Pietro Di Vitale: gratitudine per l’Amore che chiama
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Chi è?
Pietro Di Vitale nacque a Castronovo di Sicilia, in provincia e diocesi di Palermo, il 14 dicembre 1916, sesto degli otto figli di Vitale Di Vitale e Anna Scimeca, contadini.
Particolarmente
intelligente, dovette però interrompere gli studi poco dopo la promozione in
quinta elementare, nel luglio 1925: da allora lavorò come guardiano di buoi.
Durante il lavoro, cercava di studiare per conto proprio, perché sentiva di
essere chiamato al sacerdozio.
L’arciprete
di Castronovo, monsignor Calogero Reina, insieme al fratello Domenico, l’aiutò
ad arrivare alla licenza elementare, conseguita il 23 giugno 1930. L’anno dopo,
arrivato all’età minima richiesta, Pietro divenne Terziario francescano e prese
la tessera di Socio Aspirante della Gioventù Cattolica Italiana, ovvero di
Azione Cattolica.
Sostenuto
spiritualmente da suor Maria Scolastica dei Sacri Cuori, zia da parte di madre,
ed economicamente tramite alcuni benefattori, entrò il 24 ottobre 1931 nel Seminario
Arcivescovile Minore della diocesi di Palermo, situato sulla collina di Baida,
poco sopra la città di Palermo. L’8 dicembre 1931 vestì per la prima volta l’abito
talare.
In Seminario
risultò spesso tra i migliori alunni, tanto da meritarsi una borsa di studio in
seconda ginnasio e aver ottenuto di partecipare al pellegrinaggio della diocesi
di Palermo in occasione del Giubileo della Redenzione, nel 1933. L’anno
seguente cominciò ad avere problemi di salute, a causa dei quali, per cinque
mesi, tornò a casa.
Passato
al Seminario Maggiore, dovette di nuovo interrompere gli studi in seconda
liceo: poté frequentare regolarmente solo il primo trimestre. Passò dall’infermeria
del Seminario al Convalescenziario dei sacerdoti, fino a tornare
definitivamente al suo paese. La diagnosi definitiva del suo male fu “sindrome
dolorosa da enterogastroptasi”, ma non poté essere operato, perché troppo
debole.
Non
valse a nulla il trasferimento di tutta la famiglia in campagna, nell’estate
1939: di lì a poco Pietro non poté più alzarsi dal letto. Morì il 29 gennaio
1940, dopo aver ricevuto i Sacramenti, gridando i nomi di Gesù e di Maria.
L’inchiesta
diocesana su vita, virtù e fama di santità di Pietro si svolse a Palermo dal 6
marzo 1987 al 25 giugno 1995. Il 5 luglio 2018 papa Francesco autorizzò la
promulgazione del decreto sulle virtù eroiche. I suoi resti mortali riposano
dal 14 dicembre 1986 nella chiesa della Santissima Trinità a Castronovo di
Sicilia.
Cosa c’entra con
me?
Non so ricordare con esattezza, neanche stavolta, il giorno del mio primo incontro con Pietro, ma sono riuscita a ricostruire che dev’essere successo mentre concludevo la tesi di laurea specialistica, perché ho trovato un file di testo con i contatti della sua parrocchia, creato il 30 ottobre 2010.
Se la
data esatta mi sfugge, sono sicura di aver fotocopiato la voce su di lui della Bibliotheca
Sanctorum, che spesso, per staccare (ma non troppo) dai lavori per la tesi,
mi mettevo a consultare nella biblioteca di Sottocrociera dell’Università degli
Studi di Milano. Sicuramente, ero felice per aver scovato la storia di un altro
seminarista candidato agli altari, da aggiungere alla ricerca che portavo
avanti ormai da parecchi anni.
Credevo
che al tempo santiebeati.it non avesse un testo su di lui, ma poi ho
scoperto che la scheda era stata prodotta e che, nel titolo, lui era indicato
come “Pietro Di Vitale da Castronovo di Sicilia – Terziario Francescano”
(ancora prima, era indicato “Francescano” e basta, come se fosse un frate),
sebbene nel testo si menzionassero i suoi studi nel Seminario diocesano di
Palermo; ho proceduto allora a chiedere una rettifica.
Il 28
giugno 2018 ho scritto al postulatore, che avevo contattato tempo addietro per la
scheda del Venerabile Nunzio Russo; una settimana dopo, ho visto
comparire il nome di Pietro tra i Decreti della Congregazione delle Cause dei
Santi del 5 luglio 2018. Oltre a meravigliarmi perché in quella lista c’erano
Carlo Acutis e Giorgio La Pira, sono stata felicissima per lui, ma non sono
andata più in là dell’aggiornamento della scheda, quantomai necessario.
Nel
febbraio 2024, ritrovandomi a compiere, non ricordo più per quale ragione, la
stessa operazione per quella del Servo di Dio Giovanni Battista Sidoti, ho
scoperto che il suo postulatore (della stessa causa di padre Sidoti fanno parte
Chōsuke e Haru, due laici giapponesi) è lo stesso sacerdote che segue la causa
di Pietro: ne ho approfittato per chiedere le sue immaginette, oltre a quella
dei presunti martiri.
Più o
meno nello stesso periodo, avevo iniziato a immaginare una mostra virtuale o a
pannelli sui seminaristi santi, intendendo in senso molto largo
quell’attributo, per commemorare non solo il mio caro Alessandro Galimberti nel ventesimo della
morte, ma anche dare uno sguardo complessivo su quei giovani a cui lui, pur con
le mutate circostanze storiche ed ecclesiali, mi sembrava tanto affine.
Purtroppo,
non avevo fatto i conti con tutta una serie di problemi tecnici: chi avrebbe
dovuto stampare i pannelli, a quale costo, chi avrebbe dovuto tenerli, come
registrare le prenotazioni, e ancor prima chi avrebbe dovuto occuparsi dei
testi e della grafica. Così, non poco delusa, avevo accantonato anche Pietro.
La notizia del Giubileo dei Seminaristi, Sacerdoti e Vescovi me lo ha riportato alla mente. Del resto, era l’unico seminarista diocesano italiano candidato agli altari di cui non mi ero ancora occupata qui, se non sbaglio: avevo già trattato del Beato Rolando Rivi, dei Venerabili Bruno Marchesini e Pasquale Canzii, senza dimenticare l’ultimo in ordine cronologico per avvio della causa e per vicinanza ai nostri tempi, ossia il Servo di Dio Giampiero Morettini.
Mi
ricordavo di essermi segnata, quando avevo ricontattato il postulatore, di aver
trovato online un libro che conteneva gli scritti di Pietro, quindi l’ho
ripreso. L’ho letto forse troppo di fretta, per non venire meno alla mia
programmazione, ma credo di aver trovato degli spunti su cui riflettere.
Anzitutto,
ho riconosciuto che il suo si differenziava dagli altri casi che avevo
affrontato perché lui aveva compreso l’importanza dello studio nella vita del
prete e, ancor prima, in quella di chi si apprestava a diventarlo. L’impegno
gli costava molto, soprattutto quando veniva colto da frequenti mal di testa,
ma lo portava avanti pensando al suo futuro ministero. Non che gli altri seminaristi
di cui sopra fossero poco portati per gli studi, anzi: Bruno Marchesini morì a
Roma perché era stato inviato al Pontificio Seminario Romano proprio per i suoi
ottimi risultati.
Prima
ancora che sacerdote dotto, però, Pietro voleva essere santo, e cominciare
subito, con il compimento esatto dei suoi doveri. Di nuovo, ammetteva le
proprie fragilità, a cominciare da quelle fisiche, ma anche quelle legate alla
sua personalità ancora in formazione.
Avvertiva
poi di dover essere, già da quegli anni, disposto ad amare tutti, senza legarsi
a una creatura in particolare. Eppure la sua esperienza di giovane lo conduceva
a mettersi a confronto con gli altri coetanei: a volte gli sembravano più
felici di lui perché godevano di ciò di cui lui aveva scelto di non fruire.
Subito, però, chiedeva al Signore, confidando nell’aiuto della Madonna, la
forza di amarlo senza tentennamenti, passando dal “voi” della preghiera formale
al “tu” che veniva dal cuore.
Lo
incoraggiava a perseverare l’esempio dei Santi – aspetto che me lo rende molto
vicino – che menziona direttamente e che sente più vicini a lui perché additati
a modello per i seminaristi, come san Gabriele dell’Addolorata e san Giovanni
Berchmans, o comunque perché giovani, come san Domenico Savio o santa Teresa di
Gesù Bambino (esiste una sua foto in posa mentre osserva una rivista
missionaria che ha proprio lei in copertina), o ancora i cristiani messicani (perseguitati
appena pochi decenni addietro!) commemorati nel fortunato libro Messico
martire. Quando stare davanti al Santissimo gli causava fatica, anche solo
seduto perché in ginocchio non riusciva, sicuramente rileggeva le frasi dei maestri
di spiritualità che annotava sul suo libretto di note, ovvero un taccuino.
“Pitrineddu”,
come lo chiamavano in paese (è come dire “Pierino”), amava molto anche la sua
gente, a cominciare dai bambini e dai ragazzi, e cercava di essere d’aiuto
anche quando la sua esperienza seminaristica appariva ormai alla fine. Per l’arciprete
monsignor Bernardo Lino aveva un affetto che rasentava la venerazione, tanto da
considerarlo come se fosse un suo superiore e da dovergli strettissima
obbedienza. Dal canto suo, quel sacerdote apprezzava l’aiuto del giovane, a cui
spesso assegnava piccoli compiti in sacrestia o nella trascrizione di documenti.
Ha testimoniato la
speranza perché…
Pietro è un testimone di speranza perché è rimasto sicuro che Dio lo volesse al suo servizio: per quella ragione aveva accettato di riprendere gli studi dopo tre anni e mezzo di pausa, aiutato dai preti del suo paese, i quali, come si usa dire, avevano visto del buon potenziale in lui.
Quando
la debolezza fisica si è fatta sentire, prima con le frequenti emicranie, poi
con la malattia allo stomaco, ha avuto i suoi momenti di smarrimento, ma ha
chiesto forza al Cuore di Gesù e ha continuato a vivere gli anticipi di
ministero radunando i ragazzi castronovesi, tanto da diventare per loro una
sorta di fratello maggiore.
Il suo Vangelo
Pietro è sicuramente un figlio del suo tempo e della spiritualità appresa in famiglia e dai direttori spirituali del Seminario di Palermo, ma ha ancora da insegnare molto, a cominciare dalla sua certezza più grande: amare Gesù sopra ogni cosa. In nome di questo amore era pronto a rinunciare alla vita dei ragazzi “normali” del suo paese o della grande città di Palermo, allenandosi anche in atteggiamenti minimi e forse esagerati, come il non alzare gli occhi mentre andava a passeggio.
Sentiva
che il suo amore era sempre troppo poco, ma non poteva fare a meno di
ricambiarlo e di trasmetterlo con le parole e col suo esempio. Nel suo taccuino
di note, precisamente in un appunto preso il 2 gennaio 1933, scrisse:
Come non amare Gesù?
Come non amare questo nostro Dio così buono? Ah! no, non posso non amarlo. Gesù
mi ha chiamato dalla campagna al paese, dal paese in questo Seminario perché io
possa spendere la mia vita per lui, per essere un giorno un suo Ministro Santo
e dotto. Quanto sarei ingrato se non lo amassi o non lo volessi amare!
Vorrei
che questa gratitudine fosse dei seminaristi che ho conosciuto, ormai
sacerdoti, e che fosse anche un po’ mia.
Per saperne di più
Mario Torcivia, Chiamato dall’Amore – Il Venerabile Pietro Di Vitale seminarista della Chiesa di Palermo (14 dicembre 1916 - Castronovo di Sicilia - 29 gennaio 1940), pp. 72.
Pubblicazione curata dal postulatore, contiene un profilo biografico e gli scritti più significativi. Si può scaricare dal sito dell’Associazione Kassar di Castronovo di Sicilia.
Gerlando Lentini, Pietro Di Vitale seminarista
(1916-1940). Vittima… non sacerdote, Tipografia Avalon 2013, € 14,00.
La biografia più recente; suggerirei di ordinarla direttamente all’editore.
Su Internet
Pagina del sito del Dicastero delle Cause dei Santi su di lui
Sezione su di lui del sito della Fondazione
Azione Cattolica Scuola di Santità
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