Immagini speciali #2: Da Praga a Cebu, è sempre il Bambino Gesù
In
questi giorni, in una delle parrocchie del mio quartiere, è stata ospitata una
copia dell’immagine del Santo Niño di Cebu, quella che vedete al centro della
fotocomposizione. La ragione è che il mio parroco è amico e compagno di ordinazione
sacerdotale dell’incaricato per i Migranti della Zona Pastorale IV (Rho) della
diocesi di Milano. Ogni anno, i fedeli cattolici originari delle Filippine – Cebu
è, appunto, un’isola dell’arcipelago delle Filippine – organizzano la festa del
Santo Niño, che cade la terza domenica di gennaio, in un quartiere diverso.
Quest’anno è toccato a noi di Gratosoglio ospitare la ventiseiesima edizione.
Al di là dell’idea di scrivere un piccolo articolo per il Portale della diocesi e per Milano Sette, quest’avvenimento mi ha fatto ripensare al fatto che la devozione all’infanzia di Gesù è una di quelle che mi sono più proprie: per via delle mie origini napoletane, certo, ma anche per ragioni indipendenti dai legami familiari.
Al di là dell’idea di scrivere un piccolo articolo per il Portale della diocesi e per Milano Sette, quest’avvenimento mi ha fatto ripensare al fatto che la devozione all’infanzia di Gesù è una di quelle che mi sono più proprie: per via delle mie origini napoletane, certo, ma anche per ragioni indipendenti dai legami familiari.
Di
passaggio per Praga
Nel 2005, insieme a otto miei vecchi comparrocchiani, ero in viaggio in vista della GMG di Colonia. Il nostro itinerario prevedeva che passassimo anche per Praga, che per me non significava altro che Gesù Bambino. Avevo infatti letto in una guida uscita in allegato a un quotidiano che la statua originale era venerata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria.
Il sacerdote che ci accompagnava era ben lieto di portarci lì, ma i miei compagni non lo erano altrettanto. A ogni passo che facevamo, protestavano perché avevo avuto quel pensiero e perché il luogo sembrava lontanissimo (Google Maps era di là da venire, quindi andavamo con le mappe cartacee). Alla fine siamo arrivati, ma solo io sono andata a vedere il museo interno a una delle torri della chiesa, nella quale ero entrateaunicamente col don.
Come sempre faccio, ho preso delle statuine e delle immagini, alcune anche formato poster, per i miei parenti. La sera stessa, tornata in albergo, mi sono vista chiedere una di quei santini da una delle due ragazze (peraltro, era una di coloro che mi rimproveravano maggiormente) con cui ero in camera; affermò che era per sua nonna. Ho pensato che non fosse giusto rispondere al male col male, così le ho dato quello che le occorreva.
Il Divino Niño, prima in libreria, poi in una chiesa
Non molto tempo dopo, passando per la libreria San Paolo di Milano, ho visto un’immaginetta di quelle che cambiano l’immagine a seconda che vengano inclinate. Di solito trovo leggermente di cattivo gusto quel genere di riproduzioni, ma quella che mi aveva interessato raffigurava un Gesù Bambino che tendeva le braccia in alto, vestito di rosa, senza nessun ornamento. Inclinando il santino, si “rivestiva” con catene d’oro; anche la sua aureola diventava più preziosa.
Ho capito che raffigurazione era quando ho trovato aperta, durante la pausa pranzo, la chiesa di Santo Stefano Maggiore, sede della Cappellania Generale dei Migranti. Oltre all’icona del Señor de Los Milagros, proveniente dal Perù, c’erano degli stendardi con lo stesso Gesù Bambino, collegati ai fedeli colombiani, e una statua, in cui però appariva più simile a un adolescente.
Su una delle immaginette che erano a disposizione, il Divino Niño – ecco il titolo con cui era noto – era descritto come «El Amigo que nunca falla», «L’Amico che non sbaglia mai». Ero in una fase della mia vita in cui sentivo davvero il bisogno di amici veri, specie nell’ambito universitario. Ho deciso quindi di mettermi sotto la sua protezione, come già aveva fatto don Giovanni del Rizzo, alias padre Juan del Rizzo Pozzobon, il salesiano che lo fece conoscere a Bogotá.
Il Santo Niño di Cebu a Milano
Due anni fa ho partecipato alla processione con cui tradizionalmente si conclude il mese mariano nella parrocchia di Santa Maria di Caravaggio a Milano. La statua principale era la Madonna Pellegrina – una delle statue che passarono per Milano nell’Anno Mariano 1954 – abitualmente venerata a Santo Stefano Maggiore (per qualche tempo è stata ospitata nella vicina San Bernardino alle Ossa). Insieme a quella, la comunità filippina aveva con sé il Santo Niño di Cebu, o meglio, la sua riproduzione che di solito si trova nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli.
Proprio non immaginavo che lo scorso dicembre, all’incontro per i visitatori laici incaricati della preghiera nelle famiglie in vista del Natale, il mio parroco avrebbe annunciato la processione. Per avere materiale per il mio articolo, ho seguito con attenzione un documentario andato in onda su Raitre, sulla spedizione di Magellano: ricordo che si vedeva una stampa che raffigurava proprio quella statuetta.
Poi ho partecipato almeno due volte alla novena, che in realtà si è svolta in modo semplicissimo: al termine della Messa feriale (in uno dei due casi è avvenuto prima della benedizione finale, nell’altro prima del saluto «Andate in pace»), il sacerdote andava nel punto della chiesa dov’era esposta la statuetta e recitava la preghiera della novena, insieme ai fedeli presenti.
Rispetto all’immagine di Praga, il Santo Niño non sembra avere grosse differenze; del resto, è grosso modo coeva. Entrambi sono abbigliati come dei re, con un ampio mantello. Quello di Cebu, però, non ha una veste lunga fino ai piedi e porta, nella mano destra, uno scettro. Quello di Praga, invece, come l’altro ha un globo nella sinistra, ma con l’altra mano ha il tipico gesto della benedizione.
Arenzano e Benevento (anche se non ci sono ancora stata)
Nel 2005, insieme a otto miei vecchi comparrocchiani, ero in viaggio in vista della GMG di Colonia. Il nostro itinerario prevedeva che passassimo anche per Praga, che per me non significava altro che Gesù Bambino. Avevo infatti letto in una guida uscita in allegato a un quotidiano che la statua originale era venerata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria.
Il sacerdote che ci accompagnava era ben lieto di portarci lì, ma i miei compagni non lo erano altrettanto. A ogni passo che facevamo, protestavano perché avevo avuto quel pensiero e perché il luogo sembrava lontanissimo (Google Maps era di là da venire, quindi andavamo con le mappe cartacee). Alla fine siamo arrivati, ma solo io sono andata a vedere il museo interno a una delle torri della chiesa, nella quale ero entrateaunicamente col don.
Come sempre faccio, ho preso delle statuine e delle immagini, alcune anche formato poster, per i miei parenti. La sera stessa, tornata in albergo, mi sono vista chiedere una di quei santini da una delle due ragazze (peraltro, era una di coloro che mi rimproveravano maggiormente) con cui ero in camera; affermò che era per sua nonna. Ho pensato che non fosse giusto rispondere al male col male, così le ho dato quello che le occorreva.
Il Divino Niño, prima in libreria, poi in una chiesa
Non molto tempo dopo, passando per la libreria San Paolo di Milano, ho visto un’immaginetta di quelle che cambiano l’immagine a seconda che vengano inclinate. Di solito trovo leggermente di cattivo gusto quel genere di riproduzioni, ma quella che mi aveva interessato raffigurava un Gesù Bambino che tendeva le braccia in alto, vestito di rosa, senza nessun ornamento. Inclinando il santino, si “rivestiva” con catene d’oro; anche la sua aureola diventava più preziosa.
Ho capito che raffigurazione era quando ho trovato aperta, durante la pausa pranzo, la chiesa di Santo Stefano Maggiore, sede della Cappellania Generale dei Migranti. Oltre all’icona del Señor de Los Milagros, proveniente dal Perù, c’erano degli stendardi con lo stesso Gesù Bambino, collegati ai fedeli colombiani, e una statua, in cui però appariva più simile a un adolescente.
Su una delle immaginette che erano a disposizione, il Divino Niño – ecco il titolo con cui era noto – era descritto come «El Amigo que nunca falla», «L’Amico che non sbaglia mai». Ero in una fase della mia vita in cui sentivo davvero il bisogno di amici veri, specie nell’ambito universitario. Ho deciso quindi di mettermi sotto la sua protezione, come già aveva fatto don Giovanni del Rizzo, alias padre Juan del Rizzo Pozzobon, il salesiano che lo fece conoscere a Bogotá.
Il Santo Niño di Cebu a Milano
Due anni fa ho partecipato alla processione con cui tradizionalmente si conclude il mese mariano nella parrocchia di Santa Maria di Caravaggio a Milano. La statua principale era la Madonna Pellegrina – una delle statue che passarono per Milano nell’Anno Mariano 1954 – abitualmente venerata a Santo Stefano Maggiore (per qualche tempo è stata ospitata nella vicina San Bernardino alle Ossa). Insieme a quella, la comunità filippina aveva con sé il Santo Niño di Cebu, o meglio, la sua riproduzione che di solito si trova nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli.
Proprio non immaginavo che lo scorso dicembre, all’incontro per i visitatori laici incaricati della preghiera nelle famiglie in vista del Natale, il mio parroco avrebbe annunciato la processione. Per avere materiale per il mio articolo, ho seguito con attenzione un documentario andato in onda su Raitre, sulla spedizione di Magellano: ricordo che si vedeva una stampa che raffigurava proprio quella statuetta.
Poi ho partecipato almeno due volte alla novena, che in realtà si è svolta in modo semplicissimo: al termine della Messa feriale (in uno dei due casi è avvenuto prima della benedizione finale, nell’altro prima del saluto «Andate in pace»), il sacerdote andava nel punto della chiesa dov’era esposta la statuetta e recitava la preghiera della novena, insieme ai fedeli presenti.
Rispetto all’immagine di Praga, il Santo Niño non sembra avere grosse differenze; del resto, è grosso modo coeva. Entrambi sono abbigliati come dei re, con un ampio mantello. Quello di Cebu, però, non ha una veste lunga fino ai piedi e porta, nella mano destra, uno scettro. Quello di Praga, invece, come l’altro ha un globo nella sinistra, ma con l’altra mano ha il tipico gesto della benedizione.
Arenzano e Benevento (anche se non ci sono ancora stata)
L’ispirazione
per questo post mi è venuta dopo aver visto, ieri, questa parte di Bel tempo
si spera su TV2000. Al minuto 22:00, il carmelitano scalzo padre Davide
Sollani, ospite in studio, spiegava come il Bambino di Praga venerato anche ad
Arenzano e quello colombiano fossero collegati, a parte il fatto di essere la
stessa Persona.
Quando il religioso ha menzionato la bolla papale per cui solo i Carmelitani Scalzi possono propagare la devozione al loro “Piccolo Re”, come lo chiamano con affetto i devoti (motivo per cui don del Rizzo cercò un’altra immagine), mi è venuto in mente che visitando il convento di Regina Coeli a Napoli, luogo di nascita delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, avevo visto un calendario, se ricordo bene, del santuario di Gesù Bambino di Praga a Benevento, a loro collegato.
Per capire se la questione fosse regolare, mi è bastata una rapida ricerca: fu una loro religiosa, suor Raffaelina di Gesù Bambino (al secolo Celestina Borruto), a far erigere il santuario dopo che ebbe trovato una statuetta del Bambinello, rotta e bisognosa di restauri.
Dopo la seconda guerra mondiale, non la trovò più, così ne fece realizzare un’altra, più grande, da esporre nella chiesa di San Filippo Neri, adiacente all’orfanotrofio dove operava: scoprì allora che iconograficamente era uguale alla statua praghese. Suor Raffaelina poi divenne superiora della comunità e ottenne dai Carmelitani Scalzi, nel 1955, l’erezione della Sezione Beneventana della Pia Unione del S. Bambino di Praga.
Concludendo
Un mio vecchio amico, un giorno, mi domandò se fosse più bella la Madonna di Lourdes o quella di Fatima. Dopo un attimo di riflessione, risposi a mia volta con una domanda: se sua madre cambiasse identità sia che indossasse un abito, sia che ne vestisse un altro. Il mio amico rispose che, senza dubbio, era sempre lei.
Se vale per la Madre, allora è lo stesso anche per il Figlio. L’affetto degli uomini Gli ha fatto cambiare tante volte d’abito (come quelli visti anche in un insospettabile reality show), ma è pur sempre Gesù, l’unico Salvatore del mondo.
Quando il religioso ha menzionato la bolla papale per cui solo i Carmelitani Scalzi possono propagare la devozione al loro “Piccolo Re”, come lo chiamano con affetto i devoti (motivo per cui don del Rizzo cercò un’altra immagine), mi è venuto in mente che visitando il convento di Regina Coeli a Napoli, luogo di nascita delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, avevo visto un calendario, se ricordo bene, del santuario di Gesù Bambino di Praga a Benevento, a loro collegato.
Per capire se la questione fosse regolare, mi è bastata una rapida ricerca: fu una loro religiosa, suor Raffaelina di Gesù Bambino (al secolo Celestina Borruto), a far erigere il santuario dopo che ebbe trovato una statuetta del Bambinello, rotta e bisognosa di restauri.
Dopo la seconda guerra mondiale, non la trovò più, così ne fece realizzare un’altra, più grande, da esporre nella chiesa di San Filippo Neri, adiacente all’orfanotrofio dove operava: scoprì allora che iconograficamente era uguale alla statua praghese. Suor Raffaelina poi divenne superiora della comunità e ottenne dai Carmelitani Scalzi, nel 1955, l’erezione della Sezione Beneventana della Pia Unione del S. Bambino di Praga.
Concludendo
Un mio vecchio amico, un giorno, mi domandò se fosse più bella la Madonna di Lourdes o quella di Fatima. Dopo un attimo di riflessione, risposi a mia volta con una domanda: se sua madre cambiasse identità sia che indossasse un abito, sia che ne vestisse un altro. Il mio amico rispose che, senza dubbio, era sempre lei.
Se vale per la Madre, allora è lo stesso anche per il Figlio. L’affetto degli uomini Gli ha fatto cambiare tante volte d’abito (come quelli visti anche in un insospettabile reality show), ma è pur sempre Gesù, l’unico Salvatore del mondo.
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