora ho cominciato a incalzare lui e la suora che ci avrebbe accompagnati per
sapere quando ci sarebbero stati gli incontri di formazione prima del viaggio.
La mia ansia era dovuta al fatto che non avevo nessuna esperienza con i disabili,
eccettuata qualche uscita con un ragazzo in carrozzella, insieme ai miei vecchi
amici della mia parrocchia di nascita. A dire il vero, mi sentivo poco
adeguata, dato che non sono nemmeno educatrice degli adolescenti.
Il
giorno della riunione formativa mi fu dato un modulo da compilare: lì ho visto,
per la prima volta, il nome di don Mario Campidori. Ho cercato su Internet e ho
trovato solo un brevissimo profilo sul sito del Seminario di Imola, contenuto
in una traccia di preghiera per le vocazioni. Mi sono quindi ripromessa che, arrivata al Villaggio, avrei chiesto del
materiale per dedicargli una scheda biografica su santiebeati.it, per la sezione dei Testimoni, e un post qui.
Il
giorno della partenza, il 10 luglio, ero molto nervosa: ho fatto perfino fatica
a dormire sul pullman, il che, di solito, mi risulta molto facile. Uno degli
educatori, Andrea, mi aveva assicurato che appena giunta sul posto mi sarei
sentita accolta. Ammetto che non è stato così immediato: mentre i ragazzi che
erano già stati lì abbracciavano e baciavano i loro vecchi amici, io ero quasi
frastornata.
In compenso, in una vetrina situata nel locale adibito a bar,
avevo già adocchiato qualcosa che poteva servirmi per scrivere. Tuttavia, ho
preferito attendere la fine della vacanza: volevo conoscere ciò che don Mario
aveva lasciato ancora prima dei suoi lineamenti biografici.
Col
passare dei giorni, ho lasciato cadere gran parte delle mie barriere: anzitutto
con gli adolescenti, dei quali avevo riconosciuto inizialmente solo i difetti.
Poi con Franco e sua moglie, gli ospiti che mi erano stati affidati: lui ha la
malattia di Alzheimer, conclamata solo da qualche anno. Dividevo con loro i
pasti e i momenti di gioco o di attività comune, esercitandomi nella pazienza
specie quando Franco non voleva assumere i suoi farmaci (in casi gravi,
potevamo chiedere aiuto a quelli della Comunità dell’Assunta). Infine, ho
familiarizzato con i giovani incaricati di cantare a Messa, ai quali, la
domenica prima di partire, ho regalato una copia dell’ultimo CD del Gruppo
Shekinah.
Quello
che mi ha colpito di più del Villaggio è che lì la preghiera scandisce davvero
La statua della Madonna Assunta che si trova al Villaggio senza Barriere dal 1985 (foto mia) |
la giornata: dal momento al mattino di fronte alla statua dell’Assunta, nel
cortile tra le casette che compongono il Villaggio, alla Messa nella cappella
dedicata a san Leopoldo Mandić, al Rosario (che però noi milanesi saltavamo
quasi sempre, sostituendolo col nostro momento di formazione) e alla Compieta,
nella quale si pregava sempre per la glorificazione di Pio XII, attualmente
Venerabile, e per l’eterno riposo di don Mario. Questo lo rende diverso da una
qualsiasi casa vacanze per uomini e donne un tempo ritenuti “impediti”.
Quando
però ho scoperto la stanzetta adibita a biblioteca, è diventata il mio ambiente
preferito dopo la cappella. Lì ho trovato il libro su san Leopoldo Mandić cui
facevo cenno nel mio post dedicato a lui (avrei voluto leggerne molti altri), ma non
mi trattenevo troppo: ero lì per vivere la «Simpatia e Amicizia secondo il
Vangelo» secondo l’insegnamento del fondatore, mica per fare il topo di
biblioteca!
Nei
giochi comuni ho cercato di non farmi notare troppo, ma la foga agonistica ha
avuto la meglio, specie nelle prove musicali. A volte mi arrabbiavo perché mi
sembrava di vedere delle irregolarità, ma dovevo ricordarmi che gli altri amici
che erano con me non erano tutti nel pieno possesso delle loro facoltà:
piuttosto, dovevo mettermi più al loro livello.
Così,
quando il 17 luglio siamo andati via, mi sono lasciata prendere dalla
commozione. A calmarmi contribuiva il pensiero che il 29 settembre, ossia domani,
saremmo andati a Bologna per partecipare, insieme ai giovani del Villaggio,
alla Messa nella cattedrale di San Pietro per il centenario della nascita di don Mario e all’incontro per i giovani,
nell’ambito delle celebrazioni per il Congresso Eucaristico Diocesano.
Per
andarci, però, ho dovuto rinunciare alle ordinazioni dei diaconi nel mio Duomo.
Compenserò pregando per loro davanti alla tomba del Venerabile Bruno Marchesini (spero di
riuscire a localizzarla a San Pietro).
Il suo Vangelo
Il
messaggio incarnato da don Mario mi sembra decisamente concreto e legato alla
corporeità, limiti compresi. La sua fatica nel vivere il ministero fu
compensata dalla scelta di non restare chiuso nella Casa del Clero, per andare
incontro a chi si sentiva escluso dalla vita della propria parrocchia.
Si
sentiva spinto ad agire in quel modo perché era sostenuto dalla Chiesa
diocesana bolognese, dalla quale era stato davvero accolto, ma anche dagli
orientamenti del Congresso Eucaristico celebrato a Udine nel 1972, secondo cui
le persone disabili potevano e dovevano essere parte delle loro comunità (non
“integrate”, quasi fossero un corpo estraneo). Tutto senza paternalismi e
atteggiamenti consolatori, anzi, mirando non solo a vivere con gioia, ma
a «fare la gioia propria, degli altri, di Dio», secondo una sua celebre
espressione.
In
questo modo, poteva affermare nel numero 3 del 15 maggio 1985 di «Simpatia e
Amicizia»:
Gli amici del Villaggio mi hanno assicurato che la loro realtà è conosciuta anche in molte zone d’Italia. Spero di averli aiutati a renderla ancora più nota, proprio per la sua particolarità.«L’esperienza poi mi ha convinto che per fare della gioia, per impegnarsi in questo lavoro, per raggiungere questo scopo, cominciare da se stessi, è una cosa necessaria. Con la tristezza, l’umore nero, la sfiducia non si vive, tanto meno si aiutano altri a vivere».
Per saperne di più
Roberto Macciantelli
(cur.), Monsignor Mario Campidori – vivere per fare la gioia, Dehoniana
Libri 2012, pp. 96, € 4,90.
La
prima biografia, pubblicata nell’imminenza del decimo anniversario della morte
di don Mario.
Don Mario Campidori, Via Crucis – Vivere per fare la gioia
propria, degli altri, di Dio, EDB 2007, €1,80 (fuori catalogo).
Una
traccia per la meditazione delle stazioni tradizionali, con pensieri tratti
dalla rubrica che don Mario teneva sulla rivista «Simpatia e Amicizia».
Entrambe
le pubblicazioni possono essere richieste ai recapiti della Fondazione Don
Mario Campidori – Simpatia e Amicizia Onlus.
Su Internet
Sito ufficiale e pagina Facebook della Fondazione Don Mario Campidori.
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