Il Beato Filippo Rinaldi, un buon padre (Cammini di santità #14)
Fonte: sezione del sito istituzionale dei Salesiani di Don Bosco
dedicata a don Filippo Rinaldi
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Sono
sempre più meravigliata di quanti e quali esempi abbia saputo suscitare l’insegnamento
di san Giovanni Bosco. Anche sulla rivista dei Salesiani di Bologna ho avuto
occasione di parlare di alcuni di essi.
Nel
numero di gennaio 2018, il direttore mi ha chiesto di parlare del Beato Filippo
Rinaldi. Di fama lo conoscevo, ma la lettura del libro che segnalo in coda al
post mi è servita per capire meglio a quali responsabilità fosse stato chiamato e come le avesse vissute.
Temo
però che sia uno dei miei articoli meno riusciti: il finale è diverso da come l’avevo
scritto. Mi è servito di lezione: da quello immediatamente successivo mi sono
impegnata ancora di più.
* * *
È
il 24 aprile 1922. Si sta svolgendo il Capitolo generale dei Salesiani, nel
quale sarà eletto il nuovo Rettor Maggiore, ovvero il superiore di tutta la
congregazione. Don Luigi Piscetta si avvicina a un confratello dal volto largo
e gli occhi piccoli e penetranti: deve annunciargli che sarà lui, don Filippo
Rinaldi, il terzo successore di san Giovanni Bosco. Don Filippo nasconde il
viso tra le mani, appena riceve la nomina. Poi, dopo un lunghissimo istante,
accetta: «Questa elezione è una confusione per me e per voi. La Madonna vuol
fare vedere che è essa sola che opera in mezzo a noi. Pregate perché io non
guasti ciò che hanno fatto don Bosco e i suoi successori».
Quando la banda passò
Don
Filippo è nato a Lu Monferrato il 28 maggio 1856, in una famiglia che conta in
tutto nove figli; lui è l’ottavo. Sin dai primi anni di vita si mostra allegro,
sereno e socievole. Un giorno, mentre sta giocando in casa, sente della musica
venire da fuori. Esce e si trova di fronte una banda di ragazzi: qualcuno suona
la tromba, qualcun altro i tamburi, mentre un sacerdote sta in mezzo a loro. È
quello il suo primo, fuggevole contatto con don Bosco.
Lo
incontra altre due volte, quando è da qualche mese allievo del Piccolo
Seminario San Carlo, voluto da don Bosco nella vicina Mirabello. Poco dopo il
secondo incontro, nell’estate 1867, Filippo lascia la scuola: soffre di mal di
testa, ha fastidi all’occhio sinistro e, in più, ha avuto un contrasto con uno
degli assistenti. Don Bosco gli scrive,
fa in modo d’incontrarlo ancora, ma il ragazzo gli risponde sempre di no. In
una lettera gli fa presente i suoi malesseri, ma il santo insiste: «Vieni: il
mal di capo passerà e di vista ne avrai a sufficienza per studiare». A quel
punto non può che ubbidirgli: a ventuno anni entra nell’istituto per vocazioni
adulte (era già avanti negli anni, per l’epoca) di Sampierdarena.
Il
13 agosto 1880 emette la professione perpetua. Tra i suoi propositi di quel
periodo, precisamente del 19 aprile 1881, annota: «Qui, qui che così basta:
anzi fu già troppo: faccio punto fermo e con la grazia del Signore voglio
assolutamente cessare di lamentarmi: voglio fare, pensare, parlare solo avendo
di mira Dio». Nei tre anni seguenti compie gli studi teologici e, il 23
dicembre 1882, viene ordinato sacerdote.
Incarichi grandi con grande fiducia
Il
primo banco di prova per don Filippo è Mathi Torinese, sede dell’opera per le
vocazioni adulte, ma l’anno successivo è destinato alla casa di San Giovanni, a
Torino. In quegli anni il suo carattere, da impulsivo e vivace, diventa fermo
ed equilibrato. Don Bosco, intanto, non
c’è più: gli è subentrato don Michele Rua, il quale si accorge delle doti del
giovane confratello e lo invia in Spagna alla casa di Sarriá, nei pressi di
Barcellona, come direttore. Dopo tre anni, diventa ispettore (ossia superiore
provinciale) di Spagna e Portogallo: fonda ventuno case e impara a rendersi
amabile, guadagnandosi una simpatia generale.
Dal
1901, don Rua lo vuole Prefetto Generale della Società Salesiana. Per non
perdere il senso del suo sacerdozio, ogni giorno don Rinaldi celebra la prima
Messa del mattino, alle 4.30, poi confessa per due ore nel Santuario di Maria
Ausiliatrice. Nel suo ufficio non tratta le questioni come pratiche da
sbrigare, ma le affronta con lucidità, siano esse positive o negative.
Quest’ultimo
è il caso dei “fatti di Varazze”: la stampa anticlericale aveva montato una
precisa campagna scandalistica contro il collegio salesiano di quella località.
Don Rinaldi si fida degli avvocati difensori, ma ancora di più dell’Ausiliatrice.
Sotto la sua statua mette spesso dei bigliettini con invocazioni brevi e
sentite, come: «Voi sapete poi quanti dubbi, quante incertezze accompagnano le
mie operazioni; guidatele a bene, per il bene delle anime alla gloria di Dio».
Don Rinaldi e le donne
Eletto
Rettor Maggiore dopo don Paolo Albera, don Filippo dà un notevole impulso alle
missioni salesiane: fonda l’Istituto Salesiano Missionario d’Ivrea, in seguito
dedicato al cardinal Giovanni Cagliero, missionario nel sud dell’Argentina.
Continua il suo compito di direttore spirituale, mostrando una notevole
delicatezza verso le donne, siano esse suore Figlie di Maria Ausiliatrice,
ragazze dell’oratorio femminile di Valdocco o giovani laiche come Maria
Virginia Lazzari, una maestra che in seguito fondò le Missionarie della
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e si fece lei stessa suora, col nome di
Maria Margherita di Gesù Crocifisso.
Il
suo capolavoro, però, sono le Volontarie di don Bosco, nate dal desiderio di
tre sue figlie spirituali di vivere lo stile di don Bosco restando nel mondo.
Il 20 maggio 1917, quando era ancora Prefetto Generale, aveva dato inizio a
quella nuova associazione. Da tre diventate sette, avevano professato i voti
religiosi il 26 ottobre 1919, nella cappellina attigua alle “camerette” di don
Bosco.
Anche
da Rettor Maggiore, don Filippo continua a prendersi cura di loro. Lo
dimostrano le sue parole rivolte alle consacrate in occasione della festa del
Sacro Cuore del 1922: «Fate tutto quello che potete; il Signore per propagare
la sua dottrina non si è servito dei grandi della terra, né filosofi, né
dottori, né re; ma di poveri pescatori e con essi ha convertito il mondo, ha
diffuso il suo Vangelo. Il Signore sceglie gli umili, perché vuole che si veda
chiaramente che non siamo noi che facciamo, ma è Lui che opera».
Cuore di padre
Fu
un operatore instancabile. In moltissimi modi e per tutta la vita, senza
risparmio di fatiche, si adoperò a incrementare tra i lavoratori e le
lavoratrici di ogni categoria quelle forme associative e quelle organizzazioni
di risparmio che si conclusero sempre nella crescita del sindacalismo cristiano
e delle opere di previdenza. A tutti i Salesiani raccomandò in particolare
l’assistenza agli emigrati senza distinzioni di nazionalità, accentuando nella
carità il massimo universalismo.
Tra
i volti dei santi salesiani, ciò che caratterizza quello di don Rinaldi è la
nota della paternità. Da direttore, a 33 anni, si era proposto: “Carità e
mansuetudine con i confratelli, sopportando qualunque cosa possa avvenirmi”. Da
ispettore dirà: “Sarò padre. Eviterò i modi aspri. Quando verranno a parlarmi
non darò loro a vedere di esser stanco o di aver fretta”. Di don Rinaldi, don
Francesia, Salesiano della prima generazione, dirà: “Gli manca soltanto la voce
di don Bosco. Tutto il resto ce l’ha”. Prima di morire un evento lo riempirà di
straordinaria gioia: la beatificazione di don Bosco, avvenuta il 2 giugno 1929.
Guiderà a Roma una folla di 15.000 persone. Stava per iniziare l’anno
cinquantesimo del suo sacerdozio quando si spense serenamente il 5 dicembre
1931, intento a leggere la vita di don Rua. Le sue spoglie riposano nella
cripta della basilica di Maria Ausiliatrice in Torino.
La congregazione salesiana nel mondo
Il
suo rettorato fu quanto mai fecondo. La Congregazione salesiana si sviluppò
prodigiosamente: da 4.788 membri in 404 case, a 8.836 in 644 case, in
un’atmosfera dove “si respirava più l’affetto del padre che l’autorità del
Superiore”. L’impulso che egli diede alle missioni salesiane fu enorme: fondò
istituti missionari, riviste e associazioni, e durante il suo rettorato
partirono per tutto il mondo oltre 1.800 Salesiani. Così si avverava la
profezia di don Bosco, dal quale, avendo chiesto da novello sacerdote di andare
in missione, si sentì rispondere: “Tu starai qui. In missione, manderai gli
altri”. Compì numerosi viaggi in Italia e in Europa. Dispiegò uno zelo e una
paternità ammirabili, sottolineando che la vera fisionomia dell’Opera salesiana
non sta tanto nei successi esteriori, quanto nella profonda, serena e calma
vita intima. Tradusse questo suo dinamico concetto della spiritualità e del
lavoro in forma socialmente efficace, adoperandosi presso Pio XI perché fosse
concessa l’indulgenza del lavoro santificato. Maestro di vita spirituale,
rianimò la vita interiore dei Salesiani mostrando sempre un’assoluta confidenza
in Dio e un’illimitata fiducia in Maria Ausiliatrice.
Venerabile
il 3 gennaio 1987; beatificato il 29 aprile 1990 da Giovanni Paolo II.
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 1 (gennaio 2018), pp. 16-17 (visualizzabile
qui)
* * *
Se
volete sapere di più sul Beato Filippo Rinaldi, vi segnalo il libro che è stato
la mia fonte per questo pezzo:
Don Pierluigi Cameroni SDB, Don Rinaldi. Padre buono e umile servo di tutti. Profilo spirituale, Shalom 2017, pp. 256, € 5,00.
Il
Postulatore generale della Famiglia Salesiana attinge alla “Positio super
virtutibus” di don Rinaldi per tracciarne un profilo completo sotto tutti i
punti di vista, uscito per il centenario della fondazione delle Volontarie di
Don Bosco.
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