Un uomo di speranza – La politica del Venerabile Giorgio La Pira (Cammini di santità # 22)

La Pira col panorama di Firenze sullo sfondo (fonte)
L’articolo per il numero di marzo di Sacro Cuore VIVERE mi era stato preannunciato da luglio, ovvero quando, telefonando al direttore per sapere se sarebbe venuto ai funerali di don Luigi Melesi, mi sono sentita rispondere, tra le altre cose, che avrei dovuto prepararmi su Giorgio La Pira.
Dato che il mio compleanno era vicino, ho deciso di farmi regalare la sua biografia più recente, così da leggerla quando sarebbe stato il momento. Ho poi comprato un altro testo, curato dal presidente della Fondazione che porta il suo nome, così da essere ancora più sicura di leggere qualcosa di valido.
In effetti, a La Pira volevo dedicare un post “classico” a ridosso della promulgazione del decreto sulle virtù eroiche, ma pochi giorni dopo ho saputo che avrei dovuto scrivere di lui per la rivista salesiana di Bologna. A dire il vero, il mio legame con lui si limitava al fatto che, anni fa, avevo trovato un suo santino nella cappella della mia università: era la prima volta, ancor prima che per Giuseppe Lazzati, che scoprivo l’esistenza dei laici consacrati e che qualcuno di essi potesse essere proposto a modello per i fedeli.
Spero di aver colto pienamente la sua testimonianza. Mi sono ispirata, neanche troppo velatamente, al discorso che papa Francesco ha tenuto, il 23 novembre 2018, ai rappresentanti della Fondazione Giorgio La Pira.
Ripropongo l’articolo adesso sia perché dom Bernardo Gianni, Abate dell’abbazia di San Miniato al Monte di Firenze, ha parlato di lui negli Esercizi spirituali predicati al Papa e alla Curia romana, sia perché oggi è la solennità dell’Annunciazione del Signore. Di certo, il sindaco La Pira si sarà recato tante volte a pregare nella Basilica della SS. Annunziata, per chiedere alla Madonna di poter compiere al meglio la propria missione di laico nel mondo.

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Roma, 1948, uffici del Ministero del Lavoro. Il sottosegretario Giorgio La Pira sta partecipando a un incontro di mediazione tra i sindacati e le associazioni degli imprenditori. La riunione si fa più lunga del previsto: gli accordi sono molto difficili. A un tratto, La Pira si alza: «Scusatemi, mi chiama il Presidente», dice. Mentre esce dalla stanza, tutti credono che stia per andare a parlare col Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi. In realtà, lui ha già sceso le scale e si è diretto verso la chiesa più vicina. Inginocchiato sul pavimento, chiede al Signore la luce necessaria per mediare quei contrasti. Così fa sempre, ogni volta che deve prendere una decisione importante.

L’inizio della sua testimonianza di fede

Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904. Non ha neanche dieci anni quando i genitori lo mandano a Messina da un fratello della madre, Luigi Occhipinti. Si diploma nel 1917, come ragioniere e perito commerciale, e comincia ad aiutare lo zio nella sua piccola azienda. Riesce anche a ottenere la maturità classica, studiando intensamente per un anno intero.
Spesso si ritrova a guardare il mare, con aria meravigliata: sente che c’è qualcosa di più grande oltre il mondo che lo circonda. La stessa sensazione lo coglie quando, a circa quindici anni, viene mandato a consegnare dei pacchi a un convento di clausura. Il 20 aprile 1924, domenica di Pasqua, ritorna ad accostarsi alla Comunione: non lo aveva più fatto da quand’era piccolo.
Quella data, come tutte le altre che riterrà significative per la sua vita, è da lui annotata sulla prima pagina del «Digesto», il libro fondamentale per chi studia Diritto Romano. Dal 1922, infatti, è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Messina. È uno degli allievi del professor Emilio Betti, che, riconoscendone il valore, gli propone di trasferirsi con lui a Firenze, per completare gli studi. Il suo desiderio di appartenere sempre più a Dio lo porta a diventare, nel 1925, Terziario domenicano, col nome di fra Raimondo.
L’incontro col francescano padre Agostino Gemelli, che sta iniziando a porre le basi per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, gli permette poi di conoscere una nuova possibilità di consacrazione restando nel mondo: nel 1928 diventa uno dei primi membri del futuro Istituto Secolare dei Missionari della Regalità di Cristo.

Difensore della povera gente

Già a Ragusa si era sentito interpellare dalla vita dei poveri. Giunto a Firenze, conosce un sacerdote, don Raffaele Bensi, che gli suggerisce un modo per raggiungere le persone che vivono in strada, alle quali la carità di altre organizzazioni non arriva. Nasce così la Messa del Povero, inizialmente nella chiesa di San Procolo: dopo la celebrazione dell’Eucaristia, ai partecipanti viene offerto da mangiare, insieme a una piccola elemosina.
L’avvento del fascismo, che La Pira avversa nella rivista «Princìpi», lo porta a sfollare prima a Fonterutoli vicino Siena, poi a Roma. Intanto comincia a mettere le basi del suo pensiero politico, confluito, nel 1950, nel saggio «L’attesa della povera gente», che gli attira non poche critiche.
Ribatte a tutte nel successivo «La difesa della povera gente», dove afferma: «Quando Cristo mi giudicherà io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica (nella quale tutte le altre sono conglobate): come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune, la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?».
Quando scrive queste parole, La Pira è già stato eletto deputato nell’Assemblea Costituente e ha contribuito a stendere almeno due articoli fondamentali della carta dell’Italia repubblicana. Nelle elezioni politiche del 1948 è stato eletto alla Camera dei deputati nelle fila della Democrazia Cristiana, come indipendente: più volte ripete che la sua unica tessera è quella del Battesimo.

Interprete del messaggio sociale della Chiesa

Nel 1951 diventa sindaco di Firenze. Per lui il significato intimo di quel ruolo è «Trovare ogni mezzo per far sì che i cittadini si aiutino e si amino reciprocamente per il bene comune». Le sue misure sono concrete: fa ricostruire i ponti distrutti dalla guerra, chiede di progettare nuovi quartieri dove le case popolari siano dignitose, provvede alla distribuzione di viveri.
Nell’autunno 1953 lo stabilimento della Snia Viscosa, nel quartiere Pignone, rischia di chiudere.  Il sindaco La Pira, il 2 novembre, scrive all’amministratore delegato Franco Marinoni: l’invita a rileggere il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, quello sul giudizio finale, così da rendersi conto della gravità della situazione. La solidarietà che mostra verso gli operai gli porta ulteriori critiche, ma non si lascia abbattere. Grazie all’aiuto di Enrico Mattei, la fabbrica e i lavoratori sono salvi.
Mentre i commenti sul suo operato assumono toni a volte sarcastici, a volte pesantemente ingiuriosi, a lui interessa essere fedele a quanto la Chiesa insegna. Indirizza migliaia di lettere ai Papi, per manifestare la sua piena obbedienza, aggiornando sul proprio operato, proponendo le sue riflessioni sulla realtà sociale locale e planetaria, sulla vita della Chiesa. A Pio XII, ad esempio, si rivolge nel 1952, domandando: «Che cosa ho fatto di male per avere contro tutti, compresi i cattolici?». Nella stessa lettera, però, ribadisce quale sia la propria missione, a cui è disposto a rinunciare solo se gli verrà chiesto dal Pontefice: «Combattere l’ingiustizia, difendere gli oppressi, sventare le insidie dei potenti».

In missione fino alla fine

Nel 1959 parte per un viaggio-pellegrinaggio nell’Unione Sovietica, in un tempo di “guerra fredda” tra i Paesi del blocco sovietico e quelli occidentali: è una missione di pace. Mentre si comincia a parlare di bombe all’idrogeno, capaci di radere al suolo intere città, lui si affida alla preghiera di molti monasteri di clausura, dei carcerati e dei malati. A questo si aggiungono altri viaggi, sempre tesi a far arrivare un messaggio di pace radicato in soluzioni praticabili.
Ormai non più sindaco, nel 1965 accetta l’invito di Ho Chi Minh, presidente del Vietnam del Nord, per cercare una soluzione alla guerra con gli Stati Uniti. La trattativa è destinata a restare riservata, ma viene divulgata su un giornale americano e per questo fallisce. La Pira è amareggiato, anche per via dei commenti che parte della stampa italiana indirizza contro di lui. Molte consolazioni gli arrivano però dai Convegni internazionali che organizza, con un triplice scopo: promuovere la pace tra le nazioni, aumentare la conoscenza reciproca tra le religioni che vedono in Abramo un padre comune, incentivare la collaborazione tra i sindaci delle grandi città del mondo.
Richiesto dall’amico Benigno Zaccagnini, segretario nazionale della Democrazia Cristiana, nel 1976 viene rieletto alla Camera dei Deputati e in Senato, proprio mentre si discute la legge sull’aborto. Accetta la proposta, anche se la sua salute vacilla sempre di più: proprio l’anno successivo gli viene diagnosticata una grave forma di leucemia. Muore sabato 5 novembre 1977, nella clinica delle Suore Inglesi di Firenze. L’intera città partecipa alle esequie, con attestati di stima pressoché unanimi. Forse il più sincero è quello di un’anziana signora, una fedele della Messa del Povero, che dichiara: «Non era mica facile capirlo. Si poteva capire solo noi che siamo gente semplice!».
Gente semplice e capi di Stato, politici e persone poco note hanno testimoniato nell’inchiesta diocesana per la sua beatificazione, svolta a Firenze dal 1986 al 2005. Il 5 luglio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che riconosce come eroiche le virtù cristiane di Giorgio La Pira, dichiarandolo Venerabile.

Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 2 (marzo 2019), pp. 16-17 (visualizzabile qui)

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