Alessandro Galimberti: «Ho trovato la gioia»
Alessandro nella fotografia scelta per la copertina del libro Voglio essere come profumo di nardo (fonte: gruppo Facebook Varcare la soglia) |
Chi
è?
Alessandro
Galimberti nacque a Lissone, in provincia di Monza e Brianza, il 10 agosto
1980, figlio maggiore di Luigi e Maria Grazia Colombo. Bambino e adolescente
vivace e curioso, entrò a far parte dei chierichetti della parrocchia dei SS.
Pietro e Paolo a Lissone dopo la Prima Comunione. Frequentò le scuole superiori
presso le Opere Salesiane di Sesto San Giovanni, diplomandosi nel liceo
scientifico a indirizzo tecnologico. Dopo essersi lungamente interrogato circa
la propria vocazione, entrò nel Seminario Arcivescovile di Milano nel settembre
1999.
In
quello stesso periodo, improvvisamente, si manifestarono in lui i sintomi di
una grave malattia autoimmune del sangue, simile a una leucopenia. Il suo desiderio di diventare
sacerdote, tuttavia, lo spingeva a
impegnarsi il più possibile nello studio e nel tirocinio pastorale.
Morì
nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2004, nell’Ospedale Policlinico di Milano,
due anni prima dell’ordinazione sacerdotale, fissata per il 10 giugno 2006. Alla sua memoria la GPG Film ha dedicato,
cinque anni dopo la sua scomparsa, il film Voglio
essere profumo.
Cosa
c’entra con me?
È
da quando ho aperto Testimoniando che
desideravo scrivere di Alessandro, o meglio, del legame che sento di aver
creato con lui, ma ho preferito attendere il decimo anniversario dalla sua
morte, anche per evitare una sorta di sovraesposizione mediatica, seguita
all’uscita del film a lui ispirato. Ora che è venuto il tempo giusto, mi sento
in dovere di chiarire una volta per tutte come sento che mi abbia cambiato la
vita. Di conseguenza, questo post sarà più lungo del solito.
Tutto
è cominciato tra maggio e giugno 2006; purtroppo non ricordo il mese esatto, ma
doveva essere a ridosso delle ordinazioni sacerdotali di quell’anno. Ero
passata a trovare le suore Figlie di San Giuseppe di Rivalba, presso il loro
negozio-laboratorio di via Pantano a Milano. Avevo familiarizzato con loro per
un banale equivoco, dato che credevo fossero le suore fondate dalla mia patrona
santa Emilia de Vialar, ma mai avrei pensato che quello scambio di fondatori mi
avrebbe portata tanto lontano.
Insomma,
ero entrata dalle suore, quando una di loro mi invitò a pescare un ritaglio di
carta da una scatoletta: mi spiegò che si trattava di uno dei volti dei
candidati al sacerdozio di quell’anno, per cui avrei dovuto impegnarmi a
pregare. Quasi per scherzo, ho accettato e, assunta un’aria solenne, ho estratto una
di quelle piccole foto: si trattava di don Isacco Pagani, la cui espressione
sorridente mi colpì davvero. L’allora superiora della casa, suor Redenta,
m’indicò poco dopo un’altra foto: era quella di Alessandro, il cui nome era
accompagnato da una croce, evidente segnale di morte. Non ho fatto neppure in
tempo a chiedere il perché di quel contrassegno, che la suora ha iniziato a
singhiozzare, dichiarandosi commossa per i genitori di quel ragazzo, per suo
zio sacerdote (fratello della madre), per le zie suore (da parte paterna) e per
suo fratello Davide, anche lui nel Seminario della mia Diocesi (diventato sacerdote nel 2008). Vedendo che le
condizioni non erano favorevoli, ho pensato di lasciar stare. Tuttavia, quel
volto e quel nome continuavano a venirmi in mente, facendomi pensare che,
forse, il suo sacrificio avrebbe valso alla mia parrocchia quella vocazione al
clero diocesano che mancava da più di venticinque anni.
Pochi
mesi prima, le suore Marcelline mi avevano passato la più recente biografia del
loro Fondatore, monsignor Luigi Biraghi, beatificato proprio quell’anno. Sulle
prime, non mi ero accorta della dedica, che menzionava i Candidati 2006 e
quello stesso Alessandro che mi avevano indicato le altre religiose; penso di
essermene resa conto dopo la beatificazione. Non si parlava di lui solo nella
dedica, ma anche nella prefazione, scritta dal cardinal Dionigi Tettamanzi, e
nella postfazione. Un punto in particolare destò la mia attenzione: quando
l’autore racconta di come il giovane, di temperamento scherzoso perfino coi
medici, si fosse un giorno fatto serio e avesse supplicato loro di lasciarlo
vivere almeno il tempo di una Messa. Dopo quell’aneddoto, era riportata una
preghiera-poesia, Barattolo di nardo,
il cui testo mi fece sorgere la prima di numerose domande: come poteva aver
vissuto uno che scriveva così?
Preferendo
evitare d’interrogare le suore, almeno per il momento, mi sono data alla
ricerca telematica, ma non sono stata granché precisa: i primi risultati,
infatti, mi rimandavano a un giornalista sportivo di Como. Ho ristretto la
ricerca, mi pare aggiungendo “seminarista”, e sono pervenuta a vedere pagine
molto più interessanti, quelle del sito dell’Unità Pastorale cui la parrocchia
dei SS. Pietro e Paolo a Lissone, dove il ragazzo è cresciuto, appartiene (ora
è la Comunità Pastorale Santa Teresa Benedetta della Croce).
Più
andavo avanti nella lettura, più ero determinata a capire come davvero lui
avesse vissuto, amato, incontrato la gente. Ho visto che a volte scherzava
perfino sui valori bassi della sua emoglobina, ma non è che gli fosse tutto
facile, anzi: con una punta d’amarezza, riconobbe che spesso i cristiani non
fanno notizia, dato che lo stesso Gesù si è visto preferire Barabba.
Da
una meditazione dedicata alla sua chiesa di origine, ad esempio, ho intuito
quanto vi fosse affezionato e quanto si lasciasse meravigliare dalla storia di
fede che l’aveva preceduto, concretizzata in quella che i lissonesi, con una
punta d’orgoglio, considerano una cattedrale in miniatura.
Le
ricerche sul web mi avevano aiutata, ma desideravo ascoltare qualcuno che mi
sembrava più coinvolto. Col tempo, sono stata accontentata: ora tramite
incontri fortuiti nel centro di Milano o altrove (ricordo con piacere quelli
con don Isacco, il giovane prete che mi era stato affidato in adozione
spirituale, e con suo fratello), ora approfittando del mio passaggio in luoghi
significativi per lui, mi sono fatta un’idea parziale di come Alessandro avesse
trascorso la sua esistenza.
Le
suore, poi, mi hanno passato la fotocopia della trascrizione di un intervento
che monsignor Ennio Apeciti, professore di Storia della Chiesa in Seminario, Responsabile del Servizio per le Cause dei Santi della Curia ambrosiana e autore
della suddetta biografia del Beato Biraghi, aveva tenuto ai microfoni di Radio Maria il 28 ottobre 2004. Le ultime
righe costituirono per me una vera e propria folgorazione e mi resero chiaro il
perché la vicenda di quel giovane avesse incrociato la mia: dovevo impegnarmi a
voler bene ai seminaristi di Milano. Ecco spiegato, quindi, il vero motivo per
cui mi sono affezionata a parecchi di essi, come raccontavo nel settembre 2012 e a
proposito del complessino dei ParRock.
Avevo
già raccontato la felicità che mi aveva presa all’apprendere, nel 2009, che era
in lavorazione un film su di lui, quindi rimando al mio articolo sulla GPG Film
per i dettagli a riguardo.
Per
onestà, riporto di non aver incontrato solo persone che mi hanno raccontato
episodi di vario genere, tendenzialmente di carattere positivo, ma anche altre
che mi hanno messa in guardia. Quando ci si accosta a figure giovanili, si
tende a considerarle già nella gloria per il solo fatto di essere morte
prematuramente, a dispetto di quanto hanno effettivamente compiuto in vita e,
soprattutto, dell’eventuale giudizio ufficiale che le autorità ecclesiastiche
possono pronunciare su di loro. Lo stesso vale per il seminarista lissonese:
solo chi ha condiviso con lui il periodo della formazione sa che persona sia
stata davvero.
Dopo
aver udito questo rimprovero, unito a quello di chi mi ha ordinato di stare
alla larga da lui e famiglia perché io non c’entro nulla con loro, ho passato
un periodo veramente critico, parzialmente mitigato dall’uscita del film e
dall’incoraggiamento di altre persone. A distanza di tempo, ammetto che non è
stato dannoso: dall’entusiasmo con cui inizialmente raccontavo di Alessandro,
sono passata alla prudenza e a descrivere la sua storia così com’è, lasciando
al mio interlocutore (prevalentemente scelto tra suore, seminaristi e giovani
sacerdoti) la possibilità di farsi un’opinione del tutto personale.
Una
sorpresa incredibile mi è accaduta quando, mentre cercavo d’indagare la
“diffusione del profumo” sul web (fuor di metafora, vedere se c’erano altre
pagine su di lui tranne quelle che già conoscevo), mi sono ritrovata davanti al profilo biografico che avevo inviato a santiebeati.it,
ripreso dal portale di notizie e materiali vocazionali vocazioni.net, curato dai padri Rogazionisti del Cuore di Gesù. Da allora, ho preso a collaborare anche a quel sito, subissando il povero amministratore di notizie vocazionali specie provenienti dalla mia Diocesi:
vorrei poter dire che è una grazia di Alessandro, ma ciò cancellerebbe i miei
propositi di cautela.
Tra
coloro che mi hanno sempre sostenuta, un posto d’onore va al signor Luigi, che
ha compreso le mie buone intenzioni, volte ad accendere la luce non su suo
figlio maggiore, bensì sul messaggio da lui portato.
Il
suo Vangelo
Anche
se i miei detrattori possono pensare il contrario, penso che la fisionomia
spirituale di Alessandro possa far sorgere numerosissimi spunti di riflessione.
Se devo sceglierne uno, tuttavia, penso che il più rilevante sia, senza dubbio,
la sua tenacia nel voler diventare sacerdote.
L’ho
riscontrata in tanti altri, più o meno giovani, che lo sono stati unicamente
“di desiderio” o, se vogliamo prenderla dal lato della sofferenza, “di sangue”:
a volte, parlando di lui, mi venivano menzionati casi analoghi, oppure ne sono
andata deliberatamente in cerca. Nel suo, tuttavia, c’è qualcosa di speciale:
la consapevolezza che il dono della propria vita nella consacrazione o nel
ministero rimanda a Gesù stesso, esattamente come il profumo versato sui suoi
piedi da Maria sorella di Lazzaro, di cui parla il brano di Vangelo che gli era
divenuto tanto caro da trasformarlo nella preghiera Barattolo di nardo.
Dato
che quel suo testo è ormai arcinoto, tanto che l’ho inserito in calce al profilo
già citato, prendo un altro estratto da quelli che lui stesso intitolò Scritti d’ignorante saggezza, di cui è uscita
la prima pubblicazione ufficiale, se come tale non va considerato l’opuscoletto
che era stato allegato al DVD del film.
Si
tratta di una frase che gli amici di Lissone hanno fatto incidere sulla mensa
dell’Altare nel Cielo, costruito da loro stessi nel corso di un campeggio in
montagna, nell’anniversario dell’erezione di una croce monumentale voluta da
don Ambrogio, lo zio prete di Alessandro e don Davide, che fu coadiutore nella
loro parrocchia d’origine. Penso che riassuma alla perfezione, per quanto ne
so, il cammino percorso dal semplice testimone che forse prediligo in assoluto:
«Ho cercato di portare il mio sguardo al di là del mondo, ho cercato di vedere come la vita nasce nelle profondità della terra, ho camminato. E poi mi sono seduto ai piedi della croce: per cercare me stesso nel silenzio. Ho trovato la gioia».
E,
mentre tanti immaginano che in Seminario avvengano le peggiori nefandezze o si
appassionano alle vicende, raccontate nei telefilm, di immaginari “uomini di
fede”, io preferisco continuare a indagare storie come questa perché la loro
verità m’interpella da vicino. È questo il motivo per cui, come ho da tempo
anticipato, quest’anno darò molto spazio a raccontare cosa c’entrino con me
tanti seminaristi e giovani sacerdoti, non necessariamente deceduti.
Per
saperne di più
Don Ennio Apeciti (cur.), Voglio essere come profumo di nardo, Velar – Marna 2014, 224 pp., €
15,00.
La
prima raccolta organica degli scritti di Alessandro, curata, in collaborazione
coi familiari, dal professore del Seminario che ne intuì per primo le
potenzialità.
Su
Internet
EDIT 21/02/2019: a distanza di cinque anni, i
collegamenti presenti in questo paragrafo non risultano più funzionanti.
Per questa ragione, invito chiunque volesse sapere
di più su Alessandro o avesse delle testimonianze da riferire sul suo conto a
rivolgersi alla parrocchia prepositurale dei SS. Pietro e Paolo a Lissone, tramite
i contatti presenti sul sito della Comunità Pastorale Santa Teresa Benedetta della
Croce, oppure all’Associazione Culturale Alessandro Galimberti di Lissone (qui i contatti, qui la pagina Facebook).
Volevo commentare questo post, anzi ci tenevo proprio, ma a volte mi sembra di non esser più capace di scrivere una sola riga.
RispondiEliminaSarà per la prossima.
In ogni caso, ho letto pressoché ogni link che hai messo e nel post sul film; ho visto trailer e soprattutto spezzone (quello di nove minuti), e sono ancora più interessata di prima. Questo qui (Alessandro) non lo mollo.
È la stessa cosa che ho pensato io, quando le suore mi hanno passato il primo materiale su di lui.
EliminaColgo l'occasione per segnalare che, a pagina 164 del libro, il pensiero riportato sull'Altare nel Cielo è citato come segue:
«Ho cercato di portare il mio sguardo al di là del mondo. Ho cercato di vedere come la vita veniva creata nelle profondità della terra. Ho cercato di vedere nel volto di due che si amano la gioia del Cristo che era con loro. Ho cercato. E poi mi sono seduto: dovevo nel silenzio cercare me stesso. Ed è gioia».
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaHo scoperto due giorni fa che monsignor Apeciti ha, dallo scorso ottobre, una rubrica mensile su "Radio Mater", intitolata "Testimoni di Cristo" e dedicata alle figure esemplari della nostra Diocesi. Alessandro è stato oggetto della puntata di gennaio, che credevo fosse presente al link che avevo inserito nel commento precedente.
RispondiEliminaCon mio gran dispiacere, invece, proprio quella trasmissione è l'unica assente nell'archivio del sito. Pazienza!