Vent’anni da cresimata
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Non
avevo ancora dodici anni quando, nel pomeriggio del 2 giugno 1996, mi sono
diretta verso la mia chiesa parrocchiale per ricevere il sacramento della
Cresima, insieme ai miei compagni di catechismo. Ora che di anni ne ho quasi
trentadue, provo a ripercorrere quello che ho provato allora e come lo Spirito
Santo, già sceso in me nel giorno del Battesimo, mi ha accompagnata e sostenuta
nelle scelte della vita.
La delusione e il canto
La
prima sensazione che ho avuto è stata di parziale delusione, sopraggiunta
quando ho saputo che non sarebbe stato il mio arcivescovo a impartire il
sacramento, ma un suo vicario; per la verità, ero venuta a saperlo pochi mesi
prima. La mia catechista preparò in maniera speciale me e compagne – da poco
avevamo gli oratori riuniti, ma il mio anno aveva ancora classi separate –
insegnandoci a cantare il Discendi Santo
Spirito: dev’essere stato allora che ho compreso più pienamente cosa
significasse il canto come preghiera, anche se l’avevo già intuito grazie alla
maestra di Religione a scuola.
La madrina
Come
madrina di Cresima i miei scelsero la stessa cugina che mi aveva tenuta a
battesimo, ma, se fosse stato possibile, non avrei scelto lei – purtroppo
deceduta pochi anni fa a causa di una forma di diabete – bensì sua sorella, che
mi aveva insegnato tante storie di santi e mi accompagnava sempre, quando
andavo a trovarla durante le vacanze, a visitare chiese e santuari. Ciò non vuol dire che non volessi bene alla madrina designata, comunque.
Ho visto
che molti ragazzi, oggi, prendono il padrino o la madrina tra persone di
provata fede e pratica sacramentale, anche al di fuori del parentado: la trovo,
nel suo piccolo, una scelta coraggiosa.
Il giorno fatidico
Così,
come dicevo, verso le 14 del 2 giugno ero già pronta, con un vestito azzurro
adattato dallo stesso abito che mia sorella aveva indossato nella medesima
circostanza. Malvolentieri mi sono lasciata mettere al collo un ciondolo di
murrina veneziana, uno degli inutili regali che i parenti mi avevano fatto
nonostante avessi fatto circolare la voce che non volevo gioielli o brilli
vari: avrei preferito doni in denaro, così da comprarmi il mio primo e vero
computer.
Ero
parecchio nervosa, questo lo ricordo bene: tormentavo e ritormentavo il
fiocchetto di velluto blu che guarniva il vestito, mentre notavo che molte
delle mie compagne indossavano ornamenti simili ai miei. Al momento giusto,
però, ho riguadagnato concentrazione: ho quindi preso il mio posto nella fila
dei cresimandi per entrare processionalmente in chiesa.
Non
ricordo nulla dell’omelia e ho perfino dovuto andare in archivio parrocchiale
per risalire al nome del vescovo ausiliare venuto per l’occasione. Di sicuro,
però, il momento della crismazione mi è rimasto più impresso.
Per
tutto il tempo in cui sono rimasta in fila, non ho distolto lo sguardo dalla
punta delle mie scarpe, mentre la madrina, come d’uso, mi seguiva con la mano
sulla spalla. Arrivata di fronte al vescovo, ho quasi sussurrato il mio nome,
sempre senza alzare gli occhi. Dopo che mi è stata unta la fronte, mi stavo
preparando allo schiaffo che, mi avevano spiegato, doveva rappresentare i colpi
della vita a cui, con l’aiuto dello Spirito, dovevo imparare a resistere.
Non
mi arrivò un ceffone, ma quasi una carezza, seppur forte, seguita da un gesto
non previsto dal rituale: il vescovo mi prese il mento e, finalmente, riuscì a
farmi risollevare lo sguardo. Ho potuto così incontrare in maniera nuova quello
del Cristo Pantocrator raffigurato nell’abside della chiesa – che in effetti
ricorda molto certe antiche basiliche, sebbene abbia poco più di cent’anni –
che già da piccola mi aveva catturata. Ho potuto vedere diversamente, sotto di
lui, la Madonna e gli Apostoli, ciascuno dei quali aveva in mano un cartiglio
con un articolo del Credo.
Il
primo dono dello Spirito che ho ricevuto, quindi, credo sia stata la capacità
di risollevarmi dalla cupezza e dalla depressione che ogni tanto, ancora
adesso, mi prendono. Ho incontrato tante persone, in questi venti anni, che mi
hanno aiutata in questo, sia prendendomi il viso tra le mani e costringendomi a
guardarle negli occhi per ricordarmi che sono preziosa di fronte a Dio, sia con
i loro insegnamenti e incoraggiamenti.
La vita è una lotta, ma lo Spirito è
all’opera
Ai
cresimati si diceva, tanti anni fa, che erano diventati soldati di Cristo.
Avevo letto anch’io quella formulazione in uno dei libri della mia ormai
mitologica nonna, senza la quale non credo che sarei dove sono adesso, seppure
non l’abbia mai conosciuta. L’avevo fatto vedere alla mia catechista, che mi
suggerì di non pensarci, appunto perché era una concezione vecchiotta.
A
distanza di tempo, penso invece che abbia un fondo di verità. Quanti di noi,
infatti, si trovano a lottare anzitutto con se stessi, con le proprie
incoerenze e fragilità; o ancora, quanti si sentono in vario modo emarginati
perché ciò in cui credono non collima con la morale corrente. Lo Spirito c’è,
lo ha promesso Gesù, e ci ricorda tutto quello che Lui ci ha insegnato, spesso
in maniere inconsuete: un incontro, un libro, un articolo anche di cronaca, o
un santino raccattato per strada.
Un
anziano sacerdote, in effetti, quando gli ho confidato la mia preoccupazione
perché mi sentivo fuori dalla norma soprattutto come giovane credente, ha
commentato ridendo che lo Spirito Santo non è mai normale. Penso proprio che
abbia ragione: è disceso su una ragazza pensata e creata da Dio perché fosse
Sua Madre senza che conoscesse uomo; ha permesso guarigioni fisiche e prodigi incredibili;
ha rivestito di potenza quelli che Gesù aveva scelto perché stessero con Lui e
che, senza di Lui, sentivano di non poter fare nulla. Questo solo per limitarci
al Vangelo e al Nuovo Testamento, ma anche la storia successiva della Chiesa è
piena di casi simili.
Quanto
a me, penso di essere stata colmata, da quel giorno di vent’anni fa, di tanti e
tali doni che nemmeno il più lungo dei post basterebbe a enumerare. A ben
vedere, tuttavia, uno è proprio sotto i vostri occhi…
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