CineTestimoniando #4: «Chiamatemi Francesco»



CineTestimoniando torna alla sua natura originaria, ossia di rubrica dedicata alle recensioni cinematografiche, con uno sguardo sia alle scelte tecniche, sia alla rappresentazione del messaggio credente. L’uscita del primo film dedicato a papa Francesco non poteva che avere spazio qui, anche se in ritardo rispetto all’uscita.
Ammetto di essere partita un po’ prevenuta: per certi versi sono stata sorpresa, per certi altri avrei operato diversamente. Ma andiamo con ordine (seguono blande anticipazioni, per cui attenzione!).

La trama in breve

Buenos Aires, anni ’50. Il giovane perito chimico Jorge Mario Bergoglio (Rodrigo De La Serna) sorprende familiari, amici, colleghi e la fidanzata annunciando loro di voler diventare missionario e di partire per il Giappone. Entra quindi nella Compagnia di Gesù, della quale diventa Superiore Provinciale negli anni della dittatura del generale Videla. S’impegna quindi a nascondere dapprima solo i seminaristi della sua congregazione, poi anche alcuni amici. Apprende dell’uccisione del vescovo Enrique Angelelli (Pompeyo Audivert) e delle torture mortali subite da altri suoi confratelli, ma prosegue nella sua opera.
Dopo un mandato in una comunità rurale, viene nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires e inizia a conoscere ancora più da vicino gli abitanti dei quartieri più poveri. Quindici anni dopo essere stato nominato arcivescovo titolare di Buenos Aires e a dodici dall’essere stato creato cardinale (Sergio Hernández), partecipa al Conclave da cui sarà eletto come 266° successore di san Pietro.

Considerazioni di stile



Jorge e i suoi amici: dal ballo alla missione
Sperando di riuscire ad andare a vedere questo film, ho cercato accuratamente di evitare ogni possibile riferimento ad esso, fosse su Internet, sulla carta stampata o in televisione. Non volevo lasciarmi rovinare la visione nemmeno dalle recensioni di chi l’avesse già visto; penso di esserci riuscita abbastanza.
La mia analisi, quindi, parte da uno dei motivi che più mi fanno spazientire nelle opere di finzione su papi, santi e simili: il flash-back col protagonista che, moribondo o in un momento importante della vita, ripensa alla sua esistenza fino a quel momento. Anche stavolta non è mancato, come un altro stilema che personalmente aborrisco, ossia l’Inutile Filarino Amoroso (o IFA), qui rappresentato da Gabriela (Paula Baldini), che prima Jorge bacia tra le vetrine di un museo di paleontologia e, subito dopo, pianta in asso con l’apparentemente repentina decisione per la vocazione missionaria.
Salvo questi aspetti, il film scorre senza cali di tensione. I momenti di sparatorie o uccisioni potevano benissimo essere evitati, o mostrati ancor più brevemente, sebbene abbia trovato efficace la scelta della visione in soggettiva da parte di un prigioniero.
In tal modo, si sarebbe potuta sviluppare meglio la storia della chiamata del futuro Papa, inclusa la fatidica confessione del giorno di San Matteo nella chiesa di San Giuseppe a Flores, qui liquidata con una brevissima sosta di preghiera e con la scelta di afferrare la mano tesa di Dio per farsi accompagnare da Lui, come afferma la voce fuori campo del cardinal Bergoglio. Va pur detto, però, che il regista non intendeva dare un ritratto oleografico del suo protagonista. Rappresentarlo uscito dal confessionale con un’espressione beata sul volto – anzi, con una “faccia da immaginetta” – avrebbe decisamente stonato col resto della pellicola.
Anche la fotografia e la colonna sonora contribuiscono in tal senso: via i raggi di luce e i brani d’organo, soppiantati dalla cupezza delle torture e dal suono di una fisarmonica e di una chitarra, specie di quest’ultima nei momenti decisivi della vicenda di padre Jorge. Il suo ciuffo ribelle, ben pettinato solo nei momenti in cui conferisce con le autorità, è il segnale della progressiva assimilazione con la sofferenza dell’Argentina sotto Videla, anche se i momenti in cui appare vestito da prete sono comunque superiori a quelli in cui indossa abiti civili.
Il contesto storico è qui rappresentato in tutta la sua atrocità, comprese le modalità con cui erano fatti sparire i famosi desaparecidos (altre scene che avrei preferito lasciare del tutto all’immaginazione). Fa anche pensare come sia stato possibile che le autorità religiose non sapessero o non si lasciassero coinvolgere da quei delitti.
Dispiace e interroga pure la figura del cardinal Quarracino, al limite della macchietta, visto un porporato grassoccio con anello prezioso e croce pettorale d’oro attaccata a una grossa catena, il quale preferisce degustare dei macarons al pistacchio invece che discutere dei gesuiti rimasti con gli abitanti dei quartieri poveri. Lo scontro con padre Jorge visto come il “buono” di turno non è tuttavia esplicitato.
Apprezzabile è pure il ricorrere di un gioco di cinepresa in due momenti salienti della storia: quando il novizio Bergoglio si prepara all’esame finale da parte dei suoi superiori e quando, lasciata la talare nera per quella bianca, si prepara a dare il suo «Buonasera!» a tutto il mondo.
Tuttavia, non mancano i salti nella trama. Ci sono almeno due grosse lacune: oltre a quella, già citata, della formazione fino al sacerdozio (non dico la Prima Messa, ma almeno l’ordinazione sacerdotale ci stava), ce n’è una più grossa. Il cardinale mostra a padre Jorge la lettera con cui il Papa lo nomina vescovo ausiliare; segue una lunga sequenza ambientata in una baraccopoli. Subito dopo, lo spettatore si ritrova davanti lo stesso sbigottimento che prende l’anziano arcivescovo Bergoglio mentre, nella sua spoglia camera, resta col cucchiaio per aria a sentire la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI. 
È più rosso della porpora cardinalizia!
Sono appena accennati i suoi impegni episcopali (invece non si fa per niente presente che è un cardinale elettore), ridotti a burocrazia dalla solerte segretaria e mandati in aria dalla decisione dello Spirito Santo mediante l’elezione dei cardinali.
L’interpretazione dell’attore anziano, qui, tocca il culmine in positivo, quando scoppia in una sonora risata, la stessa che gli era stata raccomandata dai suoi superiori, all’inizio del suo percorso nella Compagnia di Gesù.
Quanto al finale [ATTENZIONE ALL’ANTICIPAZIONE], avrei evitato l’inserzione del materiale video di repertorio, anche se era ben collegata alle immagini di finzione. Avrei quindi accompagnato i cartelli conclusivi (nei quali s’ironizza sul fatto che papa Francesco non è ancora andato in Giappone…) con la sola voce vera, anche con la parte sui cardinali che sono andati a prenderlo «quasi dalla fine del mondo», che si rifà a tutto quello che è stato mostrato in precedenza [FINE ANTICIPAZIONE].
Presumo, in ogni caso, che i buchi logici vengano compensati quando il film verrà ampliato in due parti e trasmesso in televisione.

Considerazioni di fede

Il matrimonio prima del Conclave
L’intento anti-santino di Luchetti è pienamente riuscito, anche se alcune concessioni sono rimaste. Il Bergoglio che appende i panni alla terrazza con vista sul Cupolone all’inizio è lo stesso che, da Provinciale dei Gesuiti argentini, sbuccia un uovo sodo in cucina quando viene raggiunto dalla notizia della morte di Angelelli, o che battezza l’ultimo dei tre figli di una donna, tutti avuti da un uomo sposato con un’altra, o che viene stimato da una collega non credente, o che dispensa immaginette della Madonna che Scioglie i Nodi, o che ancora preferisce andare a celebrare un matrimonio in una delle villas miserias invece di fare i bagagli per Roma.
Ignoro se i fatti siano davvero andati così, o se sia stata una scelta di sceneggiatura per far capire che le scelte di sobrietà e di vicinanza ai poveri non sono una bizzarria, ma frutto d’incontri e di fatti che hanno plasmato la fede dell’attuale Pontefice.
Proprio la sobrietà credo sia il messaggio fondamentale di quest’opera. Tutto lascia intuire che, se davvero un credente, ancor prima che un sacerdote o un vescovo, decide di stare autenticamente dalla parte del Signore (cioè del povero, del senza casa, di chi si lascia rubare la speranza) e non compie scelte di comodo, risulta più credibile di chi finge di non vedere e si lascia cogliere dall’indifferenza.

Consigliato a...

Chiamatemi Francesco rappresenta un’ottima occasione per quanti, da credenti, sono affezionati al Papa in carica, ma anche per chi, pur dicendosi non credente, si lascia sinceramente interrogare dalle sue azioni. Per la crudezza delle scene di tortura, seppure non esplicite, sconsiglio la visione a chi si lascia impressionare facilmente.

Valutazione finale

1/2
Complessivamente, quindi, mi sento di dare un giudizio più che sufficiente. Se fossero state rappresentate anche le parti mancanti di cui già dicevo col medesimo stile di tutta la pellicola, avrebbe meritato un punto in più.
Quanto alla questione se sia stato opportuno o meno rappresentare il Pontefice vivente nel corso del suo ministero, rispondo che Da un paese lontano su san Giovanni Paolo II era già del 1981 e che pure la miniserie Karol – Un uomo diventato Papa è stata realizzata poco prima che lui morisse (il seguito è stato messo in cantiere dopo).




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