Bruno Marchesini: la vita come un regalo per Gesù
Le foto disponibili di Bruno sono quasi tutte tratte dai suoi santini, più o meno ritoccate: questa l’ho scansionata alla meglio dalla sua biografia. |
Chi è?
Bruno Marchesini nacque l’8 agosto 1915 a San Michele Arcangelo a Bagno di Piano (frazione del comune di Sala Bolognese, nell’Arcidiocesi e provincia di Bologna), ultimo dei sette figli di Giulio Marchesini, sarto e sacrestano, e Amalia Piagnoni. Educato cristianamente dai genitori e dai fratelli, già all’età di cinque anni era tra i chierichetti della sua parrocchia, Il 12 giugno 1927, il cardinal Giovanni Battista Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna, venne in visita pastorale a Bagno di Piano: alla sua domanda se volesse diventare sacerdote, il dodicenne Bruno rispose di sì.
Nell’autunno dello stesso anno iniziò il suo percorso nel Seminario diocesano di Bologna, con il Seminario minore, il 2
febbraio 1932 compì la vestizione clericale.
Scelto dai superiori in base al profitto e
alla condotta, si trasferì al Pontificio Seminario Romano, frequentandovi dapprima il Biennio liceale e, dal 1934, passato al Seminario Maggiore, i
corsi di filosofia e
teologia.
Tre anni dopo, il 6
febbraio 1937, ricevette la tonsura, e, il 26 febbraio dell’anno seguente, gli Ordini minori. Per rafforzare il suo proposito di essere interamente di Dio, nella notte di Natale del 1937 emise il voto di castità perpetua.
Dal 12 maggio 1938 venne assalito da una strana febbre, che gl’impedì di terminare gli esami del secondo anno di Teologia e
di raggiungere, nel mese seguente, i
compagni in vacanza in montagna. Costretto quindi a
fermarsi a
Bologna, gli venne diagnosticata una forma di meningite tubercolare. Morì nelle prime ore del 29 luglio 1938, poco prima di compiere
ventitré anni.
Il processo diocesano della sua causa di beatificazione si è
svolta a
Bologna dal 28 giugno 1955 al 18 maggio 1964. Il 20 dicembre 2002, alla presenza del Papa san Giovanni Paolo II, è stato promulgato il decreto sull'eroicità delle sue virtù, da cui il titolo di Venerabile.
I suoi resti mortali riposano nella cattedrale di San Pietro a Bologna, precisamente accanto all'inizio della navata destra.
Cosa c’entra con me?
Il modo con cui ho appreso la storia di Bruno è quasi lo stesso con cui sono venuta a
conoscenza di Rolando Rivi, ora Beato: nel 2006, ho iniziato a
cercare storie di seminaristi che avessero la causa in corso, o
possibilmente con le virtù eroiche già approvate, dopo che mi era stata raccontata la vicenda di uno della mia Diocesi, che avrebbe dovuto essere ordinato sacerdote quell’anno, ma era morto di malattia due anni prima.
Per cercare di conoscere meglio quel giovane bolognese, mi sono procurata la sua biografia più recente: è
stata una delle prime volte che ho ordinato qualcosa in una delle mie librerie cattoliche di fiducia. Quella lettura mi è
stata molto utile per superare la mia prima impressione, d’innegabile dispiacere per lui, e provare a rileggere con un’ottica di fede la sua fine repentina.
Più o
meno dopo tre anni, quando ho intrapreso la mia corrispondenza col professor Paolo Risso, che di Bruno aveva scritto un profilo biografico pubblicato sull’Osservatore
Romano, ho deciso di chiedere del materiale su di lui.
A seguito di una telefonata presso la Curia di Bologna, ho potuto parlare col vicepostulatore della sua causa: a strettissimo giro di posta, mi sono arrivati un opuscolo, qualche immaginetta con delle note biografiche, altri santini plastificati e perfino delle medagliette con reliquie ex
indumentis. In questi anni ho regalato parecchi di quegli articoli a seminaristi e giovani preti che conosco, sperando che ne facessero buon uso o che saltassero fuori al momento opportuno.
Alla notizia della beatificazione di Rolando, mi ha presa una sorta di santa invidia. Lui ha avuto un nutrito gruppo di amici che si sono presi a
cuore la sua vicenda e
l’hanno diffusa in lungo e in largo; inoltre, il suo caso era accentuato dal martirio. Il seminarista bolognese, invece, è molto meno noto fuori dalla sua Diocesi, almeno per quanto ne so.
Per avere una consulenza su questo articolo e
per avere altri santini (ho quasi esaurito quelli ordinati nel 2010) ho nuovamente telefonato in Curia. Avrei voluto chiamare direttamente il vicepostulatore, ma ho saputo cercando in Rete che è mancato due anni fa.
Dal Centro Servizi Generali sono stata invitata a chiamare presso l’Archivio storico o il Tribunale ecclesiastico, dove una gentile signora mi ha lasciato i contatti di chi ha ereditato il materiale del defunto monsignore.
Al di là di questi fatti, ho provato a
trovare dei punti di contatto tra me e
Bruno. In apparenza, non ce ne sono: è
nato esattamente cent’anni fa, ha scelto il sacerdozio, è
morto a
un’età lievemente inferiore alla mia attuale. Le fotografie che ci rimangono di lui mettono bene in mostra il suo sorriso, per cui un compagno di Seminario, riprendendo una definizione che già si era meritato san Filippo Neri, lo definì “la gioia cristiana” fatta persona. Io, invece, mi esalto facilmente e
mi deprimo appena le cose mi vanno un filino storte.
Eppure sento di avere qualcosa in comune con lui: una lieve ironia nel raccontare quello che mi accade (l’ho notata nelle sue lettere) e, soprattutto, l’ispirazione fornita da modelli di santità, che per lui erano il giovane gesuita san Giovanni Berchmans e i martiri dei primi secoli, della cui memoria Roma è piena.
Il suo Vangelo
Avevo deciso d’inserire Bruno nella mia Corona d’Avvento dei Testimoni, ovvero nella rassegna di storie che sono in qualche modo riferibili a quel tempo liturgico, per l’offerta in perpetuo della sua castità compiuta proprio nella notte di Natale 1937.
Dato che questo scritto è stato approvato in un secondo tempo e
che, nel frattempo, mi sono ricordata del centenario della sua nascita, ho
deciso di pubblicarlo adesso, senz’aspettare il prossimo Avvento.
Dal suo atto di consacrazione, ben più esteso, stralcio le frasi finali. Lo stile è
quello della sua epoca, dove si dava il “voi” perfino a
Dio, ma la confidenza si evince lo stesso:
Fatemi sacerdote
santo,
oppure
chiamatemi
prima
a
Voi.
Fatemi
comprendere
la
miseria
di
questa
vita,
se
non
è
spesa
tutta
ad
amarvi.
Tutte le altre espressioni contenute in quello scritto potrebbero essere i
pii pensieri di un seminarista come ce ne sono tanti e
che, purtroppo, rischiano di crollare per una lunghissima serie di fattori. Eppure lui aveva capito, aiutato dalla Grazia divina, che l’amore di Dio, fatto carne nel mistero del Natale, è l’unica cosa per cui vale la pena vivere, in modo da fare della propria esistenza – anche nella dimensione della corporeità – un dono. Peraltro, non credo che avesse scritto così per leggerezza o solo per emulare altri: ne doveva essere ben convinto, come hanno del resto testimoniato quanti hanno deposto nel suo processo diocesano.
La serietà della Chiesa ha stabilito che davvero ce l’ha messa tutta per confermare, giorno dopo giorno, il “Sì” pronunciato a dodici anni davanti al suo Arcivescovo. Spero proprio che, un giorno, venga approvato anche un miracolo, sigillo della sua reale intercessione presso Dio.
Per saperne di più (aggiornato 02/09/2023)
Duilio Preti, Quando
la giovinezza si fa preghiera – La vocazione di Bruno Marchesini,
EDB
2000,
pp.
136,
€ 11,00.
Biografia approfondita e curata dal punto di vista dell’inquadramento storico. Purtroppo è finita fuori catalogo.
Indirizzo di posta elettronica per scrivere al professor Vittorio Capuzza, postulatore della sua causa: postul.venmarchesiniATlibero.it (sostituire alle lettere “AT” il simbolo della chiocciola)
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