Alessandro Galimberti c’entra ancora con me
Sono
trascorsi quindici anni esatti da quando Alessandro Galimberti, seminarista
nativo di Lissone, ha lasciato questo mondo. Non posso fare a meno di
continuare a pensare che mi abbia stravolto l’esistenza, facendomi riscoprire i
doni che Dio mi ha dato e portandomi a sognare che, un giorno, potessero venire
impiegati per il bene di tutti. In parte è successo, in parte è ancora da
realizzarsi.
Quanto
segue è frutto delle mie riflessioni personali e dell’idea che mi sono fatta di
lui, mediante i suoi scritti e i racconti di persone che l’hanno conosciuto
quand’era in vita; io, ribadisco, non ho mai potuto incontrarlo di persona.
Per
approfondire la sua vicenda, rimando ai paragrafi Per saperne di più e Su
Internet del post che ho pubblicato cinque anni fa.
Dall’entusiasmo alla prudenza
La
mia percezione della sua testimonianza è cambiata da quel maggio o giugno del
2006 in cui le Figlie di San Giuseppe di Rivalba m’indicarono la sua foto, segnata
da una croce, sul tradizionale tableau
con le foto dei candidati al sacerdozio di quell’anno.
Sono
passata da un entusiasmo a tratti esagerato a una prudenza che, tuttavia, non mi
ha impedito di parlare. Più che distribuire a pioggia le immaginette con la
preghiera Barattolo di nardo, ho
iniziato a centellinarle, sia perché altrimenti mi sarebbe finita la riserva,
sia per non causare confusione: dopotutto, è ancora un semplice Testimone.
Rileggendo gli scritti
La
lettura delle lettere, delle pagine di diario e delle poesie nel libro uscito
giusto cinque anni fa me l’ha restituito in tutta la sua verità, compreso nello
sconforto, a tratti, per la malattia del sangue che l’aveva colpito, ma anche
nei turbamenti che lo avevano colto quando, forse, ripensava al suo passato
precedente l’ingresso in Seminario.
Proprio
questo mi ha portata a domandare se fosse stato sincero con Gesù: se uno sceglie
di diventare sacerdote, pensavo, deve esplicitare ancora di più di un comune
fedele il comandamento dell’amore verso Dio. Altre persone che ho interpellato hanno
provato a tranquillizzarmi: ho quindi capito che non avrebbe pregato con tale
intensità se per lui il Signore non fosse stato davvero più importante di ogni
cosa.
In
ogni caso, ho pensato di dovermi moderare ancora di più nel relazionarmi con i seminaristi
e i preti giovani di mia conoscenza. Più di una volta ho raccomandato loro di
non pensare ad altro che alla propria formazione e di non lasciarsi distrarre
da nulla e da nessuno, nemmeno da me; ragion per cui ho ridotto le visite in
Seminario, le e-mail e i messaggi, perfino quei radi incontri di persona al
termine di qualche celebrazione in Duomo o altrove.
Come sarebbe stato “don” Alessandro?
Ogni
tanto, poi, mi sono ritrovata a fantasticare su che tipo di sacerdote lui avrebbe
potuto essere. Ho pensato che, da buon ex-allievo salesiano, avrebbe avuto un
occhio di riguardo per gli educatori dell’oratorio dove sarebbe stato destinato
dopo l’ordinazione, incoraggiandoli a indicare ai ragazzi che Gesù non lascia
mai solo nessuno.
Immaginando
poi il suo stile di presenza sui social
media e tenuto conto che, per quel che so, amava stringere relazioni con
chiunque via lettere, e-mail e SMS (Facebook non era ancora diffuso), ho ipotizzato che avrebbe potuto avere account su ogni social possibile e che avrebbe anche aperto un blog che sarebbe
presto finito (perché no?) tra i miei preferiti. Quanto ai contenuti, sarebbe
stato uno di quei preti che postano riflessioni sulla Parola del giorno e su
come la vivono nei fatti della vita: in breve, un influencer del Vangelo.
Mi
piace pensare che non avrebbe vissuto la liturgia personalizzandola in maniera
eccessiva: era stato ministrante e aiuto-cerimoniere, per cui sapeva benissimo
come i riti celebrati a dovere fossero un mezzo per lodare Dio. Se non ricordo
male, in uno dei suoi ultimi contributi per Fiaccolina,
scritti durante la degenza finale al Policlinico di Milano (al cappellano che
gli suggeriva di riposare, rispondeva che i lettori l’aspettavano…), paragonava
i gesti dei chierichetti, destinatari di quella rivista, alla danza del re
Davide attorno all’Arca dell’Alleanza.
Purtroppo,
però, queste rimangono fantasticherie; i fatti sono altri. Quando ne ho avuto
la possibilità, li ho raccontati anche sulle pagine di Sacro Cuore VIVERE, dopo che il direttore, inizialmente, mi aveva
chiesto di occuparmi di altre storie. In quell’articolo, che ho ripreso qui, ho
provato a essere distaccata, ma non ci sono riuscita del tutto.
La diffusione del “profumo” continua
Intanto,
però, continuavo a chiedermi perché la sua vicenda non avesse ancora varcato i
confini nazionali. Certo, Voglio essere
profumo, il film a lui ispirato, è stato richiesto ben oltre la Brianza e
la Lombardia, ma non mi sembrava avergli ottenuto la notorietà di altri giovani:
sia di quelli per cui, a fronte di una fama di santità non artificiosamente
procurata, è stata aperta la causa di beatificazione e canonizzazione, sia di
quelli che vengono nondimeno considerati esemplari e proposti a ragazzi e
giovani.
Ho
deciso quindi di attuare un ultimo tentativo, dopo il quale mi sarei limitata a
pregare e sperare. Tre anni fa, partecipando alla presentazione dei palinsesti
di TV2000, ho consegnato a un giornalista il libro degli scritti, domandandogli
di farlo avere alla conduttrice del programma Bel tempo si spera. Ho ricevuto risposta tramite posta elettronica
(avevo lasciato il mio indirizzo in un biglietto): da allora, ogni mattina, ho
aspettato che la promessa contenuta nell’e-mail si realizzasse.
Il
15 febbraio 2018 ho scoperto, via Facebook, che il regista di Voglio essere profumo sarebbe stato ospite
a Bel tempo si spera per parlare
della sua ultima fatica, Cruxman. Avevo notato che,
nel film, c’era un omaggio ad Alessandro, di cui era amico, ma non pensavo che
anche in trasmissione ne avrebbero parlato. Una foto, però, mi faceva ben
sperare: la conduttrice aveva in mano anche il DVD dell’altro film.
A
quel punto, ho cercato la parte di trasmissione relativa. Quasi non potevo
crederci: gli ultimi cinque minuti erano dedicati proprio a lui, citato con nome e cognome.
La
sorpresa è stata grandissima, ma ancora di più lo è stato vedere che Alessandro
è stato incluso tra i Giovani Campioni
presentati in un recentissimo libro. L’autore mi ha raccontato di essere stato colpito dal suo
percorso di discernimento e dal fatto che aveva ben chiara la meta da
raggiungere mediante la vita in Seminario: la gioia vera e piena che deriva dall’essere
sempre con il Signore.
Un segno, forse
Quando
ho intervistato Lodovica Maria Zanet sui temi dei suoi libri, le avevo chiesto
anche se fosse lecito invocare privatamente qualcuno che non fosse nemmeno Servo
di Dio. La sua risposta affermativa faceva il paio con quello che mi suggerì un
sacerdote: dovevo chiedere un segno, per essere certa che il giovane seminarista
potesse intercedere per me.
Lo
scorso ottobre, in una situazione molto difficile per la mia famiglia, mi è
venuto spontaneo chiedere il segno che mi era stato suggerito. Mentre pregavo,
mi è arrivato un messaggio via WhatsApp: conteneva il collegamento alle pagine
di Aleteia dove, attingendo da Giovani campioni, si parlava di
Alessandro. Ho avuto l’intima percezione che Dio mi volesse ricordare, ripresentandomi
quella storia, che non dovevo essere pessimista. Pochi istanti dopo, la situazione
ha iniziato a volgere al meglio.
Ritorno a Lissone
Così
anche quest’anno, a Dio piacendo, sarò a Lissone, nella chiesa prepositurale dei SS. Pietro e Paolo, per la Messa del quindicesimo
anniversario. Non so chi la presiederà, dato che neppure Insieme, il foglio informativo della Comunità Pastorale Santa
Teresa Benedetta della Croce, ne dà notizia.
Quel
che è certo, ringrazierò ancora una volta il Signore per avermi fatto incontrare
Alessandro mediante la Comunione dei Santi: beninteso, nel senso di sancta, ossia delle “cose sante” di cui
lui ha beneficato in vita e a cui io continuo ad attingere.
Infine,
pregherò perché, se Dio vorrà, raccontare della sua vicenda e di tante altre,
anche di persone viventi, possa servire per rafforzare la fede di molti, com’è
successo a me.
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