Come profumo di nardo – Alessandro Galimberti, seminarista (Cammini di santità # 3)
Fonte per la foto: don
Ennio Apeciti (cur.),
Voglio essere come profumo di nardo, Velar – Marna 2014, p. 6 dell’inserto fotografico |
Il quarto dei miei articoli per la rivista Sacro Cuore dei Salesiani di Bologna (l’autorizzazione
per riprendere il secondo non mi è ancora giunta) originariamente non doveva
essere dedicato a questo personaggio. Come avevo già raccontato, aver saputo di
lui e del suo desiderio di essere sacerdote mi ha davvero cambiato la vita,
spingendomi, tra l’altro, a raccontarne la storia tramite ogni mezzo che mi
fosse possibile.
Subito dopo che il direttore, don Ferdinando,
mi ha contattata, gli ho presentato alcuni argomenti da trattare, per primo
questo: tuttavia, mi venne respinto, perché non lo giudicava sufficientemente
attuale.
Quando sono andata a Bologna per vedere coi
miei occhi il Santuario del Sacro Cuore e le opere annesse, di cui la rivista è
organo ufficiale, ho colto l’occasione per ripresentarglielo. Don Ferdinando si
è molto commosso e, nel giro di pochi mesi, ha cambiato parere: potevo dedicare
ad Alessandro il pezzo per il numero di giugno. Ci ho visto una coincidenza
quasi provvidenziale: proprio nel giugno di dieci anni fa, infatti, lo
menzionavo per la prima volta nel mio diario spirituale.
Avrei voluto allora riprendere l’articolo qui
il 10 di questo mese, in occasione del decimo anniversario di ordinazione dei
preti ambrosiani del 2006, i compagni di classe del giovane seminarista, ma è
l’indomani delle nuove ordinazioni e, per celebrarle, ho in serbo un’altra
idea. Insomma, perdonatemi se per l’ennesima volta parlo di lui e se ho
commesso qualche errore più o meno grave: d’altronde, non l’ho conosciuto di
persona e mi sono basata su testimonianze che ho letto o ascoltato da altri.
Il titolo principale è stato deciso dal
direttore, mentre quelli dei paragrafi li ho scelti io e sono stati approvati.
* * *
In un
ospedale come tanti, Maria Rosa, infermiera, si sta apprestando ad aiutare i
colleghi per un prelievo. Si trova di fronte un giovane dall’aria allegra, che
non perde occasione di sdrammatizzare. Improvvisamente, lo vede assumere
un’espressione seria e sente queste parole, che lui rivolge a uno dei medici:
«Sì, va bene! Dottore, io non le chiedo tanto, io non voglio tanto. Le chiedo
solo di farmi vivere ancora quattro anni, il tempo di diventare prete. Le
chiedo il tempo di celebrare una Messa, la mia Messa, una sola volta: una Messa
vale tutte. Dottore, il tempo di una Messa...». Il paziente si chiama
Alessandro Galimberti ed è un seminarista della diocesi di Milano.
Vado in seminario
Nato a
Lissone in Brianza il 10 agosto 1980, è il primo dei due figli di Luigi
Galimberti e Maria Grazia Colombo. Dal sacerdote del suo oratorio, ma anche da
suo zio don Ambrogio, fratello della madre, ottiene fin dall’infanzia consigli
ed esempi per progredire sulla via del bene. Riceve la Prima Comunione a 8 anni
e la Cresima a 11; nel frattempo, s’impegna nel servizio all’altare nella
chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Lissone, la sua parrocchia.
Un
giorno, mentre è in viaggio in auto con i genitori, rivela loro una decisione
su cui ha molto meditato: vuole entrare in seminario. Non da solo: anche suo
fratello Davide manifesta, quasi contemporaneamente, la stessa intenzione. Papà
Luigi rimane sbalordito, ma alla fine, insieme alla moglie, acconsente.
Nell
settembre 1999 Alessandro varca quindi l’ingresso della sede di Venegono
Inferiore del Seminario Arcivescovile di Milano, per frequentare il Corso
Propedeutico: ha da poco terminato le superiori presso le Opere Salesiane di
Sesto San Giovanni, dove ha ottenuto la maturità scientifica con indirizzo
tecnologico.
Proprio
ai suoi precedenti educatori, una volta passato al Biennio teologico a Seveso,
scrive il 31 gennaio 2002: «Sono entrato in Seminario tre
anni fa pensando di avere anche io una buona stoffa, così come don Bosco era
abituato a riconoscere nei suoi ragazzi, in modo particolare per San Domenico
Savio. Ed ora sono qui ad affrontare un biennio di Spiritualità. Ragazzi... non
è per niente facile essere cristiani, e essere amici seri di Gesù. Non è facile
ma è molto bello».
Un discernimento
doloroso
Tuttavia,
proprio nei primi mesi di studio, insorgono in lui i sintomi di una malattia
del sangue, di tipo autoimmune. Monsignor Ennio Apeciti, che all’epoca era
docente di Storia della Chiesa al primo e all’ultimo anno di Teologia, ricorda
che spesso doveva bere per assumere le medicine e che, per scusarsi, gli
ricordava sorridendo: «Sa, devo bere con quello che prendo. Non pensi che è per
maleducazione. Sa, dicono che devo bere molto con le pastiglie che prendo».
Trascorre
quindi molto tempo fuori dalle mura del seminario, impegnato in prelievi,
controlli, visite più o meno lunghe. Prova lo stesso a tenersi in pari con gli
esami, aiutato dagli educatori e da quelli, tra i compagni di studi, che gli
sono più amici. Le sue armi sono la preghiera, in particolare quella della
Liturgia delle Ore e del Rosario, e l’Eucaristia. Eppure preferisce non essere
compatito o visto solo come una cavia da laboratorio: «Un “sano” malato» è la
definizione che dà di sé, nelle lettere al direttore spirituale dei
seminaristi.
Nonostante
la solitudine che spesso avverte, o i ricordi della sua precedente vita che
riaffiorano alla mente, Alessandro cerca di stare presso la Croce: è un
concetto che torna spesso, nelle sue lettere e nei suoi scritti poetici.
Chiedere la gioia per rivelare Gesù
In uno
di questi, forse il più famoso in assoluto, il giovane si paragona all’olio di
nardo versato, secondo il racconto di Giovanni, da Maria sorella di Lazzaro sui
piedi di Gesù. È il brano di Vangelo che lui aveva scelto come centro della Regola di Vita nella quale, già nel
2001, segnava i punti fondamentali della sua vita di fede. Essere come quel
profumo, per lui, significa essere anzitutto «strumento di rivelazione» della presenza
del Signore, anche se non poteva esercitare direttamente il ministero.
I superiori e il
cappellano dell’Ospedale Policlinico di Milano iniziano allora a ipotizzare di
chiedere al Papa la dispensa speciale per ordinarlo in anticipo, ma una serie
di circostanze impediscono loro di agire, non ultima un’infezione che induce il
seminarista in coma farmacologico. Ecco cosa scrive, una volta ripresosi, ai
compagni che studiano a Venegono: «Carissimi fratelli, la fede come l’eternità
è fatta dall’attimo di amore intenso che si ha con il Padre. E per me, nella
mia vita, entra proprio con un’unzione di un olio, con un profumo, il profumo
dell’oggi per me di Gesù. E oggi lo assaporo nella malattia, senza avere timore
di chiedere quello che veramente desidero: la gioia.
E chiedere la
gioia non significa per niente evitare nella vita gli ostacoli. Essere prete,
essere uomo di Dio è forse un impegno che ti permette di buttarti a capofitto
dentro il mare della vita, per alcuni della sofferenza, sapendo che, anche se
ti senti verme, sei pur sempre custodito nelle mani calde del Padre».
Nella
notte tra il 2 e il 3 gennaio 2004, ormai in fase terminale da giorni,
Alessandro ha lasciato questo mondo.
Il profumo si espande
Cinque
anni dopo, la GPG Film, una casa cinematografica indipendente di Lissone, ha
preso spunto dalla sua vicenda per il soggetto di Voglio essere profumo, un lungometraggio di finzione che, grazie al
passaparola, è stato proiettato in gran parte d’Italia. Monsignor Apeciti, per
saldare il debito di riconoscenza che sente verso il suo giovane allievo, ne ha
raccolto gran parte degli scritti nel volume Voglio essere come profumo di nardo, uscito nel decimo anniversario
della sua scomparsa.
Il
ricordo di Alessandro non si limita più solo alla sua parrocchia o alla sua
diocesi, ma è patrimonio di un numero sempre più crescente di fedeli. Chi gli
fu vicino negli anni di formazione e ora è sacerdote sente sia il rimpianto di
averlo perso, sia lo sprone a vivere pienamente il sacramento dell’Ordine, quasi
per realizzare quello che Alessandro aveva desiderato con tanta passione.
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