Tre domande a... Lodovica Maria Zanet: come scoprire e dimostrare la santità


La copertina de La santità dimostrabile
Chi è?

Lodovica Maria Zanet, milanese di nascita, ha alle spalle una laurea in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, completata da un dottorato presso la Scuola Superiore di Alti Studi del San Carlo di Modena. Già Borsista del Centro Universitario Cattolico della CEI, oggi collabora con l’Università Cattolica ed è docente alla sezione torinese della Pontificia Università Salesiana. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, in ambito filosofico e di spiritualità. 
Collabora anche con la Postulazione Generale dei Salesiani per la quale, in particolare, è incaricata di redigere le “Positiones” (plurale di “Positio”, la presentazione argomentata delle prove) sulle virtù eroiche o il martirio dei candidati agli onori degli altari. Nel 2014 ha conseguito il Diploma di Postulatore rilasciato dalla Congregazione delle Cause dei Santi.

Cosa c’entra con me?
Nei primi mesi dello scorso anno, avevo visto un testo interessante sul sito Libreria del Santo: il titolo era La santità dimostrabile – Antropologia e prassi della canonizzazione. Subito è scattato in me il desiderio di leggerlo: non mi sembrava una pubblicazione poco curata, ma allo stesso tempo doveva avere un taglio accessibile a tutti.
Mi sono appuntata il titolo, poi, il 26 maggio 2017, mi sono decisa a comprarlo. La reazione del commesso della libreria era palesemente ironica: «Vuoi canonizzare qualcuno?». Più che altro, volevo imparare come si fa ad alimentare una fama di santità senza commettere errori e capire, dalla voce di un’esperta, le fasi delle Cause.
Pochi mesi fa, invece, ho scoperto allo stesso modo dell’uscita di un nuovo saggio. Il tema era Martirio – Scandalo, profezia e comunione. Dato che la lettura del primo libro mi aveva fatto sorgere molte curiosità e altrettanti interrogativi, ho pensato di cercare i contatti dell’autrice, basandomi sulle sue note biografiche. Dopo mesi in cui l’appuntamento non era possibile prima per ragioni sue, poi per le mie, abbiamo fissato un appuntamento per lunedì 14 maggio.
Questa è la sintesi di un’intervista più ampia, che potete leggere qui. Finalmente, dopo mesi di attesa e di speranza, quell’articolo mi è valso una menzione sulla rubrica WikiChiesa di Avvenire, dove il giornalista Guido Mocellin indaga le notizie ecclesiali che appaiono in Rete e come vengono recepite.
Lo schema che uso qui, però, mi obbliga a selezionare le tre domande più accessibili a un pubblico di non specialisti e che, immagino, qualche volta vi siete posti anche voi, magari dopo aver letto almeno in parte l’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate.

Cominciamo con una domanda che mi preme molto. Se uno «immagina in cielo» una persona, come lei scrive ne La santità dimostrabile, e ricorre a lui o lei nella preghiera privatamente, anticipa il giudizio ufficiale della Chiesa? E se convince altri fedeli a fare lo stesso?
Anzitutto, è necessario distinguere tra venerazione privata e culto pubblico. Il culto pubblico consiste, per esempio (ma non solo!) in: la Messa e/o l’Ufficio dedicati a un beato o a un santo; invocare il loro nome nelle litanie dei beati o dei santi; raffigurarli con segni come l’aureola… Sono espressioni che, in quanto dotate di una loro ufficialità anche liturgica, suggeriscono – ecco dove sarebbe il culto indebito se si tentasse di attuarle contro o prima del giudizio della Chiesa – che ci sia stato, appunto, un giudizio della Chiesa stessa sulla fondatezza di tale santità.
Faccio un esempio: se un sacerdote decidesse (l’esempio è inverosimile, ma spero aiuti il lettore a capire) di celebrare una Messa come atto di culto pubblico verso un Servo di Dio (su cui dunque la Chiesa ancora sta indagando), compirebbe un atto di culto indebito, anche se è da solo e celebra questa Messa in assenza di popolo di Dio o alla presenza di pochissimo popolo di Dio. Se invece alla fine di una Messa si prega insieme per chiedere la beatificazione o la canonizzazione di un Servo di Dio, riferendosi alla preghiera approvata dalla gerarchia ecclesiastica, è venerazione privata. In presenza di atti di culto indebito, le Cause vengono bloccate. Il culto pubblico, inoltre, viene concesso come culto solo locale con la beatificazione, prescritto in modo universale con la canonizzazione.
È interessante provare a capire come sia strutturata una preghiera per la devozione privata ben fatta: lì si potrà vedere che anzitutto non si prega un Servo di Dio, ecc. ma si prega Dio, interponendo la mediazione intercessoria di un Servo di Dio. Poi spesso si chiede: «Se è Tua volontà, o Signore…». Quindi non solo non si anticipa il giudizio della Chiesa, ma si chiede anzi luce attraverso la preghiera.

«Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente», scrive papa Francesco nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate. Quindi il popolo di Dio produce spontaneamente frutti di santità. Come mai alle volte succede che non ce ne accorgiamo subito? Come facciamo, mi conceda l’espressione, a fiutare il «buon profumo di Cristo» in queste persone?
Provo a rispondere con un esempio, che è quello appunto di Chiara Corbella Petrillo a Roma. Lei muore a ventotto anni. È legata ai Francescani, è andata a Medjugorje, ma senza essere vincolata strettamente a una realtà di Chiesa come laica, come mamma, come sposa; una vita molto semplice. Noi vediamo che in realtà già il giorno dei funerali il Cardinal Agostino Vallini, allora Cardinal Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, la definisce «una seconda Gianna Beretta Molla». Poi il primo libro su Chiara, scritto da una coppia di amici, una cosa molto semplice che nasce come condivisione e testimonianza. Ebbene, la fama di santità di Chiara trova da subito ampia eco in Italia e in altri paesi. Stupore, gioia, esito inimmaginabile, che coglie di sorpresa, per primi, coloro che l’hanno conosciuta! Questo è importante: quando la fama è autentica c’è sempre sproporzione tra – uso un’espressione molto brutta, ma spero efficace – l’investimento di risorse e di energie nel far conoscere una determinata figura, e gli ampi esiti che ne conseguono. La vera fama è proprio un’opera dello Spirito Santo: noi, si fatica a star dietro a tutto il bello che accade!
Un’altra cosa molto bella è che, in presenza della vera santità, da una parte c’è un profilo di coerenza, dall’altra inesauribili sorprese. C’è sempre una ricchezza e questo è tipico dell’essere uniti a Cristo. San Giovanni della Croce dice che Gesù Cristo è come una miniera: più ci si addentra, più si scoprono filoni nuovi. E la santità, piena conformazione a Cristo, partecipa di tale dinamismo. Le cose vere non sono mai piatte, ripetitive, rigide: sono vive! Altre volte, invece, capita di fare discernimento (per introdurre eventualmente una Causa) su figure magari note per benemerenze ecclesiali, sociali… Però, a un certo punto – non è un’espressione tecnica, ma rende l’idea – ci si accorge di “girare in tondo”: si dicono sempre le stesse cose, si ricordano solo gli anniversari…: manca spontaneità, manca la creatività e l’imprevedibilità dello Spirito Santo, che soffia dove vuole. E poi i segni: una vera santità è sempre accompagnata dalle grazie che vengono attribuite all’intercessione di queste persone. La fama di segni aiuta a certificare l’autenticità della fama di santità. Dove si ricorda solo una benemerenza, la fama di segni tenderà sempre a mancare o a essere insoddisfacente. Se la santità è vera, le grazie invece piovono…
Sempre sulla Gaudete et exsultate e concludendo: in che senso, secondo lei, può esistere una «classe media della santità»? Se siamo tutti chiamati alla santità, perché porre distinzioni?
Provo a rispondere con un’immagine presa da un commentatore di Adrienne von Speyr, Patrick Catry. Se noi pensiamo a una cattedrale – o al Duomo di Milano visto che ora siamo a Milano – vediamo la facciata, ma sappiamo che la chiesa si sviluppa verso l’interno. Possiamo pensare ai beati e ai santi canonizzati, o comunque alla santità dimostrata, come alla facciata della chiesa: sono i santi visibili, quelli che sono definiti tali dall’autorità della Chiesa e che si “vedono da lontano”.
Poi c’è l’interno della cattedrale, l’interno del Duomo, cioè la santità di cui parla papa Francesco nella Gaudete et exsultate: una santità che non viene magari riconosciuta tale dalla Chiesa, ma che non di meno viene profondamente vissuta. È interessante, anche se può sembrare un po’ tecnico, che la santità ha due tipi di requisiti: requisiti definiti necessari e requisiti contingenti. Noi sappiamo che una cosa necessaria “è e non può non essere”. Quindi, cosa sono i requisiti necessari della santità? Le virtù, il martirio o il dono della vita. Santi sono coloro che, nell’umiltà del loro vivere quotidiano, sono uniti a Cristo e alla Chiesa dalla retta fede e vivono una generosa carità.
La santità dimostrabile, richiesta per una Causa, esige però altri requisiti: la fama di santità (o di martirio, ecc.) e la fama di segni. Sono requisiti “contingenti” (che ci possono essere o no) perché non servono per essere santi: le nostre mamme, i nostri papà, consacrate umilissime o missionari in zone disperse, difficilmente godranno di questi requisiti contingenti. Però, per i santi che si vogliono canonizzare, anche i requisiti contingenti diventano necessari: serve la fama, come abbiamo visto. Cioè, tali requisiti non servono per essere santi (ovvero realmente uniti a Dio), ma per essere proclamati tali dalla Chiesa.
Ebbene, generazione per generazione, Dio stesso permette che, tra i molti santi, per lo più nascosti allo sguardo umano, alcuni godano di maggior rilevanza, e sono i santi oggetto delle Cause. Questa santità non viene riconosciuta solo o tanto a titolo di merito loro, ma per dare gloria a Dio e aiutare chi ancora è in statu viae, la Chiesa militante. È molto bello precisare che il vero fine delle Cause è la gloria di Dio e il bene delle anime. Magari leggere la vita di un santo mi aiuta a convertire lo sguardo e convertire il cuore in una particolare situazione di vita. Quindi loro aiutano noi, potremmo dire. La cosa splendida della Gaudete et exsultate è che ricorda che la santità che conta non è la santità canonizzata dalla Chiesa, ma una vita buona, una vita bella, una vita di unione a Dio e di amore al prossimo: quello è importante. Poi, tra le migliaia e migliaia di persone che generazione per generazione vivono la santità, vivono unite a Dio e in comunione con il prossimo, solo alcune verranno scelti come esempi e come intercessori.

Per saperne di più

Lodovica Maria Zanet, La santità dimostrabile – Antropologia e prassi della canonizzazione, EDB 2016, pp. 240, € 20,00.
Il primo saggio tratta più diffusamente delle tappe delle cause di beatificazione, spiegando anche le ragioni profonde che portano la Chiesa a indagare la presunta santità dei suoi figli.

Lodovica Maria Zanet, Martirio – Scandalo, profezia e comunione, EDB 2017, pp. 152, € 14,00.
Il secondo si concentra invece sugli aspetti relativi alle cause per martirio e, tramite esempi precisi, chiarisce le ragioni dei testimoni della fede fino al sangue.

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