Io c’ero #9: GMG 2005, congelata a Colonia
Non potevo aprire che col logo (fonte) |
Sono
trascorsi esattamente dieci anni dalla mia prima Giornata Mondiale della
Gioventù. Attendevo davvero con ansia di potervi prendere parte, dopo gli
entusiastici racconti dei giovani della mia vecchia parrocchia, i quali avevano
vissuto giorni indimenticabili a Roma nel 2000. Anagraficamente, avrei potuto
andare nel 2002 a Toronto, dato che stavo per compiere diciott’anni, ma dalle
mie parti non si organizzò nessun gruppo. Quando ho saputo che per il raduno di
tre anni dopo si sarebbe fatto qualcosa, ho iniziato a immaginare cosa mi
sarebbe potuto succedere: ascoltare le catechesi dei vescovi, visitare chiese,
conoscere giovani credenti come me da ogni parte del globo…
Le mie speranze
sono state rese vane, ma non troppo.
Un programma insolito
Giusto per capirci (fonte) |
L’itinerario
organizzato per me e gli altri giovani non prevedeva, infatti, che arrivassimo
a Colonia prima del pomeriggio di venerdì 19 agosto, quindi ci saremmo persi
non solo le catechesi, ma anche la Via Crucis. Dato che avremmo alloggiato in
alberghi più o meno grandi, non si rendeva necessario portare i sacchi a pelo;
quanto alla notte tra sabato e domenica, avremmo riposato nel nostro pulmino.
Le indicazioni valide per tutti, inoltre, dicevano che non ci voleva un
abbigliamento particolare, dato che in Germania il clima è continentale.
Ammetto di essere rimasta perplessa: nelle immagini delle precedenti GMG avevo
visto ragazzi con lo zaino in spalla, su cui spiccavano enormi sacchi a pelo,
muniti di impermeabili o di maglioni pesanti. Tuttavia, mi sono fidata, forse
troppo ciecamente.
Quanto
al programma, mi sono dispiaciuta parecchio, ma ho pensato che non avrei dovuto
sprecare la possibilità di visitare altre località lungo il tragitto: Innsbruck
appena varcato il confine tra Italia e Austria, poi Monaco di Baviera, Dresda,
Praga (che è in Repubblica Ceca, ma eravamo di strada) e, prima della tappa
finale, Berlino. Ricordo che abbiamo sostato anche presso quello che resta del
campo di Dachau, ma solo qualche anno dopo avrei saputo che quello era stato anche
il luogo di martirio e della singolare ordinazione del Beato Karl Leisner.
Ho
avuto qualche problemino di stomaco, specie durante i giorni a Dresda, il che
mi ha attirato le antipatie di quasi tutto il gruppo: per colpa mia, infatti,
dovevano fermarsi ogni volta che riuscissi a trovare un bagno o un bar. I miei
compagni di viaggio mal sopportarono, poi, la mia proposta di andare a vedere
la chiesa di Santa Maria della Vittoria a Praga, dov’è custodita la famosa
statuina di Gesù Bambino tanto venerata dai Carmelitani Scalzi e non solo. Alla fine, con me, è
entrato solo il sacerdote che ci accompagnava, ma solo io ho visitato il
piccolo museo dove sono custoditi i vestitini coi quali la statua viene
abbigliata. Quando però una delle mie due compagne di stanza (di ragazze
eravamo solo tre) mi ha domandato se avessi preso qualche santino, così da
portarne uno a sua nonna, non gliel’ho negato: perché avrei dovuto?
In pellegrinaggio o a
caccia di cimeli rock?
Un’altra
costante del mio viaggio era che, quasi dovunque ma specialmente a Berlino,
riuscivo a trovare qualcosa che riconducesse agli U2, il mio gruppo preferito.
Avevo da poco appreso che il mio arcivescovo, in una lettera indirizzata ai
cresimandi, aveva suggerito loro di non impegnarsi a cercare di scoprire le
curiosità più particolari sui cantanti famosi, ma di riprendere il Vangelo;
menzionava proprio il quartetto irlandese come caso tipo, forse perché avrà
associato i loro concerti in un famoso stadio al raduno per i ragazzi della
Cresima che ogni anno si svolge nello stesso luogo. Ebbene, nonostante avessi
ricevuto la Confermazione nove anni prima, sentivo che quelle parole erano come
rivolte a me.
Il risultato fu che appena mi capitava d’imbattermi ad esempio in un articolo che faceva parte della scenografia di una loro serie di concerti, cercavo di distogliere lo sguardo: ero in Germania per sentire il Papa, mica per fare il “pellegrinaggio del fan fanatico”, come mia sorella aveva scritto in un sms.
Il risultato fu che appena mi capitava d’imbattermi ad esempio in un articolo che faceva parte della scenografia di una loro serie di concerti, cercavo di distogliere lo sguardo: ero in Germania per sentire il Papa, mica per fare il “pellegrinaggio del fan fanatico”, come mia sorella aveva scritto in un sms.
Verso la veglia
Una
volta giunta a Colonia, ho dovuto dormire in una camera singola. Non mi
dispiaceva affatto, dal momento che una delle mie compagne mi rimproverava di
continuo per le mie abitudini in fatto di vestiti o di igiene personale, che
però cercavo di tenere accurata.
Il
mattino di sabato 20 agosto ci siamo mossi per raggiungere in tempo Marienfeld,
così da avere una buona visuale. Parcheggiato il pulmino nel punto più vicino
possibile all’area della veglia, ci siamo incamminati.
Finalmente
avevo la possibilità di essere immersa in quello che avevo visto solo in
televisione: bandiere sventolanti, giovani che cantavano, persone gentili che
ci offrivano da bere. Restava solo da trovare il punto corrispondente al nostro
settore, ma non ci siamo riusciti. Ad un tratto, uno dei nostri ha suggerito di
toglierci il pass col numero giusto, così nessuno ci avrebbe rimproverati
perché non eravamo giusti.
Per
ripercorrere esattamente cosa sentissi in quei momenti, dovrei riprendere il
diario che avevo tenuto in quei giorni, ma ora sono in vacanza e mi baso sui
ricordi (stesso motivo per cui non ho messo foto mie). Certamente, ho ripensato
al percorso che mi aveva condotta lì, a partire dagli Esercizi Spirituali
serali per i giovani della mia città, i primi in assoluto mai organizzati,
durante i quali ho capito che il mio modo di adorare il Signore non era affatto
simile a quello dei Magi. Fino ad allora ero una tranquilla ragazza un po’
paolotta (per il significato di “paolotto” rimando qui), ma avvertivo come se
mi mancasse qualcosa.
Gente che aspetta l’arrivo del Papa (fonte) |
Mentre
ero immersa nelle mie riflessioni, un rumore ha pervaso la folla: papa
Benedetto XVI stava arrivando. Rammento con certezza di aver scritto qualcosa
come: «Adesso capisco come si sentirono i Magi quando videro Gesù bambino…»,
sbagliandomi perché la loro gran gioia fu causata dall’aver visto la stella. Ho
già annotato le frasi pronunciate dall’ormai Papa emerito che più mi avevano
segnata: sono state quelle a farmi scoprire in cosa la
mia giovane esistenza avesse bisogno di cambiare. Dovevo riprendere la via
segnata dai Santi, da quelli più famosi a quelli misconosciuti, e seguirla
finché non avrei potuto prostrarmi davanti al Santo Bambino per adorarlo. Con
quello spirito mi sono inginocchiata sul terreno, puntando lo sguardo sul
grande ostensorio portato nel frattempo sul palco.
Ipotermia, non
portarmi via!
Già
quando mi sono alzata da quella posizione, ho iniziato a sentire male alle
gambe. Avevo indossato i pantaloni più pesanti che avevo, nonché due paia di
calzini, eppure non riuscivo a reggermi. I miei compagni non vollero seguire il
don e i due giovani che l’avevano seguito per tornare al nostro veicolo, perché
era troppo lontano: per resistere al freddo, si avvolsero le estremità con
della pellicola per alimenti, presa in prestito da una nostra conoscente venuta
col movimento di cui faceva parte.
A
me venne però un’idea migliore, proprio alla fine della veglia. Avevo visto sui
maxischermi dei messaggi in varie lingue, il cui tenore era: «Se avete freddo,
venite alle tende della Croce Rossa: avrete tè caldo e coperte». Mentre gli
altri riposavano, senza dir nulla a nessuno, mi sono alzata e, trascinandomi
come potevo, mi sono diretta al punto medico più vicino: volevo prendere da
bere e da coprirsi per tutti noi. Quando però sono riuscita a entrare nella
tenda, avevo i denti che mi ballavano in bocca e riuscivo a fatica a mettere in
fila le uniche parole in tedesco adatte all’occasione: «Ich… habe… kalt…»,
ossia «Ho freddo». I paramedici, a quello spettacolo, mi presero di peso, mi
stesero su una brandina e mi piazzarono tra le gambe almeno quattro bottiglie
da due litri, piene d’acqua calda; in rapida successione, mi stesero addosso
una coperta termica e una di lana.
Non
sapevo come far capire che invece volevo uscire: tutti parlavano una lingua
diversa dalla mia e, come scrivevo, facevo fatica ad articolare le parole. In
mio aiuto giunse un volontario un po’ attempato, italiano ma che conosceva il
tedesco: fu lui a dirmi che, di lì a poco, sarei stata portata all’ospedale. Il
sangue nelle vene mi si raggelò ancora di più: grazie ai miei geniali compagni,
ero priva del cartellino coi miei dati e il mio numero, quindi non potevo far
sapere loro che mi ero allontanata. Qualche minuto dopo, sono stata caricata su
una lettiga e portata in ambulanza. Il tragitto, grazie a Dio, era molto più
breve e portava in una tenda più ampia di quella dove mi trovavo prima. Nell’ospedale
da campo sono riuscita a sapere cosa mi era successo, guardando la mia cartella
clinica. La pressione sanguigna era nella norma, ma la temperatura corporea era
scesa sotto i 35°C.
Questi però hanno preso (o gli hanno portato) le coperte termiche! (Fonte) |
Alle
prime luci dell’alba, sono stata raggiunta da una mia compagna, la stessa che
mi rimproverava sempre, particolarmente furiosa; in quella circostanza, ammetto
che avesse ragione, ma solo nel dire che non dovevo allontanarmi senza
avvisare. Secondo lei, avevo passato una nottata migliore della loro, perché
almeno io ero al calduccio e sdraiata su un letto, anche se di fortuna. Appena
ho potuto, quindi, mi sono alzata per andare in bagno e verificare se le gambe
rispondessero bene: potevo farcela!
Ho
seguito quella ragazza e sono tornata dagli altri. Con loro ho partecipato alla
Messa, ma mi sono inventata un modo per ricambiare l’organizzazione: ho
contribuito a raccogliere le offerte durante la presentazione dei doni, ma sono
subito tornata al punto di partenza. Non comprendevo perché ai miei compagni
non fosse accaduto lo stesso e, soprattutto, perché fossero tanto arrabbiati
con me. Ero sicura di una cosa: se avessi preso parte a un’altra GMG, avrei
costantemente viaggiato col sacco a pelo, ostelli o non ostelli!
Alla fine del
viaggio…
Se
proprio dovessi trovare un frutto da quella partecipazione, credo che non sia
l’aver trovato la mia vocazione, com’è accaduto a tanti. Piuttosto, sono
tornata dopo aver riscoperto le ragioni della mia fede e il distacco da tutto
quello che non serve per raggiungere il luogo dove si trova Gesù, compresa una
passione smodata per i musicisti famosi (quindi l’arcivescovo aveva ragione!).
Una volta compreso – e ci ho messo un bel po’ – che avevo rischiato grosso, ho
capito che Dio mi aveva prolungato la vita per uno scopo noto solo a Lui.
Dieci
anni dopo, non ho ancora raggiunto la capanna o grotta dove depositare i miei
doni. La stella a volte appare, altre scompare, ma so che devo resistere, o
avrò sprecato in male i dieci anni trascorsi da quell’esperienza.
Semmai voleste lo spartito, gli accordi e/o una registrazione in MP3 della
versione italiana dell’inno Venimus
adorare eum, li trovate qui.
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