Papa Giovanni Paolo I, oltre il sorriso

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Chi è?

 

Albino Luciani nacque a Forno di Canale, oggi Canale d’Agordo, il 17 ottobre 1912, da Giovanni Luciani e Bortola Tancon, primogenito di quattro figli. Fu battezzato in casa lo stesso giorno della nascita, perché si temeva per la sua vita.

Il 17 ottobre 1923 iniziò a frequentare il Seminario Minore di Feltre, incoraggiato dal suo parroco, don Filippo Carli, che ebbe molto peso nella sua formazione umana e spirituale. Fu ordinato diacono il 10 febbraio 1935 e, ottenuta la dispensa sull’età canonica, divenne sacerdote il 7 luglio dello stesso anno.

Venne immediatamente nominato vicario-cooperatore di Canale d’Agordo, poi coadiutore di monsignor Luigi Cappello ad Agordo. Nell’ottobre 1937 fu chiamato all’incarico di vicerettore del Seminario Gregoriano di Belluno, dove fu anche insegnante al liceo e in teologia. Nello stesso periodo cominciò a scrivere sul settimanale diocesano L’Amico del Popolo e a occuparsi di cinema e delle nuove forme di comunicazione.

Come pro-cancelliere vescovile, incarico che ebbe dal novembre 1947, si occupò dell’organizzazione del Sinodo diocesano. Divenne poi pro-vicario generale, assistente della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e direttore dell’Ufficio Catechistico.

Il 27 dicembre 1958 fu ordinato vescovo, assumendo Humilitas come motto vescovile; l’11 gennaio 1959 fece l’ingresso nella diocesi di Vittorio Veneto. Diede priorità alle visite pastorali, incontrando i fedeli e i sacerdoti in quelle e in altre occasioni. Partecipò a tutte e quattro le sessioni del Concilio Vaticano II: non prese mai la parola, ma lasciò interventi scritti.

Il 15 dicembre 1969 fu nominato Patriarca di Venezia dal Papa san Paolo VI; fece l’ingresso l’8 febbraio 1970. Fu creato cardinale il 5 marzo 1973. Nel giugno 1972 fu eletto vice-presidente della Conferenza Episcopale Italiana, mentre due anni dopo partecipò al Sinodo dei Vescovi su Evangelizzazione e promozione umana.

Il 7 agosto 1978, all’indomani della morte di papa Paolo VI, il cardinal Luciani lasciò Venezia, entrando in Conclave il 25 agosto. Ventisei ore dopo, il 26 agosto 1978, fu eletto Papa: scelse il doppio nome, Giovanni Paolo, per omaggiare i predecessori e la loro opera nel Concilio Vaticano II. Il 3 settembre 1978 celebrò la Messa per l’inizio del ministero petrino.

Voleva dedicare un ciclo di catechesi alle “sette lampade della santificazione” del cristiano, ma arrivò a tenere solo quelle sull’umiltà e sulle virtù della fede, della speranza e della carità. In quegli appuntamenti, come negli Angelus e nelle udienze private, diede risalto alla pace, alla preghiera, al dialogo ecumenico, alla misericordia divina.

Il mattino del 29 settembre 1978 suor Vincenza Taffarel e suor Margherita Marin, due delle Suore di Maria Bambina addette alla sua persona, lo trovarono morto nel suo letto. La causa della morte fu infarto acuto del miocardio. I funerali si svolsero il 4 ottobre 1978, in piazza San Pietro.

L’inchiesta diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione si svolse presso la diocesi di Belluno-Feltre, in quanto lì erano stati raccolti numerosi documenti e testimonianze sin dagli anni ’90 del 1900, dal 23 novembre 2003 al 10 novembre 2006. L’8 novembre 2017 papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui veniva dichiarato Venerabile e, il 13 ottobre 2021, il decreto sul miracolo valido per la beatificazione.

Papa Giovanni Paolo I è stato beatificato oggi, 4 settembre 2022, quarantaquattro anni dopo l’inizio del suo ministero petrino. I suoi resti mortali riposano nelle Grotte Vaticane, mentre la sua memoria liturgica ricorre il 26 agosto, giorno della sua elezione al pontificato.

 

Cosa c’entra con me?

 

Non ricordo per nulla quando ne ho sentito parlare per la prima volta: di certo il Papa in carica al tempo era Giovanni Paolo II, per cui doveva esserci stato un Giovanni Paolo I. Penso proprio che mi dissero che era stato Papa per trentatre (in realtà trentaquattro) giorni e che era morto all’improvviso.

La prima conoscenza vera arrivò con un documentario de La Grande Storia su Raitre, dove veniva chiamato con insistenza “Giovanni Paolo, il Primo” e veniva descritto con efficacia il contesto in cui nacque e si formò, insieme all’episcopato a Vittorio Veneto e a Venezia.

Mi colpirono molto le immagini di quando san Paolo VI gl’impose la propria stola, facendolo diventare «tutto rosso» (parole sue): in molti, col senno di poi, ci hanno visto una scelta esplicita del successore, ma, più semplicemente, era un segno di stima.

Meno mi convinceva la ricostruzione della morte, anche se, nel corso del documentario, si faceva spesso riferimento alla sua salute precaria; venivano quindi rigettate le speculazioni relative a un omicidio.

Effettivamente era un personaggio che mi aveva incuriosita, ma non mi ero mai spinta a comprare libri su di lui e nemmeno uno dei pochi pubblicati mentre era in vita, vale a dire Illustrissimi, la raccolta di lettere immaginarie a personaggi storici e letterari. Ogni volta che ero sul punto di farlo, pensavo di rimandare a una nuova edizione: è avvenuto sia quando è stato dichiarato Venerabile, sia poco dopo il decreto sul miracolo.

Quanto alla fiction con Neri Marcorè, sono stata praticamente costretta a vederla per non dispiacere i miei familiari. Mi ero persa la prima puntata, ma quel che vidi della seconda non mi convinse affatto: era ripetuto il solito luogo comune che contrappone il Papa, buono per eccellenza, alla Curia Romana, che svolge la parte del cattivo di turno. Questo era evidenziato nella scena in cui Luciani chiedeva di non voler usare più la sedia gestatoria.

Il finale, poi, alludeva all’avvelenamento via caffè, smentito dai documenti della causa, il quale veniva accennato da un giornalista che annunciava la morte del Pontefice. Praticamente salvavo solo l’interpretazione dell’attore protagonista, il quale dava il meglio nelle parti più drammatiche.

Non ricordo come né perché, ma un giorno mi capitò di leggere il suo saluto agli sposi novelli nell’Udienza Generale del 13 settembre 1978. Lo trovai perfetto per concludere il libretto del Matrimonio di mia sorella: visto che lei si è sposata nel 2010, devo averlo trovato poco prima. Da allora lo propongo sempre agli sposi che conosco: lo trovo più profondo di tante melensaggini che spesso si leggono sui libretti delle nozze.

Dopo la notizia del decreto sul miracolo, ho iniziato a pensare di dedicargli un articolo per la rivista dell’Opera Salesiana di Bologna, Sacro Cuore VIVERE. Dopotutto, il vescovo di Belluno-Feltre che promosse la raccolta di testimonianze – tanto rilevanti da convincere la Postulazione a svolgere l’inchiesta diocesana lì e non nella sede competente, ossia il Vicariato di Roma – ne pereant testes, come si dice in gergo (letteralmente “affinché non si perdano i testimoni”, cioè raccoglierle prima che i testimoni contemporanei ai fatti morissero), era proprio un Salesiano, come ho scoperto trovando, in fondo alla mia chiesa parrocchiale, una reliquia per contatto (precisamente, una pagina del suo Breviario) proprio di Giovanni Paolo I, col sigillo della Postulazione Generale dei Salesiani. 

Alla fine, però, il direttore ha deciso di accorpare i numeri di settembre e di ottobre, per risparmiare sulla stampa, e di dedicare il numero unico a uno speciale sulla devozione al Sacro Cuore; di conseguenza, l’articolo preventivato saltava.

Nel frattempo, proprio per quello scopo, avevo iniziato a leggere un libro che avevo recuperato dalla biblioteca di un anziano sacerdote di mia conoscenza, che ora vive in una casa di riposo: si trattava di una selezione degli articoli dell’allora Patriarca Luciani sui periodici diocesani di Venezia. A dire il vero, era presente, nella stessa biblioteca, un volumetto biografico, ma ho preferito lasciarlo nella chiesa dove il sacerdote era residente, precisamente sul tavolo tra gli altri libri che i fedeli o i turisti potevano prendere lasciando una congrua offerta.

Dalla lettura di quegli articoli mi sono fatta l’idea che lui fosse ben più di un semplicione, anzi, un uomo di cultura enciclopedica, i cui rimandi alle opere letterarie e alla Scrittura mi hanno ricordato quanto compiono da anni almeno un paio di sacerdoti della mia diocesi.

Inoltre, per sua stessa ammissione non era un esperto agiografo, ma dei Santi sapeva individuare le caratteristiche essenziali da sottolineare per il tempo in cui lui scriveva. Basti leggere i suoi articoli su san Bonaventura da Bagnoregio, su san Giovanni Bosco e anche su san Josemaría Escrivá de Balaguer, morto appena tre anni prima.

Allo stesso tempo, rilevavo nelle sue espressioni l’impegno di fedeltà a ciò che la Chiesa insegna in materia di liturgia e di catechismo, mediante un riferimento costante ai documenti del Concilio Vaticano II.

Attualissime ho poi trovato le sue riflessioni sul fatto che alcuni cattolici rigettavano l’autorità di Paolo VI: per lui, proprio come per il cardinal Angelo Scola, suo successore anche se non immediato come Patriarca, il Papa era il Papa, e basta.

Procedendo, ho esaminato le sue considerazioni sulla società consumistica, nelle quali cita due pubblicità di Carosello famose al tempo: il dentifricio che fa spuntare “un fiore in bocca” e il brandy “che crea un’atmosfera”. Pur sapendo che la storia, men che meno della Chiesa, non si fa con i “se”, mi sono domandata cosa sarebbe successo se il suo pontificato avesse compreso gli anni della “Milano da bere”: avrebbe rimproverato anche noi ambrosiani?

Mentre la beatificazione si faceva più vicina, ho pensato bene di procurarmi i libri più recenti usciti sul suo conto. L’isolamento a cui sono stata costretta per aver contratto il coronavirus (nessuno pensi che il mio attaccamento ai Santi mi abbia condotta a rifiutare le cure: non avevo sintomi gravi, per cui ho solo preso Tachipirina e Fluimucil per cinque giorni; sono uscita di casa solo per i tamponi) mi ha portato molto tempo libero in più, che ho trascorso leggendoli con attenzione.

Grazie a essi, ho capito che davvero la sua santità, come quella di qualsiasi candidato agli altari o santo riconosciuto, andasse vista nel complesso, facendo risaltare il meglio della sua testimonianza già da prima del pontificato. In un altro volume ho trovato interessante, pur capendoci poco (non sono mai stata portata per la filosofia, men che meno per la teologia), l’esame delle questioni teologiche che a lui premevano di più, come quelle descritte nella sua tesi su Antonio Rosmini, ora Beato, e in un capitolo dedicato al contrasto con Hans Küng.

Quanto agli scritti del pontificato, vi ho trovato una piena continuità con quelli che avevo letto in precedenza, secondo quel sermo humilis che la sua vicepostulatrice ha efficacemente evidenziato: non una semplicità ricercata ad arte, ma naturale e spontanea, seppur basata su una lunga preparazione.

Nel leggere il volume tratto dalla biografia documentata, ho trovato un riferimento che mi è parso davvero meritevole di approfondimento: dal 29 luglio al 5 agosto 1978, ovvero pochissimo prima dell’elezione, il cardinal Luciani fu in terra ambrosiana, precisamente a Premana, in provincia di Lecco. Da quella terra, nei secoli precedenti, erano emigrati molti esperti fabbri, pronti a lavorare nella laguna veneta per realizzare i ferri da prua, elementi fondamentali delle gondole.

La ragione della sua presenza era il terzo centenario della traslazione delle reliquie di sant’Ilario, un “corpo santo” (qui il mio approfondimento sui “corpi santi”) estratto dalle catacombe di San Callisto a Roma, donato dal cardinale Gaspare Carpegna al veneziano Nicola Venier e da lui a sua volta consegnato a due fratelli di Premana, Francesco e don Giacomo Gianola, i quali avevano scelto di affidarlo alla chiesa parrocchiale di san Dionigi, dov’è venerato ancora oggi.

In un’intervista radiofonica, il Patriarca definì Premana “isola di San Marco” tra i monti manzoniani. Nel corso delle celebrazioni, elogiò la fede dei premanesi con parole che, trent’anni dopo, fece proprie anche il cardinal Scola.

Ho quindi pensato di proporre al direttore del Portale diocesano e di Milano Sette, inserto domenicale di Avvenire, un articolo in cui sintetizzavo questa scoperta. Come spesso mi accade, l’ho letto ad alta voce a mia madre, proprio come Luciani faceva con le suore che vivevano con lui.

La mia coscienza, però, mi ha nuovamente rimproverato di essermi fatta bella con le penne del pavone, in barba a quell’Humilitas che, per lui, era più di un motto da affiancare al proprio stemma.

 

Il suo Vangelo

 

Beatificare papa Luciani non costituisce, come molti pensano, un risarcimento nei suoi confronti, quasi a confermare implicitamente la leggenda nera che, purtroppo, è dura a morire. Se di conferma si tratta, è di un’intuizione di cui lui era realmente convinto: per governare la Chiesa a tutti i livelli, dalla parrocchia fino al soglio di Pietro, bisogna essere servi, non padroni.

Da questo deriva l’assunzione di uno stile improntato all’amabilità nei gesti, nelle parole, nei contenuti dei discorsi più o meno ufficiali. Lo stesso sorriso, tanto evidente nelle fotografie e nei filmati d’epoca, non era segno di dabbenaggine o stupidità: era, invece, indizio di un’anima pacificata, che faceva di tutto per compiere al meglio il dovere a cui era stata chiamata.

Indicava anche fiducia in Dio e consapevolezza di non essere mai abbandonato da Lui. Lo esplicava nella catechesi sulla virtù della speranza, il 20 settembre 1978, che cito secondo il testo a stampa:

Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né abbandonato, ma coinvolto in un disegno di salvezza, che sboccherà un giorno nel Paradiso.

Penso che con lo stesso atteggiamento ora lui guardi noi che ci arrabattiamo a trovare in lui frasi e atteggiamenti in cui ravvisiamo anticipazioni di quelli dei suoi successori, dimenticando di considerarlo per come era.

 

Per saperne di più

 

Stefania Falasca – Davide Fiocco – Mauro Velati, «Io sono la polvere» - Giovanni Paolo I 1912-1978 – Biografia ex documentis, San Paolo Edizioni 2022, pp. 594, € 39,00.

Sintesi della biografia che fa parte della Positio super virtutibus, aggiornata nell’apparato delle fonti.

 

Giovanni Paolo I, Il Magistero – Testi e documenti del Pontificato, San Paolo Edizioni 2022, pp. 474, € 29,00.

Raccolta completa degli interventi durante il Pontificato, ma anche degli appunti su blocchi note e agende.

 

Rino Fisichella, La semplicità stile di vita - Giovanni Paolo I, San Paolo Edizioni 2022, pp. 288, € 25,00.

Riflessione sulla sua vita e la sua spiritualità, basata sulla biografia documentata e sulle altre testimonianze contenute nella Positio super virtutibus.

 

Albino Luciani - Giovanni Paolo I, Catechetica in briciole, San Paolo Edizioni 2009, pp. 120, € 9,50.

Sintesi dei contenuti della fede riportata in linguaggio colloquiale e comprensibile, uscita per la prima volta nel 1949.

 

Albino Luciani, Illustrissimi – Lettere ai grandi del passato, Edizioni Messaggero 2017, pp. 336, € 15,00.

Epistolario immaginario con grandi personalità della storia e con personaggi letterari, o meglio, raccolta degli articoli usciti sul Messaggero di Sant’Antonio dal 1971 al 1974. Luciani li corresse e ripubblicò l’ultima volta nei giorni del pontificato.

 

Su Internet

 

Sito della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I 

Sito del Museo Albino Luciani di Canale d’Agordo 

Sito con i volumi dell’Opera Omnia e un apparato iconografico 

Sezione del sito della Santa Sede con i testi del suo pontificato 

Sito dell’associazione culturale Amici di papa Luciani

Sito del Centro Culturale Giovanni Paolo I, di Garbagnate Monastero

Podcast Papa Luciani, da un colpo di fionda al soglio di Pietro, su Vatican News

Articoli su di lui su Vatican News (continua nelle pagine successive)

Sezione, dedicata alla beatificazione, del sito della diocesi di Belluno-Feltre

La bellezza del pastore, itinerario spirituale in preparazione alla beatificazione, sul sito della diocesi di Vittorio Veneto (qui la versione per il web, qui quella impaginata in A5)

Articoli su di lui sul sito del Patriarcato di Venezia 

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