In galera, ma da prete e da salesiano – Don Luigi Melesi (Cammini di santità #21)
Fonte |
Il 10 luglio 2018 ho saputo che era appena
morto don Luigi Melesi. Il suo nome non mi era nuovo: quando ho dovuto scrivere
di Giulio Rocca e di don Daniele Badiali per Sacro
Cuore VIVERE, la rivista dei Salesiani di Bologna, mi ero imbattuta in don
Piero, suo fratello, iniziatore dell’Operazione Mato Grosso.
Ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto
scrivere di lui, prima o poi. Intanto, però, mi sentivo in dovere di
partecipare ai suoi funerali. Ho quindi telefonato al direttore della rivista,
sperando che quella potesse essere un’occasione per rivederci. Purtroppo aveva
alcuni impegni, per cui non poté venire a Milano.
Nel corso della conversazione, mi suggerì di prepararmi
su Giorgio La Pira. Sono trasalita: l’accordo prevedeva che avrei dovuto
realizzare altri tre articoli, di cui l’ultimo era praticamente finito, poi la
collaborazione sarebbe terminata. Il direttore, a quel punto, ha confermato che
potrò continuare ancora per quest’anno: i lettori gradiscono, a lui la mia
prosa piace e io stessa sono desiderosa di mettermi ancora alla prova e di
conoscere nuove figure, o di trovare aspetti inediti di quelle che già conosco.
Così, arrivata all’articolo di dicembre, gli
ho fatto presente che don Luigi sarebbe stato un ottimo soggetto per il numero
di gennaio: in quel mese, infatti, ho sempre parlato di qualcuno collegato a
vario titolo alla Famiglia Salesiana. La proposta è stata accettata: ho quindi
ripreso le bozze di un vecchio pezzo, integrandole con altre informazioni
tratte dal Bollettino Salesiano.
La
mia fonte principale è stata tuttavia Prete
da galera, il libro uscito nel 2010 in cui Silvio Valota ha raccolto dalla viva voce di don
Luigi il racconto di una vita spesa per i giovani e i carcerati. Verrà presto
ripubblicato, suppongo in una versione aggiornata, nella collana di libri La Chiesa con il grembiule: sarà allegato al numero 6 del 2019 di Famiglia
Cristiana, che esce la prossima settimana (scusate il messaggio promozionale),
ma suppongo che dopo qualche mese sarà nelle librerie da solo.
Mentre scrivevo, tornavo con la memoria a
quando ho varcato per la prima volta l’ingresso del carcere di San Vittore,
dove don Luigi è stato cappellano per quarant’anni. Mi è servito molto per fare
una sorta di composizione di luogo e per scegliere l’episodio di partenza. Il
1° gennaio di quest’anno sono tornata lì, per ringraziare Dio di avermi aiutata
a svolgere un buon servizio alla memoria dell’ex cappellano e al bene che ha compiuto
tra i “raggi” del penitenziario milanese.
* * *
Milano,
istituto penitenziario di San Vittore. Il cappellano del carcere, don Luigi
Melesi, ha chiesto al direttore di celebrare la Messa domenicale nel corridoio
del primo Raggio: lì sono rinchiusi alcuni componenti della formazione
terroristica delle Brigate Rosse. Già la domenica precedente aveva celebrato
nello stesso luogo, ma non aveva ottenuto nessuna risposta da parte dei
detenuti.
Don
Luigi monta personalmente l’altare, poi si prepara per la celebrazione.
Nell’omelia parla dell’uomo che soffre, che è tradito, che è escluso. Dalle
celle chiuse, nessuna risposta. All’improvviso si apre uno spioncino, quel
tanto che basta perché il cappellano possa infilare la mano. Un’altra mano la
stringe e l’accarezza, mentre viene sfiorata dalle lacrime e dai baci di un
detenuto: «Padre, abbiamo bisogno di lei», esclama una voce, mentre si aprono
altre tre porte. Così è iniziato il dialogo tra don Luigi e quei detenuti che
in gergo erano detti “irriducibili”, ma nei quali, come insegna san Giovanni
Bosco, poteva esserci «un punto accessibile al bene».
Prime
esperienze tra i giovani
Don
Luigi nasce a Cortenova, in provincia di Lecco, il 4 gennaio 1933, figlio di
Efrem Melesi e Liduina Selva. Entrato tra i Salesiani di Don Bosco, come già
aveva fatto suo fratello Piero, svolge il tirocinio formativo a contatto con i
ragazzi del riformatorio Ferrante Aporti di Torino. Dopo l'ordinazione
sacerdotale, avvenuta nel 1960, viene destinato al Centro Salesiano «San
Domenico Savio» di Arese, come insegnante di disegno grafico. Nello stesso
periodo si laurea in Lettere, ottenendo nel 1971 l’abilitazione
all’insegnamento della stessa materia.
Le
scolaresche del Centro di Arese sono composte da oltre duecento ragazzi
provenienti da tutta Italia, con storie personali e familiari molto dolorose.
Già il primo giorno di scuola, don Luigi cerca d'instaurare un rapporto di
fiducia con loro. Una volta esordisce affermando: «Io ho un gran desiderio...»,
poi lascia volutamente in sospeso la frase. «Quale?», domanda uno degli
allievi. Sorridendo perché s’immaginava proprio quella reazione, risponde:
«Alla fine dell'anno vorrei promuovervi tutti. Dobbiamo mettercela tutta, voi e
io, perché sono convinto che a nessuno piaccia essere bocciato». Per i suoi
ragazzi, don Luigi è capace anche d’intervenire presso il Ministero di Grazia e
Giustizia, perché venga aumentata la retta mensile che spetta loro.
L’Operazione
Mato Grosso e il ritorno ad Arese
Don
Luigi non si limita ad ascoltare solo le loro confidenze e le loro reazioni.
Nel 1964, infatti, suo fratello don Piero, missionario nel Mato Grosso, rivolge
un appello perché qualcuno venga ad aiutarlo: in quella regione, infatti, non
vogliono mettere piede neppure i preti. Rispondono in tre: don Luigi, don Ugo
De Censi e don Bruno Ravasio, tutti Salesiani. Tre anni più tardi, accompagnano
i primi giovani volontari, che hanno coinvolto durante i campeggi estivi in Val
Formazza: ha così inizio l’Operazione Mato Grosso.
Per
tre anni, don Luigi è direttore della comunità di Darfo (Brescia), poi, nel
1970, torna ad Arese, stavolta come direttore. All’ascolto dei ragazzi unisce
quello delle loro famiglie, convinto com’è che gran parte del loro disagio sia
dovuto alla situazione che vivevano in casa, prima di entrare in riformatorio.
Per incanalare le loro migliori energie, fa loro recitare spettacoli tratti da
episodi del Vangelo, oppure fa mettere in scena una Via Crucis drammatizzata.
L’impatto è enorme: non solo i suoi testi vengono diffusi, ma gli stessi
ragazzi coinvolti sentono di somigliare a Gesù, al Cireneo, alla Veronica.
L’arrivo
a San Vittore
L’eco
del suo operato arriva al cardinal Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano, nel
cui territorio diocesano si trova Arese. Tramite i superiori salesiani, gli dà
l’incarico di cappellano di San Vittore, negli anni in cui, ai detenuti comuni,
si affiancano i terroristi italiani, spesso in celle sotterranee, al buio: non
a caso, in modo spregiativo, erano definiti “topi”. Don Luigi si appella alla
Corte Europea di Strasburgo e riesce a ottenere condizioni più umane per
loro.
Anni
dopo, definirà la sua opera come «bonifica della persona e della seminazione
della Parola di Dio». Per lui, infatti, «La persona umana è educabile, può evolversi
e trasformarsi, nel bene o nel male, può aprirsi alla verità ed essere
illuminata, può addomesticare la propria aggressività, orientare verso il bene
le sue forze e l'intera vita. Era ed è ancora possibile perché questo è già
avvenuto e avviene ancora oggi. L'uomo malvagio torna a essere buono, diventa
uomo di Dio». La Parola viene da lui seminata in omelie di fuoco, che gli ex
detenuti ricordano ancora, a distanza di anni. Il rispetto per la loro dignità
emerge poi da un gesto non comune, che compie nelle Messe solenni: passa a
incensare i detenuti nei singoli Raggi.
In
questa “seminazione”, don Luigi trova un alleato prezioso nel cardinal Carlo
Maria Martini, dal 1980 arcivescovo di Milano. La sua disponibilità ad
ascoltare i brigatisti e le sue catechesi alla radio, specie quelle sul Salmo
50, li convincono a cominciare un percorso di recupero. Alla fine, scelgono di
consegnargli le loro armi, nel tardo pomeriggio del 13 giugno 1984. Quattro
anni prima, al termine di una Messa, il salesiano aveva detto al vescovo
gesuita, non ancora porporato: «Vedrà eccellenza, che un giorno tanti
“Innominati” verranno da lei, si convertiranno alle sue parole e le
consegneranno le armi».
Sempre
dalla parte dell’uomo
Nel 2008 don Luigi, ormai anziano, lascia l’incarico di
cappellano, per andare a vivere al suo paese, Cortenova, insieme alla sorella
Tarcisia. Rimane in contatto lo stesso con i confratelli della comunità di
Sant’Agostino a Milano, presso la quale risiedeva. Anche alcuni dei “briganti”
di San Vittore (lui stesso li aveva presentati con quel termine al cardinal
Martini) gli telefonano oppure vanno a trovarlo, per ringraziarlo di averli
aiutati a tornare buoni.
Il 24 maggio 2013, nell’Aula Paolo VI dell’Università
Pontificia Salesiana, riceve la laurea honoris
causa in Scienze della Comunicazione Sociale per la sua capacità di educare
tramite i mezzi espressivi del teatro e non solo, mai venuta meno neanche negli
anni del carcere.
Nel discorso di accettazione si esprime così: «Don Bosco
ricordava ai Salesiani, citando gli Atti degli Apostoli, che Gesù prima faceva
poi insegnava. Subito mi sono messo dalla parte del colpevole. Anche in questo
Gesù Maestro ce ne dà l'esempio. Non è infatti possibile aiutare una persona a
cambiare la sua vita in meglio, se non ci si mette dalla sua parte, se non si
prende a carico la sua vita e la sua storia. Solo così lo si può capire
interamente, si può collaborare con lui a diagnosticare i mali che lo
affliggono, e a trovare insieme i rimedi, per aiutarlo a riconquistare la vera
libertà».
Don Luigi è morto il 10 luglio 2018 nell’ospedale di Lecco.
I suoi funerali si sono svolti il 12 luglio 2018 nella chiesa di Sant’Agostino,
alla presenza dei Superiori salesiani, delle autorità civili e di molti
esponenti del mondo carcerario. All’uscita, è stata distribuita la sua
immagine-ricordo, con alcuni versetti del capitolo 25 del Vangelo di Matteo e
un pensiero scelto come sintesi della sua vita: «Aiutami, o Signore, a compiere
la missione che oggi mi hai dato: annunciare ai poveri il tuo Vangelo, curare i
cuori ammalati, liberare le persone schiavizzate, liberare i prigionieri,
testimoniare la tua misericordia».
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 1 (gennaio 2019), pp. 16-17 (visualizzabile
qui)
Commenti
Posta un commento