Padre Ludovico da Casoria: un vulcanico cantore della carità
Un ritratto di padre Ludovico, ripreso da una delle sue fotografie (purtroppo non ho trovato il dagherrotipo di cui parlo più in basso) |
Chi è?
Terzo dei cinque figli di Candida Zenga e
Vincenzo Palmentieri, nacque l’11 marzo 1814 a Casoria, in provincia di Napoli.
Con la professione religiosa tra i Frati Francescani Alcantarini*, cambiò il
nome di battesimo, Arcangelo, con quello di fra Lodovico (o, più comunemente,
Ludovico). Ordinato sacerdote nel 1837, ebbe inizialmente l’incarico
d’insegnante di matematica e fisica nei seminari del suo Ordine.
Tra il 1847 e il 1848, a seguito di una
malattia e di un’intensa esperienza di grazia, che successivamente definì come
“lavacro”, diede un nuovo corso alla propria vita. Rilanciò il Terz’Ordine di
San Francesco e istituì una piccola infermeria per i confratelli presso il
convento napoletano di San Pietro ad Aram, poi ingrandita e trasferita presso
Capodimonte. La sua carità si estese presto ai piccoli che vagavano per le
strade di Napoli, ai giovanissimi africani condotti in Occidente come schiavi,
ai ciechi e ai sordomuti. Per dare continuità alle sue opere, fondò nel 1859 i
Terziari Francescani della Carità, detti Frati Bigi (ora non più esistenti) e,
cinque anni dopo, le Suore Francescane Elisabettine dette Bigie.
Morì a Napoli il 30 marzo 1885, a 71 anni.
Beatificato da san Giovanni Paolo II il 18 aprile 1993, è stato canonizzato
oggi, 23 novembre 2014, da papa Francesco. I suoi resti mortali riposano presso
l’Ospizio Marino di Posillipo, a Napoli.
* Dal 1897 i Francescani Alcantarini sono uniti all’Ordine dei Frati Minori.
* Dal 1897 i Francescani Alcantarini sono uniti all’Ordine dei Frati Minori.
Cosa c’entra con me?
I miei primi ricordi su padre Ludovico sono
parecchio confusi. Di certo, so che la sua immagine, esposta in alcune chiese
del luogo dove trascorro le vacanze (Portici, in provincia di Napoli), mi era
diventata abbastanza nota. Non doveva essere, comunque, prima del 1993, anno
della sua beatificazione, quindi, avevo nove anni circa.
Successivamente, sempre nel periodo delle
vacanze e a Portici, avevo preso a partecipare alla Messa presso la chiesa di San
Giuseppe Operaio, adiacente all’Istituto Pennese (qui una breve storia di
quell’opera).
Ero stata presa in simpatia dalle suore del luogo, ma non sapevo a quale
congregazione o istituto appartenessero né mi ero presa la briga di
apprenderlo. Anche qui non ricordo con certezza quando ho scoperto che erano
proprio delle Elisabettine Bigie; tuttavia, all’epoca mi ero inserita nella
parrocchia in cui abita una delle mie zie, motivo per cui non ho più
frequentato l’altra chiesa.
Non molti anni fa, però, mi sono procurata
una biografia del novello santo, pur senza disturbare le suore. Da lì ho appreso
di aver trascurato per troppo tempo un personaggio che poteva insegnarmi,
anzitutto, come far andare fede e ragione di pari passo: lui stesso ha scritto
che fu la seconda ad accendere la prima e a esprimerla in numerose
realizzazioni. Inoltre, dimostrava una particolare curiosità verso le più
recenti tecnologie del suo tempo: prova ne è un autoritratto con dagherrotipo,
quasi antesignano degli attuali selfie.
Ma le opere caritative non erano per
procurarsi gloria personale: in un’Italia caratterizzata dai movimenti che
avrebbero portato all’unità nazionale, gli servivano, come a tanti altri fondatori e
fondatrici, per “fare gli italiani”, per riprendere una celebre espressione.
Partì da quelli che nessuno voleva per renderli protagonisti, soggetti attivi
più che oggetti di una carità tante volte interessata. Questo mi deve essere di
lezione, quando non riesco a vedere nei poveri una parte del corpo di Cristo,
anzi, della “carne” come dice il Papa, esattamente come me.
Recentemente mi sono nuovamente imbattuta in
lui scrivendo di madre Anna Lapini, fondatrice delle suore Stimmatine. Nella
biografia che avevo preso era menzionato il suo incontro con lei, che la
condusse ad accogliere nel suo Istituto delle giovani africane un tempo
schiave, ma non lo ricordavo affatto.
Lo scorso 1° novembre sono stata molto felice
di vedere un filmato, durante A Sua
immagine, che riguardava lui e, marginalmente, un’altra prossima santa
napoletana, Maria Cristina Brando. Lo riprendo qua, anche se, com’è accaduto
per l’articolo su don David Rider, nell’incorporarlo si è prodotta una finestra
piccola; basta cliccare nell’angolo in basso a destra del riquadro.
Il suo Vangelo
Giustamente san Ludovico è stato descritto –
ci sono cascata anch’io – con termini che descrivono la sua carità con paragoni
relativi al calore, alle esplosioni, ai vulcani (dopotutto, ha operato in
prevalenza sotto il Vesuvio). Nel suo Testamento
così si espresse, descrivendo le proprie concretissime aspirazioni:
... non domandavo a Dio, per sfogare il mio animo,
l’estasi, il rapimento, le visioni, ma il lavoro, le opere, la fede, la
salvezza delle anime. Chiedevo nella preghiera ardore nell’operare, amore di
Dio nei combattimenti, nei travagli, nelle angustie, nelle contraddizioni, ed
esclamavo sempre: o amare, o morire di amore.
Di solito, in questa parte dei miei post, cito solo una frase che
caratterizza a parer mio il messaggio che il Testimone di cui mi occupo
fornisce agli uomini di oggi. Stavolta, però, ne voglio menzionare un’altra,
che ho trovato in un articolo più ampio
e dedico in particolare a quanti, tra voi lettori, sono variamente impegnati
nel servizio a Dio mediante il canto.
Uno dei mezzi con cui il nostro santo cercava
di rendere migliore la vita dei suoi piccoli assistiti era quello d’insegnare
loro a suonare qualche strumento, tanto da creare delle bande musicali. Concretizzava, in tal modo, quanto lasciò
scritto:
L’uomo di Dio che
canta, non canta il canto, ma canta l’amore del divino amore.
Dentro l’uomo vi sono
tre ritmi: ritmo di amore, ritmo di compassione e ritmo di dolore. O giovani, o
cantanti, o genti, cantate l’amore di Dio…
Ecco,credo proprio che lui abbia cantato
l’amore in ogni aspetto della propria esistenza e l’abbia insegnato a sua volta
a tantissimi. Penso che il prossimo Natale andrò a trovare le suore, per fare
loro le mie congratulazioni e, perché no, procurarmi qualche santino con la
dicitura aggiornata!
Per saperne di più
Vittorio
Peri, San Ludovico da Casoria. Un “ciclone”
di carità, Velar-Elledici 2014, pp. 48, € 3,50.
Breve biografia illustrata già edita nel
2007.
Salvatore
Garofalo, La carità sfrenata. Il Beato
Ludovico da Casoria, francescano, Velar 2000, pp. 480, € 10,00.
Un testo più ampio, ma aggiornato alla
beatificazione.
Su Internet
Sito dell’Istituto per sordi e ciechi da lui
fondato ad Assisi
Sito ufficiale creato in vista della
canonizzazione
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