Vittorio Trancanelli: l’amore e l’accoglienza come unica eredità
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Vittorio Trancanelli nacque a Spello, in provincia di Perugia e diocesi di Foligno, il 26 aprile 1944, da Saverio Trancanelli e Caterina Sedeucic, sfollati lì a causa della guerra. Crebbe a Petrignano d’Assisi, dove i suoi erano tornati dopo il conflitto, insieme alla sorella Maria Rita. Frequentò la parrocchia del luogo e aderì all’Azione Cattolica.
Dopo aver frequentato il liceo classico “Properzio” di Assisi, s’iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia, laureandosi col massimo dei voti e la lode il 22 novembre 1969.
Sposò Rosalia Sabatini, detta Lia, sorella del suo amico Giovanni, il 18 ottobre 1970; si stabilì con lei a Monteluce. Pochi mesi dopo, fu ricoverato in ospedale a Perugia. Un consulto con un medico di Roma gli diagnosticò una colite ulcerosa, che sei anni dopo si manifestò nuovamente. Nel marzo 1976 Vittorio fu operato e, pochi giorni dopo, venne alla luce Diego, il figlio che lui e Lia attendevano da tanto.
I due coniugi cominciarono a interrogarsi su come vivere al meglio il tempo che Dio aveva dato loro da vivere insieme. Meditando sul Vangelo di Matteo, capirono di dover accogliere nella loro famiglia qualche bambino in difficoltà. I primi che arrivarono, in affido, furono Paola e Andrea, ai quali si aggiunse Nadia. Una caposala dell’ospedale di Perugia, che Vittorio non conosceva, domandò a lui e alla moglie di potersi occupare della figlia Alessandra, con sindrome di Down.
Dopo aver ospitato per qualche mese una donna, abbandonata dal marito insieme a quattro figli, Vittorio e Lia iniziarono a pensare a una forma più stabile di accoglienza. Con alcune famiglie amiche, fondarono l’associazione “Alle Querce di Mamre”, con sede a Cenerente, che avrebbe accolto ragazze madri e donne in difficoltà, inaugurata il 9 ottobre 1997. Poco dopo, vennero dati in affido alla coppia altri due bambini, Alessandro e Assunta. Vittorio, intanto, continuava a lavorare come chirurgo all’ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia, senza badare al tempo trascorso né alle proprie condizioni di salute.
Verso la fine dell’inverno del 1997, mentre era ospite della sorella a Firenze, si sentì male: fu ricoverato a Perugia, dove gli fu riscontrato un tumore al cervello, con metastasi diffuse. Venne operato, ma ormai sapeva di essere prossimo alla fine dei suoi giorni. Morì a Perugia il 24 giugno 1998.
Il processo diocesano della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento dell’eroicità delle sue virtù, si è svolto presso la diocesi di Perugia-Città della Pieve dal 24 settembre 2003 al 23 giugno 2013. Il 27 febbraio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Vittorio veniva dichiarato Venerabile.
I suoi resti mortali, inizialmente sepolti presso il cimitero cittadino di Cenerente, sono stati traslati presso la parrocchia di Santa Maria Maddalena a Cenerente il 19 gennaio 2013. Da lì sono stati trasferiti, il 2 luglio 2017, nella cappella dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia.
Cosa c’entra con me?
Credo che la storia del dottor Trancanelli fosse per me completamente sconosciuta, fino a quando ho preso in prestito da alcune consacrate che conosco il primo, esauritissimo volume di Cerco fatti di Vangelo, di Luigi Accattoli. Nel capitolo Padri e madri di vocazione, infatti, c’era una testimonianza scritta da lui e dalla sua sposa Lia, riguardo i ragazzi che avevano accolto in affido o in adozione.
Evidentemente, però, non mi era rimasta particolarmente impressa, altrimenti me ne sarei ricordata, alla notizia del decreto sulle virtù eroiche. Ho riscontrato che era uno dei Testimoni della Chiesa Italiana presentati al Convegno di Verona del 2005, ma non ricordo neppure se avessi seguito la puntata di A Sua immagine in cui si era parlato di lui, come era accaduto invece per altri di quei personaggi.
Insomma, dopo aver saputo del decreto ho aggiornato la sua scheda per santiebeati.it e nulla di più, restando però incuriosita dal fatto che fosse il primo candidato agli altari che nella vita aveva esercitato la medicina e non aveva scelto di restare celibe, men che meno di farsi religioso, di cui avevo letto. Anche il suo interesse per l’ebraismo mi faceva intuire un aspetto singolare della sua testimonianza di fede. Ho poi proceduto ad aggiornare di nuovo la scheda dopo la traslazione, ma nulla di più.
Non ho quindi dato seguito a quella vaga curiosità, almeno fino allo scorso ottobre. Di passaggio per la basilica di Santa Chiara ad Assisi, durante il pellegrinaggio diocesano per la beatificazione di Carlo Acutis, ho trovato, in un espositore non lontano dall’uscita, alcune sue immaginette, compresa quella che riproduce il mosaico accanto alla sua attuale sepoltura. Ho quindi pensato che si fosse venuto a creare un legame più concreto, anche se esile, tra me e lui, per cui avrei potuto dedicargli un post.
Poco tempo dopo, mi sono trovata piuttosto in pena per il cardinal Gualtiero Bassetti, nei giorni della sua degenza in terapia intensiva proprio all’ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia e poi al Policlinico Gemelli. Soprattutto, ho letto quell’articolo in cui veniva commentato quel messaggio in cui monsignor Marco Salvi, vescovo ausiliare della diocesi di Perugia-Città della Pieve, ricordava come lui chiedesse di essere affidato all’intercessione di tre personaggi, compreso Vittorio.
Quell’insperata notorietà ha contribuito a riaccendere in me l’interesse verso di lui. Il 10 novembre scorso ho scritto all’indirizzo di posta elettronica riportato su uno dei santini e ho ricevuto risposta dal postulatore poco meno di un’ora dopo. Gli ho lasciato il mio recapito postale, per ricevere la biografia scritta da lui e altri cinque santini.
Il plico mi è arrivato il 1° dicembre, ma non ho letto subito il libro. Ho proceduto a farlo sul finire dello scorso anno, immaginando tre possibili scenari in cui collocare il post: per la Giornata del Malato, per la solennità della Sacra Famiglia di Rito Romano o di Rito Ambrosiano, o ancora per la Giornata di approfondimento del dialogo ebraico-cristiano. Alla fine ho scelto questa data perché mi sembrava meno scontata.
Al di là della data in cui pubblicare, ho iniziato a riflettere su quali aspetti mi avessero colpito di lui. Il primo era quello del modo con cui aveva affrontato la sofferenza fisica: considerava l’ileostomia che portava dalla prima operazione la sua “spina nella carne”, citando san Paolo. In effetti, credo che ai medici chirurghi capiti spesso di montare in superbia per qualche intervento, magari delicato, riuscito alla perfezione. Vittorio si era invece trovato a capire di non essere onnipotente, anzi, di essere fragile al pari dei suoi pazienti.
Il secondo era relativo alla sua vita coniugale e familiare, specie alle difficoltà dei primi tempi del fidanzamento con Lia e al rapporto che lei aveva col suocero, il quale mal sopportava che Vittorio sarebbe andato a vivere lontano da lui. Sempre nell’ambito familiare, ho riletto con ammirazione proprio quella testimonianza che avevo quasi snobbato, immersa com’era in altre vicende analoghe seppur diverse. Ho anzi ricordato quanto scrivevo a proposito delle Famiglie Missionarie a km0: che la vocazione al matrimonio può essere vissuta anche accogliendo figli non nati dalla coppia.
Infine, il suo interesse per la religione e la cultura ebraica, che si fermava sulla soglia del rispetto e dell’ascolto reciproco. In questo senso, Vittorio mi sembra esemplificare l’intenzione affidata da papa Francesco alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa per questo mese di gennaio.
In più, questo lato della sua spiritualità mi ha permesso di ricordare che una volta, durante un incontro di catechesi per i giovani della mia parrocchia di nascita, il sacerdote che lo guidava ci raccontò di come, dopo aver fatto presente a una sua penitente che Gesù era ebreo, la vide esprimere un certo disappunto. Vittorio credeva che Lui è vero uomo e vero Dio e che in Lui si compiono le Scritture relative al Messia, però voleva cercare di capire l’ambiente in cui si era incarnato, il modo di pensare del buon israelita, ma anche le ragioni dietro alcune festività.
Perché la sua esemplarità passasse da “fatto di Vangelo” a fatto ecclesiale, come spesso è accaduto, sono servite le persone giuste al momento giusto. Nel suo caso, tra i principali estimatori della sua vicenda ci sono stati almeno due vescovi: padre Domenico Cancian, oggi vescovo di Città di Castello (in quanto Figlio dell’Amore Misericordioso, rappresenta un ulteriore legame tra Vittorio e la Beata Speranza di Gesù, alla quale lui e Lia si rivolsero spesso, durante l’ultima malattia), e il futuro cardinale Ennio Antonelli, ai tempi arcivescovo di Perugia. A quest’ultimo si deve il racconto ad Accattoli (presente anche sul suo blog), a ennesima dimostrazione del fatto che, nella Comunione dei Santi, non esistono gradi di separazione, o comunque sono meno di sei.
Lunedì scorso, l’11 gennaio, giorni fa ho letto, sul sito di TV 2000, che si sarebbe parlato di Vittorio durante la puntata de L’Ora Solare di quello stesso giorno. Come si vede nel video qui sotto, i contributi di sua moglie (da 15:54 a 19:00) e del postulatore (da 23:08 a 24:42) sono intrecciati alla storia di Giancarlo Fratocchi, fisioterapista, padre di famiglia, sostenitore di progetti missionari in Tanzania.
Cosa c’entra con san Giuseppe?
Superficialmente, ho immaginato che avesse somigliato a san Giuseppe per la disponibilità ad accogliere figli non suoi secondo la carne. Ho trovato conferma nelle parole del postulatore, il quale nel suo libro racconta che Alessandra, la figlia adottiva, spesso si appoggiava alla sua spalla e gli diceva che aveva tutte le sue medesime qualità, ovvero era buono, bravo, silenzioso e tranquillo; solo alla fine aggiungeva “padre putativo”.
C’è anche, a parere mio, una somiglianza più profonda: come Giuseppe, anche Vittorio cercò di ascoltare la voce di Dio e rispose subito, con azioni decise, alle varie “annunciazioni” che si profilarono lungo la sua vita.
Il suo Vangelo
Il modo di vivere il Vangelo di Vittorio si esprime principalmente nello spirito di accoglienza: verso i figli affidatari e adottati, ma anche verso l’unico naturale; senza tralasciare i numerosi ospiti di “Alle Querce di Mamre”, nella quale la sua eredità continua oggi.
Non uso questo termine a caso: un giorno tra aprile e maggio 1998, quindi pochissimo prima di morire, chiese alla moglie di radunare attorno al suo letto tutti i figli che avevano allevato insieme. Le prese la mano e, mentre lei gli accarezzava le spalle, dichiarò che era valsa la pena di vivere solo per aver donato amore a tutti loro.
Donando l’amore, Vittorio aveva riconosciuto nei figli senza distinzione, ma anche nei pazienti e in quanti passavano per l’associazione come i pellegrini ospitati da Abramo, l’immagine di Dio. Lo ammise implicitamente in una delle sue ultime relazioni al Centro Ecumenico e universitario San Martino di Perugia, che fu letta nell’omelia delle sue esequie:
Il divieto di farsi immagini della divinità deriva proprio da questo: la sola immagine di Dio nel mondo è costituita dall’uomo. Dio non ne accetta altre. Per questo motivo, amore di Dio e amore del prossimo sono comandamenti simili, e qualsiasi cosa viene fatta all’uomo è come se fosse fatta a Dio.
Per saperne di più
Enrico Graziano Giovanni Solinas, Servo di Dio Vittorio Trancanelli – “L’amore di Dio in sala operatoria e nella vita”; Velar – Elledici 2013, pp. 96, € 10,00.
Biografia curata dal postulatore, risalente a poco prima della chiusura del processo diocesano.
Su Internet
Sito ufficiale, a cura della postulazione
Sito dell’associazione “Alle Querce di Mamre”
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