Immagini speciali #1: il Crocifisso di via Arena


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Il blog non è morto, anche se a breve entrerà nella tradizionale pausa quaresimale, in cui, seguendo l’uso ambrosiano, non scriverò nulla se non il 19 e il 25 marzo, gli unici giorni in cui sono autorizzate la memoria di san Giuseppe e la festa dell’Annunciazione.
Temo però di aver contratto il virus della procrastinazione, che porta specie chi ha tante idee e le comunica sul web a ritardare i contenuti, col rischio, a volte, di non essere più attuale. Per riprendermi, ho pensato a una nuova rubrica, dedicata a quelle immagini religiose (quadri, dipinti, statue) che sono capaci di suscitarmi riflessioni particolari.
Dato che ormai per il Rito Romano siamo in Quaresima, mentre noi ambrosiani cominceremo questo tempo domenica prossima, mi è sorta l’ispirazione di parlare di un piccolo quadro diventato prezioso per tanti e che mi ha aiutata a trovare il modo di capire meglio la Passione del Signore.

Una premessa musicale

Ero ancora alle elementari quando la mia maestra di Religione insegnò a me e ai miei compagni il canto Tu mi guardi dalla croce (qui lo spartito, qui i file audio per sezione) attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart sebbene non sia incluso nel Catalogo Köchel delle sue opere autentiche. Anche grazie al movimento di Comunione e Liberazione, è un brano abbastanza famoso. Ricordo che la maestra si accorse che avevo una bella voce proprio sentendomi eseguire in modo intonato un passaggio con una nota particolarmente alta, quando dice Mi sussurra: «Dammi il cuor».
Anni dopo, non più di un mese fa, ho saputo che lo stesso canto sarebbe stato nel programma per la veglia in traditione Symboli del prossimo 13 aprile. Con gli altri giovani dei cori coinvolti, più quelli che non fanno parte di corali ma hanno voluto aggregarsi, ho già partecipato a una prova, durante la quale ho avuto una bella lezione di umiltà. Mentre solo noi soprani provavamo proprio il canto già citato, il direttore ci ha fatto presente che dovevamo porre l’accento non su quella nota elevata, ma sul senso delle parole successive, da cantare in modo quasi sussurrato, appunto.
Per cercare di capire come esprimere al meglio quell’intenzione e farla maturare nel mio cuore, ho deciso di tornare dalle suore Orsoline dell’Unione Romana in via Arena 13 a Milano: nella loro cappella, infatti, è custodito un quadretto che raffigura il Crocifisso, da molti ritenuto miracoloso.

La storia del Crocifisso miracoloso

L’interno della cappella delle Orsoline (foto mia)
La prima volta che l’ho visto è stata su un’immaginetta, che avevo trovato al Santuario di Maria SS. Bambina. Mi ha fatto molta impressione, per il sangue che gronda dalle ferite e che impregna la croce e il terreno sottostante. Qualcosa di simile l’avevo provato, per restare in ambito artistico, quando ho scoperto il polittico di Hildesheim, di Mathias Grünewald.
Nell’immaginetta è scritto che si tratta di un dipinto su tela, risalente al XVI secolo, un tempo conservato nel monastero dell’Annunziata di Milano. Una delle Canonichesse di quel monastero (Canonichesse Regolari Lateranensi, secondo quanto leggo qui), desiderava molto avere un’immagine del Signore morto in croce: un «misterioso fanciullo», prosegue il testo del santino, glielo fece avere. La monaca, di cui il nome è ignoto, morì nel 1528; poco meno di un secolo dopo, nel 1619 (quattrocento anni quest’anno, quindi), il dipinto fu esposto alla venerazione pubblica.
Il monastero dell’Annunziata fu soppresso nel 1799, anche se il santino dice «nei primi anni dell’Ottocento». Le monache, rimaste in poche e senza casa, misero al sicuro i loro beni – mi suona strano per chi ha fatto voto di povertà – compreso il quadro del Crocifisso. Quando seppero che nel 1844 si sarebbero insediate a Milano le monache Orsoline (derivate dalla Compagnia di Sant’Orsola fondata da sant’Angela Merici), chiesero di poter essere accolte nel loro monastero. Il Crocifisso fu quindi esposto nella loro cappella e, come già nell’antico monastero, richiamò l’interesse e la devozione di molti fedeli. Nel 1900 i monasteri delle Orsoline di molti Paesi, compresa l’Italia, si aggregarono: ecco quindi perché sono dette “dell’Unione Romana”.
Non ricordo come né perché, ma un paio d’anni fa mi venne voglia di osservare il dipinto da vicino. L’immaginetta diceva che la festa del Crocifisso miracoloso si celebra il primo venerdì di marzo e che il Beato Pio IX concesse l’indulgenza plenaria a chi lo venerasse tutti i venerdì dell’anno. Per questa ragione, se non sbaglio, sono andata là proprio un venerdì. Sono tornata lo scorso anno, il primo venerdì di Quaresima, in modo da sostituire la contemplazione del Crocifisso al pranzo (per gli ambrosiani il primo giorno di digiuno è quello, dato che non c’è il Mercoledì delle Ceneri), poi ieri sera.

Un’immagine che si “dona”

Foto mia
Il quadro in sé è di dimensioni esigue, racchiuso in una cornice con i simboli della Passione. È situato a sinistra dell’altare, sospeso in alto. Le suore che mi hanno accolto mi hanno consegnato un’immagine più grossa e la testimonianza del professor Luciano Formica, che il 13 aprile 2000 restituì alla comunità il dipinto restaurato: «Quest’immagine è l’emblema del dono perenne, non ancora esaurito», ha affermato, riferendosi al fatto che i colori non sono più come quelli riprodotti nelle immaginette.
Ieri, quindi, mi sono fermata a pregare davanti all’immagine. Avrei voluto provare a cantare, ma ho preferito restare muta, pensando dentro di me alle parole. In effetti, non è un capolavoro, ma l’artista anonimo ha provato a trasferire sulla tela quanto è costata la Redenzione.
Allo stesso modo, spero che il canto del coro possa aiutare i giovani presenti alla veglia a capire che il Signore vuole che i loro cuori siano risvegliati dal suo Amore e che loro gli rispondano, donando la propria vita.

La cappella delle Orsoline di via Arena è visitabile tutti i giorni, compatibilmente con gli orari d’apertura della struttura in cui è inglobata, che oggi ospita la scuola elementare dell’Istituto Europeo Leopardi e un pensionato universitario.

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