Spaccato in due – Gianluca Firetti, il Vangelo dell’amicizia (Cammini di santità #27)
Un particolare della foto più famosa di Gianluca,
risalente all’estate 2012, poco prima che si ammalasse
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Quella di Gianluca Firetti rientrava perfettamente in questa casistica: morto nel 2015, cinque anni esatti fa, ha già due libri su di lui, una seguitissima pagina Facebook e perfino un monologo teatrale. Senza contare poi le innumerevoli volte in cui i suoi amici sono stati chiamati a parlare di lui in incontri giovanili anche al di fuori di Cremona, la diocesi in cui si è svolta la sua vicenda.
Avevo una mezza idea di dedicargli un post, che
avevo abbozzato il 19 gennaio 2016. Alla fine, però, ho desistito: avevo altri
argomenti da trattare e, dopotutto, avrei avuto più spunti su cui riflettere, se
fosse passato più tempo dalla sua morte.
Quando poi mi è stato chiesto di dedicargli la
puntata di ottobre della mia rubrica su Sacro Cuore VIVERE, non sapevo
da dove cominciare. O meglio, sapevo di dover leggere i libri (rileggere il
primo, per la precisione) e ascoltare qualche testimonianza in video, ma non
sapevo come superare i sentimenti cattivi che mi avevano colta.
Alla fine, posso affermare che lui abbia “spaccato”
un po’ anche me. Proprio così: credevo che il titolo del suo libro si riferisse
alla sua condizione, ma invece penso che si riferisca alla sua capacità di
mettere in discussione le presunte certezze di chi aveva di fronte.
Ho provato a superare i luoghi comuni del dolorismo anche cristiano e di capire
quali suoi aspetti potessero essere condivisibili più in generale.
Nella bozza del 2016 avevo appuntato che avrei basato la mia esposizione su come, nel giro di un anno, la sua storia avesse segnato sempre più persone. Però, se non ci fosse stato don Marco D’Agostino, probabilmente Gianluca non avrebbe neanche avuto l’opportunità di scrivere un libro e di raccontarsi.
Mentre procedevo con la documentazione, mi sono resa conto di dover far risaltare il gruppo di amici, di cui il don era uno dei tanti, che era stato capace di radunare attorno a sé e in cui, per certi versi, ora mi sento di far parte.
Nella bozza del 2016 avevo appuntato che avrei basato la mia esposizione su come, nel giro di un anno, la sua storia avesse segnato sempre più persone. Però, se non ci fosse stato don Marco D’Agostino, probabilmente Gianluca non avrebbe neanche avuto l’opportunità di scrivere un libro e di raccontarsi.
Mentre procedevo con la documentazione, mi sono resa conto di dover far risaltare il gruppo di amici, di cui il don era uno dei tanti, che era stato capace di radunare attorno a sé e in cui, per certi versi, ora mi sento di far parte.
Ospedale Maggiore di Cremona, dicembre 2014. Il primario
e la caposala entrano nella stanza numero 9 dell’Hospice per malati oncologici.
Li attende Gianluca Firetti, ventenne da pochi mesi, da due anni segnato da un
osteosarcoma, desideroso di tornare a casa per Natale. Con lui ci sono suo
fratello Federico e don Marco D’Agostino, un sacerdote amico.
Mentre il medico elenca al giovane paziente, con fare materno, le avvertenze a cui deve andare incontro, lui ha gli occhi puntati su una grossa borsa, stretta tra le mani della caposala. Sembra che il suo entusiasmo si spenga, quando gli dicono che non contiene una felpa come quelle che gli piacciono tanto, bensì le medicine per le terapie a domicilio. Le scatolette sono tante, perché ciascuna contiene un paio di pastiglie. Quando i sanitari se ne vanno, Gianluca commenta, rivolgendosi al sacerdote e a Federico: «Cosa dite? Con questi medicinali farò tanti pacchetti da mettere sotto l’albero. O no?». Tutti e tre sorridono, mentre il don riflette che, ancora una volta, quel giovane lo ha sorpreso con la sua autoironia.
Mentre il medico elenca al giovane paziente, con fare materno, le avvertenze a cui deve andare incontro, lui ha gli occhi puntati su una grossa borsa, stretta tra le mani della caposala. Sembra che il suo entusiasmo si spenga, quando gli dicono che non contiene una felpa come quelle che gli piacciono tanto, bensì le medicine per le terapie a domicilio. Le scatolette sono tante, perché ciascuna contiene un paio di pastiglie. Quando i sanitari se ne vanno, Gianluca commenta, rivolgendosi al sacerdote e a Federico: «Cosa dite? Con questi medicinali farò tanti pacchetti da mettere sotto l’albero. O no?». Tutti e tre sorridono, mentre il don riflette che, ancora una volta, quel giovane lo ha sorpreso con la sua autoironia.
Da una vita normale all’arrivo della malattia
Gianluca è nato all’ospedale di Cremona l’8
settembre 1994, ma vive da sempre a Sospiro, in provincia, insieme al padre
Luciano, alla madre Laura e al fratello. Il suo legame con quest’ultimo è molto
forte, ma si allenta negli anni dell’adolescenza. Gian, come lo chiamano tutti,
frequenta le scuole superiori per diventare perito agrario. Ha voti buoni, è
molto consapevole e responsabile. In più è membro, come suo fratello, di una
società sportiva calcistica, dove ricopre il ruolo di terzino destro. Generoso
nel giocare, è il primo ad aiutare i compagni di squadra, se sono in
difficoltà.
Nel settembre 2012, durante una partita, comincia
a sentire un pizzico fastidioso al ginocchio destro e chiede di essere sostituito.
Dopo un paio di mesi, decide di sottoporsi a degli accertamenti. Quando il
medico lo chiama, appena prima di Natale, gli riferisce che ha una malattia ben
più grave di un semplice raffreddore. Non potrà più allenarsi a calcio, né
avere una vita simile a quella della maggior parte dei suoi coetanei.
Appena esce dall’ospedale, Gianluca è consolato
dai suoi cari. Anche se con molta fatica, riesce a diplomarsi: ne è molto
orgoglioso. Solitamente è di carattere allegro, ma col passare dei giorni s’incupisce.
Anche gli amici dell’oratorio della sua parrocchia si allontanano da lui, o per
paura o perché sono presi da altri impegni.
Maestro di fede anche per un prete
Un’altra amica, Valentina, continua invece ad
andare a trovarlo e si accorge del cambiamento di Gian. Parla di lui a don
Marco, che insegna nella scuola di sua sorella Francesca, e gli domanda di
andare a trovarlo. Anche Federico conosce quel sacerdote e gli fa la stessa
richiesta. Alla fine, è Gianluca stesso a chiedere di parlare con lui.
Il giorno della sua prima visita, nell’estate del
2014, don Marco ha dentro di sé una serie di espressioni di circostanza,
convinto com’è di dover consolare un malato. Standogli accanto, giorno dopo
giorno, riceve continue lezioni di vita: «Non si tratta di dire chissà che, ma
di ascoltare come chi sta soffrendo abbia una visione nettamente differente
della vita, più attaccata all’essenziale, senza fronzoli o ricami di alcun
genere», ricorderà poi.
Anche a lui, come ai suoi amici, Gian apre la sua
casa e, ancora di più, il suo cuore. Con uno sguardo serio e limpido, quasi
insostenibile, gli fa domande sulla morte, sul Paradiso e sulla presenza di
Dio. Don Marco sente che anche il suo modo di credere è cambiato davvero, da
quando lo conosce. È come se, ogni volta che si parlano, il ragazzo gli
domandasse se davvero crede nel Vangelo che annuncia in quanto sacerdote.
Ricambia come può, ad esempio aiutandolo a far
recapitare a papa Francesco una lettera, nella quale lui racconta di stare
lottando contro il tumore. Il regalo più importante, che si sente chiedere
espressamente per Natale, è di portargli Gesù. Don Marco ha già portato altre
volte la Comunione ai malati, ma solo ora comprende l’importanza del dono
eucaristico per un giovane così. Celebra quindi la Messa in casa sua, usando
come altare, come Gian stesso chiede, il carrello su cui solitamente sono
appoggiate le medicine.
Il 1° gennaio 2015, proprio dopo la Messa, don
Marco gli espone un’idea: vorrebbe scrivere un libro per raccontare la sua
esperienza. Gian ascolta, poi gli risponde che ha avuto lo stesso pensiero, ma
non sa come concretizzarlo. Il libro prende forma in una settimana, tra
messaggi e incontri di persona: davvero il ragazzo è l’autore, insieme al
sacerdote.
Preghiere “strane” ma fiduciose
Sin da piccolo Gian ha frequentato la parrocchia
di San Siro a Sospiro, ma nel tempo della malattia la sua fede si rafforza. Gli
amici notano che la sua anima risplende, mentre il tumore gli mangia via le
cellule del corpo. Si chiede spesso perché ha tanti dolori e perché le cure
risultino inefficaci, ma trova una risposta, che confida a don Marco: «Il
Signore mi ha messo qui, in questo mondo, perché tutti coloro che mi avvicinano
possano capire che la vita non è tutta rose e fiori».
Lo sconforto ha una parte molto ridotta nella sua
esperienza. Un giorno racconta di aver bestemmiato, o meglio, di aver
pronunciato «una preghiera strana». Guardando in alto e pensando alla propria
situazione, ha domandato: «Signore, ma ci vedi?». Subito dopo, però, se ne è
dispiaciuto: ecco perché gli è sembrata una bestemmia.
Altre volte, la sua invocazione è diversa:
«Signore, se puoi, smezzami la croce». Di solito, tra amici, si “smezza”, ossia
si condivide facendo a metà, un panino, una pizza, una bibita. Accade quando
uno dei due non ce la fa più a mangiare, oppure non ha abbastanza denaro per
permettersi una pietanza completa. Un verbo così confidenziale spiazza una
volta di più don Marco, anzi, lo spacca in due.
Nella preghiera di Gian, la Madonna ha un posto
importante. Lui recita il Rosario coi familiari, ma basta anche solo un’Ave
Maria perché la senta vicina. Sembra che metta un accento particolare
nell’espressione finale: «Adesso e nell’ora della nostra morte». Per lui,
infatti, quei due estremi si toccano sempre di più col passare dei giorni.
Un gruppo di amici sempre più grande
Agli amici di un tempo si sono aggiunti altri:
tutti sono uniti a Gian tramite un gruppo WhatsApp e le sempre più frequenti
visite. Emanuele, ad esempio, comincia ad andare a trovarlo a novembre 2014, e
dopo qualche tempo gli regala la medaglia d’oro che ha ottenuto ai campionati
nazionali di canottaggio. Sente infatti di averla vinta per una gara di pochi
secondi, mentre Gian deve ancora combattere e vincere contro la sua malattia.
Simone, invece, lo incontra per la prima volta nel
dicembre 2014. Chiede di poterlo rivedere, perché in quella circostanza
iniziale si è sentito molto in difficoltà. Dopo altri appuntamenti, riconosce
che «non si era dimenticato quella che era la normalità della sua vita
precedente, ma che sapeva comunque accettare quello che stava vivendo». Infine
Francesco, suo compagno di banco all’istituto agrario, che ora lo conosce
ancora meglio: da lui sente di aver imparato ad apprezzare le piccole cose,
come un grazie o una telefonata.
Sul finire di gennaio 2015, Gianluca chiede
personalmente di essere riportato all’Hospice. La sera del 30, riceve da don
Marco l’Unzione degli Infermi, in un clima raccolto e commosso, alla presenza
della sua famiglia, di qualche amico e del personale ospedaliero. Muore poche
ore dopo, alle 21.45.
Lo stesso giorno sono state consegnate dalla
tipografia le prime copie del suo libro, «Spaccato in due», pubblicato dalle
Edizioni San Paolo. Da allora i suoi amici sono aumentati, ben oltre la sua
città: comprendono i lettori del primo e del secondo libro, uscito dopo un
anno, ma anche quanti ascoltano le testimonianze di chi l’ha conosciuto.
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 6 (ottobre 2019), pp. 16-17 (visualizzabile
qui)
* * *
Tra le fonti che ho usato, grande parte hanno
avuto le trasmissioni di TV 2000, ben sette, in cui gli amici di Gian hanno
portato la loro esperienza. Come degna conclusione del post, scelgo quella di Siamo
Noi, risalente all’11 febbraio 2015 (meno di un mese dopo la sua morte), perché
ha avuto interventi equamente suddivisi tra i ragazzi e don Marco.
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