Pasquale Canzii, un sogno di santità e di perseveranza
Ritratto ufficiale di Pasquale, a firma di Elis Romagnoli (per gentile concessione del Comitato Pasqualino Canzii) |
Chi è?
Pasquale Canzii nacque a Bisenti, in provincia di Teramo e oggi in diocesi di Pescara-Penne, il 6 novembre 1914. Sua madre, Semira Forcellese, cominciò prestissimo a portarlo in chiesa e a invitarlo a pregare san Pasquale Baylón, di cui portava il nome e che era pure il patrono del paese, ma anche san Gabriele dell’Addolorata, canonizzato quando lui aveva quasi sei anni, presso il cui santuario lo condusse spesso.
Nel 1926 due Passionisti vennero a Bisenti per una missione al popolo. Il ragazzo si avvicinò a uno di loro, padre Ireneo Cataldi, dichiarando di voler diventare sacerdote passionista. Fu invece indirizzato al Seminario di Penne, anche perché era fragile di salute. Entrò il 14 ottobre dello stesso anno, vestendo subito, come d’uso al tempo, la talare.
Pasqualino, come lo chiamavano in famiglia e in paese, mise tutto il suo impegno negli studi, riuscendo tra i migliori allievi. Rifuggiva però i complimenti e gli onori, domandando invece il dono dell’umiltà e della perseveranza, tanto più che suo padre Alfredo, emigrato da tempo negli Stati Uniti, avrebbe preferito che lui lasciasse il Seminario.
Il ragazzo, nei suoi propositi, si domandava se non fosse destinato alla stessa santità del suo prediletto san Gabriele e di altri personaggi che spesso venivano posti come modelli ai seminaristi. Concludeva che per lui, in quella fase della sua vita, essere santo equivaleva a compiere al massimo i propri doveri, per essere un giorno capace di salvare le anime in quanto sacerdote. Nel gennaio 1930, però, si ammalò gravemente di tubercolosi: morì il 24 dello stesso mese, nel Seminario di Penne, assistito dalla madre. Aveva da poco compiuto quindici anni.
La fase diocesana della sua causa si è conclusa il 1° aprile 2001, mentre la “Positio” è stata depositata nel 2004. Il 21 gennaio 2021 papa Francesco ha promulgato il decreto con cui Pasquale veniva dichiarato Venerabile.
Dal 1999 le spoglie del “santino di Bisenti”, come fu definito subito dopo la morte, riposano nel primo altare laterale a sinistra, rispetto all’altare maggiore, della chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli nella sua città natale.
Cosa c’entra con me?
Non ricordo affatto come sia arrivata a scoprire la storia di Pasqualino. Penso comunque che sia venuta fuori quando avevo iniziato a cercare se esistessero seminaristi morti in fama di santità per i quali ci fossero almeno gli inizi delle cause: così avevo scoperto Rolando Rivi, ora Beato, e Bruno Marchesini, ancora oggi Venerabile.
Ad ogni modo, il profilo che avevo trovato su santiebeati e le informazioni presenti sul sito ufficiale non mi attrassero granché. Perfino le sue immagini apparivano sgranate e fuori fuoco, specialmente l’unica fotografia che ci rimane di lui: motivo per cui ho usato, in apertura di post, il suo ritratto dipinto dal medesimo pittore cui si devono i più noti dipinti della vita di san Gabriele dell’Addolorata.
Insomma, lo conoscevo di nome, ma non mi venne neppure in mente d’inserirlo nei due schemi di Via Crucis che avevo prodotto basandomi sulle vite di alcuni seminaristi e giovani sacerdoti, non tutti con le cause in corso.
Dalla mia casella di posta elettronica mi risulta che il 29 gennaio 2016 ho telefonato ai contatti del suo Comitato, presenti sul sito ufficiale. Mi ha risposto Gabriele Salini, il quale mi ha invitato a scrivergli una e-mail per esporgli i miei dubbi e per poter aggiornare e correggere il profilo di santiebeati. Già che c’ero, ho chiesto di poter avere una piccola biografia e qualche santino.
La risposta mi è arrivata il 4 febbraio 2016, mentre l’11 dello stesso mese ho ricevuto il materiale. Già da una prima lettura ho intuito che Pasquale aveva molti tratti in comune con le storie che già conoscevo, al di là della fine terrena avvenuta quando la Prima Messa era ancora molto lontana. Eppure sapevo di dover cercare un elemento che lo distinguesse dagli altri seminaristi in fama di santità, ma proprio non mi riusciva di trovarlo.
Quando mi si è presentata l’occasione di raccontare il mio legame con san Gabriele dell’Addolorata, ho menzionato brevemente anche lui. Ho quindi ripreso la biografia, appurando che effettivamente c’era un dettaglio che lo rendeva unico. Non tanto il puro desiderio di farsi santo, riportato anche nella formulazione «santo, grande santo e presto santo» che per la prima volta avevo trovato in santa Bartolomea Capitanio.
Piuttosto, lo dovevo ravvisare in un suo appunto del 17 gennaio 1930, a neanche una settimana dalla morte. Pasquale, infatti, era consapevole che il suo caro san Gabriele, gli altri seminaristi indicati a modello per i giovani e i ragazzi della sua epoca, ovvero san Luigi Gonzaga e san Giovanni Berchmans (peraltro, insieme a san Stanislao Kostka, sono raffigurati ai piedi della Madonna in una delle tele della Basilica del Seminario della mia diocesi), ma anche Domenico Savio e san Giovanni Bosco (l’uno, al tempo, non ancora Beato, l’altro già beatificato) erano «santi in carne e ossa» come lui.
Di conseguenza, il suo sogno di santità non era separato dalla situazione in cui si trovava a vivere. Sapeva di doverlo calare nelle fatiche dello studio, come indica nelle lettere ai genitori. In quella scritta al padre il 27 aprile 1928 dichiara di volersi impegnare a studiare più del solito, «per fare una buona riuscita agli esami in 3° ginnasiale». Il che vuol dire, se ho fatto bene i miei conti, che quando morì aveva da poco iniziato la quinta ginnasio.
Ai doveri di studio accompagnava una relazione con i compagni che cercava di rendere il più possibile amichevole, impegnandosi, secondo le «Dodici promesse a Gesù, una a Maria», datate anch’esse 17 gennaio 1930 e trovategli addosso al momento della morte (le portava letteralmente sul cuore), ad amarli tutti senza preferenze.
Secondo la pedagogia del tempo, gli educatori mettevano in risalto gli allievi maggiormente dotati; lui era uno di questi. Eppure, non amava un atteggiamento del genere, se nelle «Promesse che manterrò ad ogni costo», (un altro scritto che teneva con sé), al punto 3, dichiarava di voler essere umile.
Non mi è riuscito di capire, invece, quale posto avesse la Parola di Dio nella sua vita, così da collocarlo meglio nella Domenica della Parola di Dio, che cade oggi. Eppure non credo che il libro dei Vangeli sia un semplice attributo iconografico che il pittore gli ha messo in mano nel dipinto qui sopra.
Per l’idea che mi sono fatta di lui, penso che avesse meditato con attenzione soprattutto i brani relativi alla Passione e alla morte di Gesù. L’idea di entrare tra i Passionisti, in fin dei conti, non doveva averlo abbandonato, se a metà delle «Dodici promesse» colloca perfino il nome di religione che gli sarebbe piaciuto assumere, ovvero confratel Michele di Gesù appassionato (“appassionato” è da intendersi come “nella Passione”).
Infine, sembrerebbe quasi scontato pensare che sia morto della stessa malattia dei Santi giovani di una volta, ovvero la tubercolosi. Così il suo biografo definisce il male che lo portò alla tomba, però il profilo riportato sul sito della Congregazione delle Cause dei Santi parla di polmonite. Ne deduco quindi che fosse una malattia polmonare, né più né meno di come, recentemente, ho visto citare la malattia di san Gabriele o di come, solitamente, si dica che san Luigi Gonzaga sia morto di “peste”, indicando con quel termine una generica epidemia.
Il suo Vangelo
Pasquale, ancora oggi, testimonia come nessuno riesca da solo a ottenere la felicità eterna, che poi è un altro nome per definire la santità. È un dono da chiedere di continuo, anche se non si crede di meritarlo.
La sua via per essere felice era quella del sacerdozio, o almeno, ne era tanto convinto da rifiutare gli inviti che il padre gli faceva dall’America e da ricordare alla madre che doveva lasciarlo in Seminario, se gli voleva davvero bene. Se anche ha avuto dei momenti di sconforto, ha saputo superarli grazie al suo consigliere spirituale, padre Ireneo.
Intendeva però non essere prete per sé stesso, come fece presente al padre nella già citata lettera del 27 aprile 1928:
Per me la mia professione sospirata la ho già scelta, se Dio mi darà fortuna, cioè quella del sacerdote, cioè nel fare un buon pastore di anime per quelle che vogliono andare in Cielo.
Ecco la mia decisione e faccio stabile patto a non abbandonarla finché Dio mi dà forza e lena, e io farò del più per farla accrescere questa vocazione.
Determinazione umana da una parte, perseveranza che è dono di Dio dall’altra: sono questi i due ingredienti che, mescolandosi in armonia, hanno contribuito a far pensare ai suoi compaesani che lui avesse ottenuto la santità che sperava.
Per saperne di più
Lucio Salini, Servo di Dio Pasqualino Canzii Seminarista, pp. 92.
L’ultima edizione della biografia scritta dal maestro che si è fatto primo promotore della sua causa. È disponibile su richiesta ai contatti sul sito ufficiale o alla libreria Tiessegi – Tesoro di San Gabriele del Santuario di San Gabriele dell’Addolorata a Isola del Gran Sasso.
Su Internet
Sito che contiene il testo della biografia e alcune lettere
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