CineTestimoniando #13: «Father Stu»
USA 2022, Rosalind Ross, Columbia Pictures – Municipal Pictures – CJ
Entertainment, 124’.
Da parecchio non recensivo più film,
essenzialmente perché non ne avevo trovati molti meritevoli di essere inclusi
in questa rubrica. Tuttavia, lo scorso aprile, ho appreso che Raidue avrebbe
trasmesso questo film di cui, all’uscita, avevo sentito vagamente parlare.
Temevo di rimanere delusa, invece ho trovato molti spunti su cui riflettere.
Tutte le immagini del post sono tratte dalla scheda del film sull’Internet Movie Database.
La trama in breve
Stuart Long, detto Stu (Mark Wahlberg), è un pugile dal discreto successo locale, ma è obbligato a lasciare lo sport da un’infezione alla mandibola. Per inseguire il suo sogno di diventare un attore famoso lascia la sua città natale, Helena nel Montana, e la madre Kathleen (Jacki Weaver), trasferendosi in California. Tra un’audizione e l’altra, trova lavoro nella macelleria di un supermercato. Lì conosce Carmen (Teresa Ruiz), una ragazza che lo attrae, ma che gli fa presente di non accettare il suo corteggiamento perché non è battezzato, e non vuole neanche concedersi a lui.
A quel punto, Stuart, cresciuto in una
famiglia lontana dalla fede cattolica, inizia il catechismo, si fa battezzare e
frequenta la comunità cristiana guidata da padre Garcia (Carlos Leal), di cui
fa parte Carmen, dove conosce altri due giovani, Ham (Aaron Moten) e Jacob (Cody
Fern).
Tuttavia, durante la sua prima confessione,
si rende conto che la sua fede non è sincera e sfoga la frustrazione nell’alcol,
dovuta anche al fatto che l’unico ruolo da attore che ha ottenuto è in una
televendita. Poco dopo essere uscito dal bar ubriaco, viene travolto da un’auto
mentre è in sella alla sua motocicletta: gli sembra di vedere la Vergine Maria (Annet
Mahendru) che lo incoraggia.
Stu inizia la riabilitazione, ma qualcosa è
cambiato in lui e anche nel suo rapporto con Carmen: ora è convinto di dover
diventare sacerdote. La sua scelta è disapprovata sia dalla madre, sia dal
padre Bill (Mel Gibson), alcolizzato, che vive separato dalla moglie. In
Seminario ritrova Ham e Jacob: il primo lo sostiene, il secondo lo disprezza.
Durante una partita a basket, Stu si accascia
a terra: dagli esami medici viene diagnosticata una miosite da corpi inclusi, ovvero una rara malattia autoimmune,
con sintomi analoghi alla sclerosi laterale amiotrofica. Il vescovo monsignor
Kelly (Malcolm McDowell), già restio ad ammetterlo in Seminario per via dei
suoi trascorsi, lo mette di fronte alla realtà: un uomo con una malattia
invalidante non potrà mai vivere pienamente il sacerdozio…
Considerazioni di stile
ATTENZIONE: da qui in poi non mancano gli spoiler!
![]() |
Stu sul ring |
Gli sforzi produttivi dietro Father Stu si vedono decisamente: la fotografia è curata, il ritmo è buono e la recitazione non è quasi mai esagerata. L’impegno professionale punta a veicolare il messaggio di redenzione in cui credono la regista-sceneggiatrice e lo stesso attore protagonista, che ha deciso di tradurre per il cinema una storia che da subito lo ha appassionato.
Tuttavia, non mancano le cadute di stile. Se
la visione che Stu ha della Madonna poco dopo l’incidente da una parte viene
lasciata incerta, quasi fosse ancora dovuta ai fumi dell’alcol, dall’altra è
rappresentata con uno sfondo luminoso e la stessa Vergine ha caratteristiche
prese dall’iconografia tradizionale, quasi a suggerire la veridicità del fatto.
La musica, poi, ha un ruolo non da poco.
All’inizio vediamo il piccolo Stu che imita il cantante Chuck Berry, salvo
essere subito frenato nei suoi sogni dal padre alcolizzato. In seguito, durante
una conversazione con la madre seguita alla conversione, lei gli ricorda che un
altro dei suoi miti era Elvis Presley. Proprio un brano del Re del rock, ma
nella fase gospel della sua carriera (Where would I go but to the Lord),
accompagna il momento fondamentale della storia, ossia l’ordinazione
sacerdotale dello stesso Stu.
Il linguaggio sboccato, di cui il
protagonista fatica a liberarsi (e che ha causato, in patria, la distribuzione di una seconda versione adattata per non renderlo vietato ai minori di tredici anni),
non è quello che ci si aspetterebbe in un’opera di stampo credente. Ha però una
funzione: fa capire ancora di più il cambiamento a cui Stu va incontro,
rimanendo però sempre sé stesso.
Considerazioni di fede
Mentre effettuavo le mie ricerche per le immagini a corredo di questo post, ho trovato altre recensioni che evidenziavano gli aspetti di fede contenuti nel film. Questo mi ha un po’ scoraggiata, ma sentivo comunque di poter dire la mia, così da essere a modo mio “sul pezzo” per quanto riguarda il Giubileo dei Seminaristi, Sacerdoti e Vescovi (sebbene già ieri mi sia occupata del Venerabile seminarista Pietro Di Vitale).
Più che sulla conversione di Stu, che mi
sembra in ogni caso non delineata nei suoi dettagli, ma basata solo
sull’attrazione che lui prova per Carmen, mi ha coinvolta particolarmente il
percorso seminaristico dell’ex pugile. Si vede chiaramente che non è ancora del
tutto pratico di vari aspetti del cattolicesimo, ma allo stesso tempo ha colto
l’importanza della fraternità e dell’aiuto da parte dei colleghi.
![]() |
La differenza si vede |
La perplessità di monsignor Kelly
nell’ordinare Stu benché malato mi ha ricordato quella che aveva colto, nella
Torino di quasi quarant’anni fa, il cardinal Michele Pellegrino, quando gli fu
prospettata l’ordinazione anticipata di Cesare Bisognin, seminarista appena al
primo anno di Teologia. A lungo ha pensato che ordinarlo potesse costituire un
“contentino”, perché il giovane non avrebbe avuto davanti a sé un ministero
ordinario, ossia un popolo da servire, e nemmeno lungo, a causa del tumore
osseo che l’aveva colpito. Alla fine, però, ha accettato e chiesto la dispensa
papale, rendendo Cesare il più giovane sacerdote dei tempi moderni e
permettendogli, attraverso i suoi trentatré giorni di ministero, di aiutare e
confortare molte più persone di quanto non si sarebbe mai aspettato, anche
grazie a una preziosa testimonianza televisiva.
Esistono però molte differenze tra don Cesare
(qui il post
che gli avevo dedicato) e don Stuart, sia quello vero, sacerdote della diocesi
di Helena, sia quello di finzione. Nel film l’ordinazione sacerdotale risulta
una sorpresa che parrocchiani e familiari gli hanno preparato, ma nella vita
vera non è andata così: era già diacono transeunte, sebbene non fosse più
sicuro di diventare prete. In effetti, nel film si vede che, quando si prostra
a terra – faticosamente, data la malattia: ecco un altro parallelismo che mi è
balzato in mente, con l’ordinazione speciale di don Salvatore Mellone – , indossa la stola
traversa, ma fino a quel momento non si era minimamente fatto cenno al
diaconato.
Un’altra incongruenza minima è nella
catechesi in preparazione al Battesimo: in una scena lo si vede seguire un
incontro insieme a dei bambini, quindi a uno con gli adulti, quando invece
avrebbe dovuto essere mostrato da subito insieme ad altri catecumeni non in
tenera età.
Sempre riguardo alla vera storia, per qualche
tempo lui ha vissuto in una parrocchia, finché le sue condizioni non l’hanno
condotto ad andare nella struttura protetta dove, invece, il film lo invia
subito dopo l’ordinazione (se ho capito bene) e dov’è morto, dopo sei anni di
sacerdozio.
È comunque vero che, in quella realtà, i
fedeli facevano la fila per confessarsi da lui. Lo testimoniano anche i
messaggi contenuti sul sito del servizio di pompe funebri che si è occupato di
lui: ancora oggi vengono pubblicati commenti di persone che, dopo aver visto il
film, hanno voluto raccontare la loro impressione.
![]() |
Quando Stu tocca il fondo |
Anche lui ha gridato a Dio perché l’avesse
maledetto con quel male invalidante, ma una volta prete ha dichiarato, senza
perdere la sua abituale ironia (traggo la trascrizione da qui):
Per qualcuno ero una
cattiva pubblicità, ci pensate? Per il mio capo al supermercato: andavo al
lavoro con la faccia che sembrava carne cruda come quella che vendevo.
Ovviamente all’epoca pensavo che si sbagliava; tutti si sbagliavano su di me.
Ogni rissa era contro il mondo che mi faceva sempre torti. Sì, ogni livido
sulla faccia, ogni goccia di sangue erano per combattere l’ingiustizia di Dio.
Ora ho un aspetto
peggiore di una volta, di sicuro. La differenza è che so che la mia sofferenza
è un dono di Dio. Sì, sembra un’idiozia, ma viene da un uomo su una sedia a
rotelle perciò la dovete ascoltare. Ascoltatela.
La nostra natura
esterna si consuma, ma la nostra natura interna si rinnova ogni giorno [è un riferimento a
2Cor 4,16, ndr]. Questa vita, qualunque sia la sua durata, è un’afflizione
momentanea per prepararci alla gloria eterna. Non dovremmo pregare di
avere una vita facile, ma di saperne sopportare una difficile, perché
l’esperienza della sofferenza è la piena espressione dell’amore di Dio,
l’occasione di essere più vicini a Cristo.
Nessuno soffre di
buon grado, non io sicuramente. Persino Cristo per un momento: “Mio Dio, mio
Dio, perché mi hai abbandonato?” ha chiesto dalla croce; si sentiva tradito. E
in quel momento, lui senza colpe, si è fatto carico di tutti i nostri peccati,
ha pagato per noi… perché ci ama. E quell’amore può rendere l’uomo peggiore
credente, perché quell’amore è un sentimento senza eguali e guidarvi a trovare
quell’amore è il motivo per cui Dio mi ha dato la via maestra per morire. E di
questo lo ringrazio ogni giorno.
Amen.
Per questa ragione, monsignor Robert Barron,
vescovo attivissimo sui nuovi media, ha definito Father Stu un’opera che
parla di vocazione, ma anche della Provvidenza divina.
Consigliato a...
Mi viene da consigliare Father Stu a quei credenti che cercano delle storie edificanti, a tratti commoventi, ma non stucchevoli. Ancora di più suggerirei di vederlo a chi, pur affermando di non credere e magari con qualche pregiudizio contro la Chiesa e i preti, può ammirare la caparbietà di Stuart nel perseguire i propri obiettivi.
Valutazione finale
I mezzi sono elevati, il tema è coinvolgente,
ma il linguaggio è davvero a volte troppo scurrile. Inoltre, manca l’approfondimento
del motivo esatto per cui Stu prima decida di diventare cristiano, poi di
diventare prete.
Father Stu è disponibile in italiano su queste piattaforme.
Commenti
Posta un commento