Un apostolo della carità – Il Beato Alberto Marvelli (Cammini di santità #26)
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Anche per il 2020 il direttore di Sacro Cuore
VIVERE mi ha concesso di tenere la rubrica che curo ormai da cinque anni. C’è
però una differenza sostanziale: in quest’annata mi occuperò esclusivamente di
figure giovanili, tutte scelte tra i personaggi presenti nella mostra a
pannelli Santi della porta accanto, lanciata in occasione del Sinodo dei
Vescovi sui giovani e ancora presentata in molti luoghi d’Italia.
Quando mi è stato chiesto di selezionare le figure
che preferissi, tolte quelle di cui mi sono già occupata sulla rivista, ho
messo al primo posto, per il numero di gennaio, il Beato Alberto Marvelli.
Avrei voluto occuparmene qui, ma sentivo che c’entrasse
davvero poco con me: avevo trovato dei suoi santini e delle medagliette nella
chiesa di Sant’Eligio a Napoli e un piccolo libro presso il santuario di Maria Bambina
a Milano, ma non mi ero molto interessata a lui. Mi ero comunque ripromessa di
farlo, tanto da procurarmi la più recente riedizione della sua biografia più
completa.
Mentre mi addentravo nella lettura, sentivo di non
dover trascurare il suo impegno in Azione Cattolica e quello politico negli
anni del dopoguerra. C’era però un aspetto che volevo mettere in risalto: il
suo amore non corrisposto. Peraltro, la ragazza in questione era di Lecco, quindi
della mia diocesi.
I legami con le mie terre, ho scoperto, non si
esaurivano lì. Per qualche tempo, infatti, Alberto ha abitato nei pressi della
parrocchia del SS. Redentore a Milano, precisamente in via Garofalo 44 (lo scrive nella lettera del 30 agosto 1940), perché dal 24 agosto al 30
novembre 1940 lavorò presso la fonderia Bagnagatti di Cinisello Balsamo, per
preparare la tesi di laurea.
Già
che ero coinvolta, ho pensato di rivedere la sua scheda biografica per santiebeati.it.
Per la consulenza ricevuta, sia per quel testo che nell’articolo che segue,
ringrazio di vero cuore don Fausto Lanfranchi, Cinzia Montevecchi ed Elisabetta
Casadei (quest’ultima postulatrice della causa del Beato Alberto), del Centro Marvelli di Rimini, i quali avevano mostrato molto apprezzamento per il mio
post sulla Venerabile Carla Ronci.
Mi
sono però accorta che ho commesso una svista dal punto di vista della
ricostruzione storica: l’episodio di partenza non è da situare a Rimini, ma a
Vergiano, dove Alberto aveva fatto sfollare la famiglia.
* * *
Rimini, anni ’40 del secolo scorso. Sulla porta di
casa, la signora Maria Mayr, vedova Marvelli, aspetta il figlio Alberto, che
tarda a tornare. Quando finalmente se lo vede comparire davanti, si accorge che
è scalzo. Alberto la guarda e dice sorridendo: «Non sai che oggi si sposa
Luigi? Era senza scarpe!». Mamma Maria ricambia il sorriso: altre volte l’ha
visto tornare così, ad esempio quando ha dato le calzature a un soldato in
fuga. Un altro giorno, poi, l’ha trovato privo della giacca. Spesso, quasi per
farsi perdonare, il ragazzo le porge un mazzo di gladioli, i suoi fiori
preferiti. La donna non si stupisce troppo, comunque: insieme al marito Alfredo
ha educato i figli alla carità. Alberto, che è il secondo di sette, per lei è
un angelo.
Tra famiglia, oratorio e Azione Cattolica
Nato il 21 marzo 1918 a Ferrara, ma residente con
la famiglia a Rimini, Alberto da bambino è dolce e riservato, ma all’occorrenza
sa far valere le proprie ragioni. L’improvvisa morte di papà Alfredo a causa di
una meningite, il 7 marzo 1933, contribuisce alla sua maturazione: la mamma e i
fratelli sanno di poter contare su di lui.
Lo stesso vale per don Antonio Gavinelli, salesiano
parroco della chiesa di Maria Ausiliatrice a Rimini. La parrocchia ha anche un
circolo della Gioventù Cattolica Italiana, intitolato a don Bosco: a quindici
anni Alberto diventa delegato degli Aspiranti. Alimenta la sua fede coi
Sacramenti della Riconciliazione e della Eucaristia: si confessa di frequente
da don Marino Travaglini, anche lui salesiano, e gli serve la Messa.
È un vero trascinatore dei bambini: li guida nel
gioco e nella preghiera, specie nella Messa domenicale. Annota nel suo diario:
«Non credere di perdere il tuo tempo trascorrendo anche delle ore con i bimbi,
cercando di divertirli e di renderli più buoni. Gesù stesso li prediligeva e li
voleva vicino a sé. E le parole buone dette a loro non saranno mai troppe».
Con i suoi amici pratica anche diversi sport, ma
su tutti predilige l’alpinismo, che lo fa sentire più vicino a Dio, e il
ciclismo. La bicicletta è infatti un altro suo mezzo di apostolato: pur essendo
molto veloce, nelle gite preferisce stare in coda, per spronare i compagni più
lenti.
Un continuo lavoro su di sé
Alberto punta in alto, alla santità rappresentata
dagli esempi di don Bosco e di Domenico Savio, riconosciuta proprio in quegli
anni dalla Chiesa. Legge e medita la prima biografia di Pier Giorgio Frassati,
morto quando lui aveva sette anni, e spera di potergli assomigliare.
Per raggiungere quella meta, compie un attento lavoro
su di sé, testimoniato dagli appunti del diario: «Non ci può essere una via di
mezzo, non si possono conciliare Gesù e il diavolo, la grazia e il peccato.
Ebbene io voglio essere tutto di Gesù, tutto suo. Se fino a ora sono stato un
po’ incerto, ora non vi devono essere più incertezze; la via è presa: tutto
soffrire, ma non più peccare. Gesù, piuttosto morire che peccare; aiutami tu a
mantenere questa promessa».
Tra gli impegni di studio e di vita associativa,
Alberto riesce a trovare il tempo per adorare Gesù nel Santissimo Sacramento.
Per lui, com’è giusto che sia, il Cristo eucaristico è quello che soffre nel
Getsemani, poi ingiuriato dai soldati e messo in croce, sono un tutt’uno. A Lui
guarda per avere l’energia da impiegare in tutti i suoi campi di apostolato.
In questa ascesi ha posto anche l’amore per
Marilena Aldè, una ragazza che viene in vacanza a Rimini. Lei non ricambia,
così Alberto si domanda se non sia un segno che Dio lo voglia sacerdote.
Aiutato dalle sue guide, capisce che il matrimonio è la sua via e che Marilena
potrebbe essere la sua compagna di vita. Lei continua a ignorarlo, ma lui
sopporta: «Amo troppo il Signore per ribellarmi o piangere su quella che
evidentemente sarebbe la Sua volontà, ed infine amo te tanto, che desidero solo
la tua felicità, a costo anche di miei sacrifici e rinunce», le scrive.
Ricostruttore della nuova Rimini
Laureato in ingegneria meccanica all’Università di
Bologna, Alberto vive da vicino i problemi causati dalla seconda guerra
mondiale. Anche durante il servizio militare tiene uniti gli altri soldati soci
di Azione Cattolica e prega senza curarsi del giudizio altrui. A differenza di
suo fratello Adolfo, non sceglie la lotta partigiana: in modo fortunoso e quasi
provvidenziale, riesce a tornare a casa. Comincia il suo servizio agli
sfollati, senza distinzioni politiche.
La sua Rimini è una delle città più danneggiate
dal conflitto, seconda solo a Cassino: rischia quasi di non essere più
ricostruita. Nelle sue vesti di membro della giunta del Comitato di Liberazione
Nazionale, insediata il 23 settembre 1944, Alberto si mette all’opera per
rialzare gli edifici senza badare a spese. Riceve continuamente le persone che
hanno bisogno di aiuto per compilare moduli e per varie richieste, sia in
ufficio sia in casa.
Collabora nella fondazione delle ACLI, entra nella
DC e diventa consigliere comunale. Nelle sue lettere emerge la necessità che lo
spinge ad agire così: «Ormai però è tempo di stringersi tutti fraternamente la
mano, per procedere all’immenso lavoro che ci attende in tutti i campi della
vita sociale e nazionale. Rifare le coscienze, sgombrare le macerie morali da
tanti cuori traviati, trovare finalmente la vera carità che ci faccia sentire
fratelli gli uni con gli altri, che sappia indicare ai ricchi la strada per
andare incontro ai poveri, per difendere, con la verità e l’onestà, la libertà,
la democrazia, la civiltà cristiana».
La ricostruzione delle coscienze, per Alberto,
passa anche dal lavoro d’insegnante di tecnologia e disegno industriale presso
la Scuola tecnica industriale «Leon Battista Alberti». Accompagna gli alunni
anche a scegliere i libri di testo, fino a protestare perché i prezzi sono
stati gonfiati dal libraio, mentre i suoi ragazzi, appena tornati dallo
sfollamento, non hanno abbastanza denaro.
Di corsa fino alla fine
«Mettere tutta la propria vita, la propria
gioventù, i propri beni a servizio degli altri: questa è la prova più bella di
amore… Io credo che una vita spesa solo per se stessi non abbia alcun senso»,
annota Alberto nelle sue riflessioni. Di fatto, non tiene per sé la propria
vita, ma l’impegna pienamente, con una fretta piena di gioia e di ardore
apostolico.
È di corsa anche la sera del 5 ottobre 1946,
perché deve andare a tenere un comizio. A pochi metri da casa, viene investito
da un camion militare: il gancio della sponda laterale lo colpisce alla testa.
Muore dopo due ore di agonia, in ospedale, abbracciato dalla mamma, che non sa
spiegarsi la ragione di quanto accaduto. Tutta Rimini lo piange, anche i suoi
avversari politici; alcuni di loro erano anche disposti ad accettarlo come
sindaco.
La sua fama di santità è immediata e dura nel
tempo, negli ambienti di Azione Cattolica e non solo. Autorevoli esponenti del
laicato cattolico, come Giorgio La Pira (che Alberto aveva invitato a tenere
conferenze) e Giuseppe Lazzati, incoraggiano a mettere in luce il suo esempio e
seguono con interesse gli sviluppi della sua causa di beatificazione e
canonizzazione.
Il 5 settembre 2004, nella spianata di Montorso a
Loreto, il Papa san Giovanni Paolo II beatifica Alberto insieme a Giuseppina
Suriano e don Pedro Tarrés Claret. È il primo exallievo salesiano a ottenere
l’onore degli altari. La sua tomba si trova nella chiesa di Sant’Agostino a
Rimini, più centrale rispetto alla sua parrocchia.
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 1 (gennaio 2020), pp. 18-19 (visualizzabile
qui)
* * *
I lettori più attenti si saranno accorti che ho
saltato la ripresa dell’articolo
uscito sul numero di ottobre 2019. Ho pensato di riproporlo più avanti, in
quanto cade un anniversario speciale riguardante il personaggio di cui mi sono
occupata (a dire il vero, non ci vuole molto per scoprire chi sia…).
MODIFICA
22/01/2020: una fedele lettrice mi ha segnalato il video che segue. Lo trovo
interessante perché riguarda l’ultimo testimone vivente all’epoca dei fatti,
nonché biografo del Beato Alberto (senza la sua biografia più corposa avrei
avuto non poche difficoltà).
E' una bellissima figura di santo, l'ho conosciuto l'anno scorso ma non ricordo leggendo quale articolo su internet. Ne sono rimasta subito colpita anche perché ho visto un video dove don Fausto Lanfranchi, che ha conosciuto il beato, testimonia come fosse stato lui stesso salvato, da ragazzo, dalla famiglia del beato che rischiò nascondendolo in casa propria (https://www.youtube.com/watch?v=yamT5jg_hog). Sono contentissima che sia stato scritto di lui anche qui!
RispondiEliminaGrazie della segnalazione: ho subito incorporato il video nel post. In effetti, avevo pensato di usare il salvataggio di don Fausto come episodio di partenza.
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