Ogni battito del cuore, un atto d’amore – La Serva di Dio Bertilla Antoniazzi (Cammini di santità #15)
Bertilla da bambina in ospedale |
Qualcuno
pensa ancora che ci siano persone da sopprimere solo perché non sembrano avere
più le energie per vivere. Qualcun altro, invece, dimostra coi fatti che
neppure la malattia può vincolare uno spirito aggrappato alla vita. Questo è il
caso di Bertilla Antoniazzi, Serva di Dio vicentina, vissuta nella seconda metà
del secolo scorso.
Avevo
già dedicato un post a lei,
ma sua sorella mi ha più volte esortata a parlarne anche altrove, magari sulla
rivista «Sacro Cuore VIVERE». Ovviamente, non dipendeva da me, ma da direttore.
Quando lui mi ha offerto l’occasione, ho deciso di prenderla come un modo per
saldare il mio debito con lei.
* * *
A
Sant’Agostino, in provincia di Vicenza, nella primavera del 1964, il parroco
del paese, don Antonio Rizzi, viene a visitare la penultima figlia della
famiglia Antoniazzi, Bertilla, che sin da bambina ha una grave malattia
cardiaca. La ragazza, che ha già 20 anni, lo accoglie, seduta a letto, e
ascolta le sue parole. A un certo punto, don Antonio le domanda: «Bertilla, se
riavrai la salute, che intenzioni hai?». La ragazza non risponde e si limita a
guardarlo, mentre lui incalza: «Ti faresti suora?». Sa, infatti, che Bertilla
ha una sorella tra le Francescane Elisabettine di Padova, e che ammira molto le
suore dell’ospedale di Vicenza. La sua risposta, però, non è quella che il
sacerdote si aspetta: «Non mi sono mai preoccupata di chiedermi se ho la
vocazione di farmi suora, perché la mia vocazione è quella di fare l’ammalata e
non ho tempo di pensare ad altre cose!».
Il
coraggio di vivere
Bertilla
nasce a San Pietro Mussolino, sempre in provincia di Vicenza, il 10 novembre
1944. La sua nascita rappresenta un motivo di speranza, sia per i genitori,
Antonio Antoniazzi e Luigia Grandi, sia per la sua piccola città, segnata dalla
guerra. Cresce tranquilla, tra i giochi d’infanzia e le commissioni da sbrigare
per conto della famiglia.
Nel
dicembre 1952, però, si ammala: sembra un’influenza, che si risolve in poco
tempo. Nel marzo seguente deve di nuovo lasciare la scuola, perché sente dolori
fortissimi alle articolazioni. Ad agosto, in seguito a una crisi respiratoria
notturna, si scopre cosa le sta succedendo: il medico le diagnostica un’endocardite
reumatica.
Viene
mandata quindi in colonia sui colli
Berici perché respiri meglio. Col suo carattere allegro, non fatica a stringere
nuove amicizie, capaci di consolare in parte la lontananza dalla famiglia. Dopo
un ricovero in ospedale a Schio, nel febbraio 1955 torna a casa, ma deve
restare a letto dove a volte vengono a visitarla i compagni di scuola. Bertilla
apprezza la loro compagnia, ma questa non è la principale fonte della sua
serenità: da qualche tempo, infatti, ha iniziato ad affidarsi pienamente al
Signore.
Annota
i suoi propositi su un apposito quadernetto: scrive piccole preghiere per i
suoi cari, come quelle per il suo fratello minore, Egidio, che per una cura
medica sbagliata, è diventato sordomuto. Col tempo, si aggiungono quelle per la
Chiesa tutta, per la conversione dei peccatori e per le anime che nessuno
ricorda. Per sé, invece, chiede: «Ogni movimento, ogni mia piccola azione, ogni
battito del mio cuore, fa’ che sia un atto d’amore».
La
grammatica del cuore
A
tredici anni, il suo percorso spirituale si affina ancora di più. Comincia ad
annotare su un’agenda non le cose da fare e le persone da incontrare, ma le
preghiere da offrire, con una scadenza precisa, legata alle devozioni più
comuni, che lei reinterpreta a suo modo.
Il
lunedì è dedicato alla preghiera per le anime del Purgatorio; il martedì,
invece, è per i missionari e gli “infedeli”. Il mercoledì offre tutto per la
conversione dei peccatori moribondi, mentre il giovedì lo fa per i sacerdoti.
Per riparare le offese al Sacro Cuore di Gesù, cui la sua famiglia era
consacrata, dedica la giornata del venerdì. Infine, il sabato e la domenica,
sembra quasi ispirarsi alle richieste della Madonna a Fatima, visto che s’impegna
rispettivamente a ricordare i “poveri peccatori” e la conversione della Russia.
A queste “scadenze”, Bertilla accompagna altri impegni ben precisi, scritti
certamente con una grammatica stentata – la sua formazione scolastica era stata
frammentaria – ma con un cuore traboccante. «Farò di gusto la faccenduola che
più mi dà noia», annota ad esempio, oppure: «Offrendoli al Cuor di Gesù,
trasformerò in preghiera tutti i miei dolori».
All’esterno,
i suoi familiari la vedono sorridere e incoraggiare gli altri, ma anche lei ha
i suoi momenti di sconforto, soprattutto confrontando la sua vita con quella
delle sue coetanee. Scrive a suor Stella, una delle suore Dorotee dell’ospedale
di Vicenza, per chiederle aiuto: «A volte il lavoro dell’ammalata è molto duro,
ma tutto questo avviene perché sono cattiva e poco generosa nell’accettare con
amore tutto quello che Dio mi manda. Ma d’ora in poi voglio essere più forte».
In
dialogo con le amiche
Sia
quando è a casa, sia quando è in ospedale, Bertilla si circonda di amiche. Sui
suoi taccuini sono stati trovati molti indirizzi di ragazze che sono state
ricoverate insieme a lei. Condivide con loro le sue giornate e i momenti
gioiosi che vive: «Senti, Pierina, ti devo dire una novità. A te non sembrerà
niente, ma a me sembra una grande cosa, perché sono sempre a letto: ieri sono
andata in chiesa, quella dell’ospedale… erano ormai due anni che non entravo in
una chiesa!... e non puoi immaginare il mio stupore… ero così agitata che non
sapevo neanche cosa dire a Gesù; ma Lui ha visto tutto, ha letto anche nel mio
cuore».
A
volte si sfoga: «Non puoi immaginare – confida a Graziella Pietrobon, allieva
infermiera – la voglia che mi viene in certi momenti di andare fuori;
specialmente domenica c’erano qui tutti i miei nipotini che giocavano all’aria
aperta e al sole, io che vado matta per i bambini non ho potuto neanche
vederli. Che voglia. Ma pazienza».
Esorta
poi un’altra, Angelina, conosciuta in ospedale: «Cerca di pregare e di amare il
Signore, offri a Gesù le tue sofferenze per la salvezza delle anime e così
avrai molto merito in cielo. Se qualche volta ti trovi sola, pensa che Gesù ti
è sempre vicino e la Vergine Santa con il suo manto ti copre e ti dà forza». Da
buona vicentina, ha in mente l’immagine venerata nel Santuario di Monte Berico,
dove la Madonna tiene alcuni fedeli al riparo, protetti dal suo manto.
In
compagnia della Madonna e dei Santi
Nella
vita di Bertilla la Madonna ha da sempre un grande spazio. Mamma Luigia le ha
insegnato ad amarla e a pregarla, specie col Rosario, recitato insieme ai familiari
e ai vicini di casa. Quando è in ospedale, la ragazza sgrana più e più volte la
corona che le era stata portata da una delle sorelle, come ricordo di Terra
Santa.
Da
piccola era andata con i fratelli a Chiampo, ad un Santuario della Madonna di
Lourdes, voluto dal Beato francescano Claudio Granzotto. La sua gioia è ancora
più grande quando, nell’autunno 1963, a Lourdes può visitare la vera grotta
davanti alla quale santa Bernadette vide “la bella Signora” vestita di bianco.
Durante il viaggio non ha grossi problemi e gusta profondamente ogni singolo
attimo. Al ritorno scrive a sua sorella Rita, che ora è diventata suor
Pialuigia: «Si andava via dalla grotta contenti e rasserenati di fare la
volontà di Dio anche nella più grande sofferenza».
Le
è molto cara, poi, santa Maria Bertilla Boscardin, della stessa congregazione
delle suore che l’accudivano in ospedale, le Suore Dorotee di Vicenza, di cui
ha letto a sedici anni una biografia. Come lei, cerca di essere semplice e
generosa, anche quando i dolori del fisico e le amarezze dello spirito si fanno
più sentire. Spesso, poi, legge ad alta voce le vite dei Santi alle altre
compagne di degenza, ma non disdegna di raccontare qualche barzelletta, al
posto di storielle di dubbio gusto. In più, fa propria la “Preghiera dell’abbandono”
del Beato Charles de Foucauld.
La
sua spiritualità è aperta al mondo e ha il respiro della comunità ecclesiale.
Per questo sceglie di aderire all’Azione Cattolica non solo formalmente tanto
che nell’aprile1964, anche se è a letto in casa, sostiene ugualmente gli “esami
di cultura” previsti dal cammino dell’associazione. Dal 1959, infine, è
abbonata alla rivista del Centro Volontari della Sofferenza, cui s’iscrive nell’ottobre
1964.
* * *
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 2 (marzo 2018), pp. 16-17 (visualizzabile
qui)
L’articolo
finisce così, senza il finale che avevo preparato, penso per motivi di spazio:
lo trascrivo qui sotto.
Bertilla
parla ancora
Dal
mese di luglio dello stesso anno, però, Bertilla è di nuovo nell’Ospedale
Civile di Vicenza, per l’ultima volta. Sente di avere ancora qualcosa da
offrire: tramite padre Arcangelo Berno, che nei mesi precedenti aveva
sostituito il cappellano, fa voto di castità fino alla sua guarigione, il che
equivale, lei lo sa, fino alla fine dei suoi giorni. Dieci giorni più tardi, il
22 ottobre, riceve la sua ultima Comunione: accanto a lei, a suggerirle le
preghiere, c’è suor Pialuigia. Alle 20.30, Bertilla rende l’anima a Dio. Le
compagne di malattia, i medici e le infermiere sono convinti di aver assistito
al transito di un’anima speciale.
A
cinquant’anni da quel momento, la Chiesa di Vicenza ha iniziato la causa per
dimostrare l’eroicità delle virtù di Bertilla, conclusa il 25 marzo 2015 e
integrata da un’inchiesta suppletiva. Come allora, tramite le sue lettere, così
oggi lei continua a incoraggiare chi si trova nella sua stessa condizione e
anche chi gode di buona salute, ma soffre interiormente. Lo diceva già al
cugino Aldo, malato di sclerosi multipla: «Ti esorto di non lasciar andare
perduto un solo momento della tua sofferenza, senza averla posta nelle mani di
Gesù. Vedrai che Egli ti darà ogni aiuto».
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