Don Salvatore Mellone, dono dell’amore di Dio

Don Salvatore
il giorno della Prima Messa
(per gentile concessione
di Riccardo Losappio)

Chi è?

Salvatore Mellone nacque il 7 marzo 1977 a Barletta, in provincia e diocesi di Barletta (dal 2004 provincia di Barletta-Andria-Trani e, dal 1986, diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie), figlio primogenito di Giuseppe Mellone e Filomena Mobilio. Subito dopo la nascita, fu chiaro che aveva problemi allo stomaco e all’esofago: temendo per la sua vita, i genitori decisero di farlo battezzare d’urgenza, nel reparto di chirurgia neonatale dell’Ospedale Gaslini di Genova.

Per i primi anni visse con la famiglia, a cui, un anno dopo la sua nascita, si aggiunse la sorella Adele, a Valenzano, a pochi chilometri da Bari. In terza elementare, dopo che i genitori avevano proceduto all’acquisto di una nuova casa, si trasferì a Barletta.

Ricevette la Prima Comunione nella parrocchia del Santissimo Crocifisso a Barletta, ma la sua frequentazione della Messa divenne abitudinaria e annoiata: solo le letture bibliche lo interessavano, tanto che da solo, a casa, leggeva per conto proprio la Parola di Dio. Nell’adolescenza fu iscritto, insieme ad alcuni amici, a una sorta di corso di recupero di catechismo in vista della Cresima, nella parrocchia di Santa Maria degli Angeli, ma per sua ammissione ci andava solo per frequentare le ragazze.

Durante un campo estivo organizzato dalla parrocchia, precisamente a La Verna, Salvatore ebbe la prima netta percezione della presenza di Dio nella sua vita e del suo Amore per lui. Ricevette la Cresima durante il primo anno al liceo scientifico; l’anno dopo gli fu affidata la sua prima classe di catechismo.

Dopo una prima relazione sentimentale, si fidanzò con Francesca, ma di tanto in tanto riaffiorava in lui l’esperienza vissuta alla Verna. Per l’università, benché fosse portato per le lettere, scelse Scienze Politiche, anche in prospettiva di entrare nelle Forze Armate (suo padre era maresciallo dell’Esercito).

Dilaniato da mille interrogativi, prese le distanze da Dio e dalla Messa domenicale; riversava le sue energie nelle varie passioni, come lo sport (era arbitro di rugby), ma sentiva un vuoto interiore. Iniziò il servizio militare, rimandato per via degli studi: in quel periodo ebbe un’altra intuizione circa la grandezza e la bontà del Padre celeste. Concluse l’Università, ma intanto fu sottoposto ad accertamenti invasivi per i problemi che si erano manifestati già nella primissima infanzia.

Riprese a partecipare alla Messa, anche feriale, a confrontarsi con la Parola di Dio e ad affrontare testi di spiritualità. Dopo aver partecipato all’Agorà dei Giovani italiani a Loreto, lasciò Francesca, per la quale provava ormai solo affetto.

Nella parrocchia del Santissimo Crocifisso seguì due classi di ragazzi verso la Cresima e anche oltre. Entrò anche nella redazione de La Stadera, il periodico parrocchiale. Nel 2009 pubblicò in proprio una raccolta di poesie, Le scaglie intorno.

Nel 2011 accettò di trasferirsi a Bolzano, città dove già lavorava sua sorella, per lavorare nell’amministrazione del collegio delle Suore Marcelline. Proprio lì capì di sentirsi chiamato al sacerdozio: lo riferì prima alla sorella, poi, per telefono, ai genitori.

Nell’ottobre dello stesso anno iniziò il Corso Propedeutico nel Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta, passando al biennio filosofico l’anno seguente. Nella comunità seminaristica alimentò ulteriormente la sua spiritualità e accentuò la sua passione culturale. Nel 2013, insieme al compagno di Seminario Vincenzo de Gregorio, diede alle stampe il saggio teologico L’umanità libera sorride a Dio – Agorà e Parola.

Collaborò anche con il giornale diocesano In Comunione: grazie a questo servizio e a quello nel giornale parrocchiale, poté iscriversi, nel giugno 2014, all’Ordine dei giornalisti e pubblicisti della Regione Puglia.

Nello stesso periodo, alla fine del biennio filosofico, quindi prima d’iniziare il terzo anno di studi, i suoi problemi di salute peggiorarono: dagli accertamenti emerse una neoplasia all’esofago. Affrontò cure invasive, ma continuò il percorso in Seminario: il 26 dicembre 2014, nella chiesa del Santissimo Crocifisso, celebrò il rito di ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato.

Sempre più grave, Salvatore chiese al suo vescovo, monsignor Giovan Battista Pichierri, di essere ordinato sacerdote. Dopo aver consultato la Congregazione per il Clero e avvalendosi delle prerogative concesse ai vescovi in materia di ordine sacro, il vescovo acconsentì.

Il 14 aprile 2015, in casa sua, Salvatore fu istituito Lettore e Accolito. Il giorno dopo venne ordinato diacono e, il 16 aprile, sacerdote, sempre nella sua abitazione. La notizia della sua ordinazione anticipata divenne un fatto nazionale, come non se ne sentivano da almeno quarant’anni.

Don Salvatore celebrò cinquantanove Messe, l’ultima delle quali il 26 giugno 2015, tenendo anche l’omelia, con interventi sempre più brevi man mano che le forze venivano meno. Il 2 giugno 2015 celebrò anche un Battesimo.

Morì il 29 giugno 2015, dopo settantaquattro giorni dall’ordinazione sacerdotale, a trentott’anni. La sua tomba si trova nel cimitero di Barletta.

 

Cosa c’entra con me?

Ho ripescato dal mio diario spirituale di dieci anni fa le pagine in cui annotavo come avessi avuto la notizia dell’ordinazione anticipata di don Salvatore.

Il 15 aprile 2015 ero all’inizio della mia collaborazione con La Croce – Quotidiano e stavo pensando a come raccontare del Convegno Missionario Seminaristi, che si sarebbe tenuto in quei giorni nella mia città di Milano, quando mi arrivò un messaggio via WhatsApp: conteneva un collegamento a una pagina di Vatican Insider dove si parlava dell’ordinazione diaconale e veniva annunciata, per l’indomani, quella sacerdotale; dagli appunti che avevo preso annotavo che non era indicato quale malattia grave avesse.

Mi venne subito un’idea, che sottoposi al mio contatto in redazione: un articolo sui preti diocesani, italiani e non, ordinati con dispensa. Dopo qualche giorno, ho pensato di riproporlo anche qui sul blog.

Insieme alla buona idea, mi era venuto un terribile pensiero, relativo a quei seminaristi di cui avevo scoperto le storie, alcuni dei quali candidati agli altari: se Dio li aveva tolti dal mondo prima dell’ordinazione, voleva dire che non ne erano degni.

In particolare, risuonava in me quella frase del Venerabile Bruno Marchesini, il quale supplicava il Signore di renderlo sacerdote santo, oppure di chiamarlo a Sé. Ne convenivo che dovevo fare di tutto perché tutti i seminaristi del mondo, a cominciare da quelli che conoscevo, si comportassero in maniera degna della loro chiamata.

Allo stesso tempo, mi domandavo perché Dio avesse concesso l’ordinazione di tanti che poi avevano lasciato il ministero, o l’avevano macchiato attraverso abusi di vario tipo, e non li avesse fatti morire prima. Ho provato a darmi una spiegazione: sia nel sacerdozio realizzato in extremis, sia in quello tradito, sia in quello incompiuto, c’è un messaggio, spesso ancora da scoprire.

La storia di don Salvatore mi aveva colpito non solo per questa ragione, ma anche perché, in quel periodo, mi sentivo sprecata e irrisolta: tanti miei amici, invece, si sposavano, prendevano la via della consacrazione o si preparavano a spendere la vita da sacerdoti. Ero arrivata a esclamare che avrei voluto nascere maschio, così il mio sacerdozio sarebbe stato il prolungamento di quello di coloro che non ce l’avevano fatta.

Non essendo naturalmente possibile, sapevo di poter comunque dare il mio contributo. Ricordo che telefonai all’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, perché rivolgermi alla parrocchia (o a lui direttamente: avevo scovato il suo indirizzo personale di posta elettronica) mi suonava troppo da invadente, per chiedere il permesso di scrivere l’articolo per La Croce.

L’aiuto del diacono Riccardo Losappio, responsabile dell’Ufficio, fu fondamentale per l’approvazione della bozza, ma non solo per questo. Gli chiesi un favore: doveva riferire a don Salvatore e ai suoi comparrocchiani che non intendevo speculare su di lui, né suscitare una commozione superficiale. Infine, gli domandai di poter ricevere l’immagine-ricordo della Prima Messa, promettendo che ne avrei fatto buon uso.

Col passare dei giorni, ogni tanto mi domandavo come stesse don Salvatore, come passasse le giornate, cosa raccontasse nelle sue omelie. L’immagine della Prima Messa, intanto, non mi era ancora arrivata, ma non era il caso d’insistere.

Il 25 giugno tornai a ficcanasare sulla pagina Facebook de La Stadera: nel numero di quel mese (purtroppo non è più online) c’era un estratto dei messaggi, a migliaia, ricevuti dalla redazione. Uno in particolare mi colpì: veniva proprio dal Seminario della mia diocesi! Il giovane che aveva scritto riferiva che i seminaristi di Milano avevano pregato tanto per lui e si erano sentiti come se fossero nella sua abitazione a partecipare all’ordinazione.

Quattro giorni dopo, al termine di una giornata iniziata molto bene, ma proseguita con un episodio spiacevole, mentre guardavo gli ultimi aggiornamenti di Facebook, lessi il comunicato che annunciava la morte di don Salvatore.

Aggiornai subito il post sulle altre ordinazioni anticipate, promettendo che non avrei speculato sulla sua storia più di quanto non avessi già fatto. Neanche mezz’ora dopo, scrissi al diacono Losappio per le condoglianze, ma anche per chiedergli, a quel punto, anche il ricordino funebre. In più lessi con attenzione quello che uscì su Avvenire, in particolare questo editoriale, che coglieva in pieno quello che continuo a pensare oggi. 

Nel frattempo, nelle note biografiche diffuse insieme al comunicato, avevo letto che lui aveva lavorato dalle Marcelline di Bolzano. Ebbene, la religiosa di quell’Istituto che avevo conosciuto all’epoca della beatificazione del fondatore, il Beato Luigi Biraghi, e che mi aveva aiutata anche ad approfondire la storia della consorella Beata Maria Anna Sala, a quel tempo era proprio a Bolzano: non potevo fare a meno di chiederle se avesse un buon ricordo di lui e se avesse mai parlato con lei della sua vocazione. La risposta fu che era stato lì per alcuni mesi e che la sua storia, come anche la vocazione, erano state una grande sorpresa.

Il caporedattore de La Croce, il giorno dopo la morte di don Salvatore, mi chiese un altro articolo su di lui. Ancora una volta, furono preziose le pagine de La Stadera, soprattutto quelle con il suo ultimo contributo, «Celebrare Dio nella gioia, vocazione eterna», pubblicato nel numero 99 del giugno 2015. In altri suoi pezzi, invece, mi era parso di ravvisare come lui intendesse il sacerdote: «uomo della fedeltà al suo Signore, uomo ordinato nel suo nome, uomo al servizio di un mistero di luce per il quale ha rinunciato a tanto con fede, carità e speranza nel tutto».

L’immagine della Prima Messa mi arrivò il 7 luglio. Nella mail in cui ringraziavo per la spedizione, affermai che avrei ricambiato con qualcosa di analogo. Immagino che i miei lettori più attenti, a questo punto, avranno intuito a cosa mi riferissi: alle immaginette del seminarista Alessandro Galimberti, fatte stampare per il decimo anniversario della sua morte.

Rispondendo a quel messaggio elettronico, Losappio, commosso per quel regalo, mi annunciò che monsignor Pichierri aveva decretato l’istituzione del Comitato redazionale intitolato a don Salvatore, il cui insediamento si sarebbe tenuto il 30 luglio, quindi nel trigesimo; il decreto vescovile era datato 3 luglio, quindi quattro giorni dopo.

Questo fatto mi portò a domandarmi che fretta ci fosse e se, operando così, non fosse un tentativo di anticipare il giudizio della Chiesa sull’esperienza di don Salvatore. Ho subito accantonato quel pensiero, sostituendolo con la speranza che il Comitato potesse aiutarmi nello stilare il profilo biografico per santiebeati.it, sezione Testimoni, a cui avevo iniziato a pensare.

Già un anno dopo l’ordinazione cercavo di fare il punto della situazione e immaginavo altre iniziative. Tuttavia, nel 2017, morì monsignor Pichierri: ammetto di aver pensato che, a quel punto, i lavori non sarebbero andati più avanti, ma mi sbagliavo.

Nel frattempo, pensai che sarebbe stato bene che mi procurassi almeno il saggio teologico da lui scritto insieme all’amico e compagno di studi Vincenzo, dato che le poesie mi sembravano di difficile reperibilità. Un po’ mi vergognavo, perché mi sentivo come quelli che comprano un libro solo perché scritto da qualche personaggio famoso, ma poi l’ho fatto; un altro conto è che non ne ho mai affrontato seriamente la lettura.

Ho seguito con interesse molti interventi televisivi su di lui e ho appreso della nascita di Casa Miriam, situata nello stesso appartamento dove lui nacque (era la casa dei nonni materni): è un luogo dove vengono ospitate famiglie di malati oncologici ricoverati a Barletta o in zone limitrofe.

Infine, nel 2023, mi sono procurata il volumetto con i suoi scritti spirituali, come già avevo fatto, temendo che andasse fuori catalogo, con quello delle omelie. Si realizzava quindi ciò che auspicavo poco dopo l’ordinazione, come scrivevo nel primo post: l’uscita di un racconto più esteso di quello che gli era successo prima di capire di dover diventare prete, scritto da lui medesimo.

Tuttavia, prima di ieri, non avevo nemmeno sfogliato quei libri, tenendoli però a portata di mano. In compenso, ho rievocato il suo ricordo più di una volta: l’ultima, recentissimamente, nella mia recensione del film Father Stu.

Ricordavo bene che quest’anno ricorrevano il decimo anniversario dell’ordinazione e della morte, ma ad aprile non mi sentivo di occuparmi di lui. Nemmeno avevo intenzione di farlo adesso, limitandomi a un post commemorativo in cui facevo il punto su come la sua memoria era stata tramandata e custodita. Tuttavia, procedendo con la lettura degli scritti, ho cambiato idea: ci voleva proprio un post di tipo classico.

Ho fatto proprio bene a non lasciarmi contagiare dalla commozione momentanea e a prendere in mano quei testi solo in quest’occasione. Ho potuto gustare ancora meglio la sincerità con cui Salvatore condivideva, in un testo chiamato “Partage” storico-vocazionale, datato 20 febbraio 2014, le circostanze della vita in cui ha imparato a riconoscere la voce di Dio, simile al «sussurro di una brezza leggera» di cui parla il primo libro dei Re.

Ho ricordato gli aspetti che già conoscevo e che me lo rendono particolarmente affine: l’amore per la cultura e la comunicazione ecclesiale, ma anche per i libri e la spiritualità. Anzi, leggendo il “Partage”, ho appreso che, quando guadagnava qualche soldo attraverso lezioni private, lo investiva in libri presi alla libreria San Paolo di Bari: facevo lo stesso anch’io, quand’ero universitaria, per festeggiare la buona riuscita dei miei esami (quasi sempre), e continuo ancora adesso.

Nello stesso testo, ho appurato che anche lui aveva i suoi Santi preferiti: sorprendentemente, però, erano perlopiù figure dell’Oriente cristiano. Invece sapevo già che, poco prima della morte, gli fu portata una reliquia di Genoveffa De Troia, una Venerabile molto nota in Puglia grazie ai frati Cappuccini (tra l’altro, fu un Cappuccino ad amministrare il Battesimo d’urgenza, al Gaslini, a Salvatore neonato) di Foggia: lo stesso nome, però anglicizzato, Jennifer (in italiano non è molto diffuso, forse perché suona “vecchio” o perché ha una connotazione negativa, in quanto è il nome italiano di una delle sorellastre della Cenerentola Disney), è quello dell’unica bambina che aveva battezzato.

Quanto ai Testimoni suoi contemporanei, durante il “Capitolo dei Giovani” organizzato a Sepino dai Frati Minori di Puglia e Molise, fu subito incantato dalle parole del vescovo di Molfetta, monsignor Antonio Bello, alias don Tonino: nel futuro Venerabile ravvisò subito «un modello di semplicità». All’Agorà dei Giovani, invece, si sentì pungolato dalle esortazioni di papa Benedetto XVI, proprio com’era successo a me due anni addietro, prima di finire in ipotermia alla GMG di Colonia.

Infine, l’elezione di papa Francesco gli ha ricordato il momento in cui tutto è iniziato per lui, sulla Verna. Naturalmente non poteva sapere che proprio sotto il suo pontificato si sarebbe celebrata la sua ordinazione speciale, anzi, che lo stesso Papa gli avrebbe telefonato e chiesto che la prima benedizione sacerdotale scendesse su di lui.

Dopo il suo caso, qui in Italia, non mi constano altri preti diocesani ordinati anticipatamente, ma due religiosi: don MichaŁ Łos, Figlio della Divina Provvidenza, ovvero un religioso orionino, e padre Livinius Esomchi Nnamani, dell’Ordine della Madre di Dio.

Compatibilmente con i miei impegni, ora penso che sia arrivato il momento di realizzare il profilo che avevo rimandato. Sicuramente attingerò alle testimonianze rilasciate in televisione dai suoi cari, particolarmente all’ultima, andata in onda nel programma Finalmente Domenica di TV 2000 il 9 ottobre 2022, ospiti sua madre e sua sorella.

 

 

Ha testimoniato la speranza perché…

Negli alti e bassi della sua vita prima del Seminario, secondo la testimonianza del “Partage”, don Salvatore è sempre stato sicuro che Dio lo amava, che era con lui, che non lo lasciava solo né mai l’avrebbe fatto: per questo non ha perso del tutto la speranza, anche quando gli sembrava di toccare il fondo o di sperimentare il vuoto interiore.

Lo aiutavano moltissimo gli insegnamenti dei maestri spirituali cristiani d’Oriente, soprattutto Silvano del Monte Athos: «Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!» era una sua frase che, dopo averla scoperta, ha continuamente portato nel cuore.

Infine, quando la malattia lo ha segnato ancora di più, ha tenacemente chiesto di concludere il suo percorso vocazionale, così tormentato, con l’unzione sacerdotale, pur sapendo che, se fosse stato accontentato, non avrebbe avuto un ministero come quello di un prete comune. Penso proprio che, nei giorni in cui la sua storia diventava di dominio pubblico, abbia dato ancora più speranza a tantissime persone, anche a quanti, come lui un tempo, escludevano Dio dal proprio orizzonte.

 

Il suo Vangelo

A dieci anni di distanza dalla morte, superata la commozione per l’accaduto e per l’ordinazione speciale, appare più chiaro che l’annuncio fondamentale di don Salvatore non sia da cogliere solo nei suoi settantaquattro giorni sacerdotali.

Dalla prima attrattiva da bambino, ascoltando a Messa la chiamata di Samuele, al camposcuola che gli cambiò la vita (fatte le debite distinzioni, accadde così anche al Servo di Dio Luigi Brutti), all’esperienza al militare, fino alla consapevolezza maturata a Bolzano, così lontano da casa, sono tutte esperienze unite dal filo rosso della voce di Dio che lo chiamava, ma senza fargli rinnegare nulla di ciò che amava o della sua personalità.

Un prete che conosco, quando l’ho interpellato a proposito di un suo amico morto da seminarista, che aveva lasciato una mole di scritti molto profondi, mi aveva riferito che, secondo lui, il clima seminaristico aiuta a guardarsi dentro e a scrivere componimenti un po’ poetici, ma non sempre sinceri: quel ragazzo, invece, non aveva barato né con sé stesso, né con Dio. Chi ha conosciuto don Salvatore esprime concetti simili; in effetti, mi sento anch’io di pensarla così.

Anche lui aveva degli ideali sacerdotali, incarnati dai parroci e dai direttori spirituali che aveva conosciuto, e sognava un ministero con delle precise caratteristiche: voleva essere «uno spalancatore di porte», capace di aprire spazi nuovi, servo e pastore in nome dell’unico Pastore, ma soprattutto capace di amare il popolo che gli sarebbe stato affidato.

Quando poi gli è stata concessa l’ordinazione, ha riconosciuto che era totalmente un dono gratuito e che non aveva fatto nulla per poterlo meritare, se non lasciarsi amare da Colui che l’amava da sempre. Lo ha dichiarato praticamente in ogni suo intervento, sin dalle parole pronunciate al termine della Messa per l’ordinazione presbiterale, sia nelle omelie, accuratamente registrate e trascritte.

Ad esempio, concluse così quella di sabato 9 maggio 2015, nella Messa vespertina della VI Domenica di Pasqua:

Lasciamo spazio nella nostra vita a questo Amore che ci inonda e ci rende persone che brillano, persone che sono rilucenti di una luce che non è luce propria, ma è luce donata, luce di Dio.

Facciamo sì che le nostre vite divengano luce di Dio, luce di Dio per la nostra gioia, luce di Dio per la gioia degli altri.

Per questo, nel suo ultimo articolo per La Stadera, si definiva «presbitero per grazia di Dio», mentre i suoi amici giovani, per il funerale, hanno composto un canto intitolato Dono d’amore (non ne trovo traccia, se non nella cronaca dei funerali pubblicata sul sito di Avvenire). È così per ogni prete: credo che il suo scopo di ricordarlo sia stato colto in pieno.

 

Per saperne di più

Vincenzo de Gregorio – Salvatore Mellone, L'Umanità libera sorride a Dio – Agorà e Parola, Tau Editrice Rotas 2013, pp. 112, € 10,00.

Lavoro scritto a quattro mani con un amico seminarista: la sua parte si sofferma su La Parola, dimora per Dio e per l’uomo.


Salvatore Mellone, Lasciamo spazio a Dio, Editrice Rotas 2016, pp. 144, € 15,00.

La raccolta completa di tutte le sue omelie; comprende anche le omelie del vescovo Pichierri in occasione dell’ordinazione presbiterale e delle esequie.


Salvatore Mellone, Il sussurro di una brezza leggera - Scritti spirituali, San Paolo Edizioni 2023, pp. 128, € 10,00.

Volume che contiene il “Partage” storico-vocazionale, alcune pagine dal suo quaderno spirituale e una preghiera vocazionale.

 

Su Internet

Pagine su di lui del sito dell’arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie

Pagina Facebook ufficiale del Comitato Don Salvatore Mellone

Pagina Facebook ufficiale dell’associazione Buon Samaritano di Barletta, che gestisce Casa Miriam


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