Terra Santa 2014 #11: a Betlemme, dove il Verbo si fa ancora carne (quinta parte)



Sono giunta alla conclusione del racconto di viaggio in Terra Santa. Fino all’ultimo giorno ho meditato attentamente, ma anche ricevuto delusioni che, nel giro di pochissimo, si sono tramutate in sorprese incredibili. Come al solito, dove non altrimenti indicato le foto sono opera mia.

Sabato 16 agosto
9: 40 – In marcia, come i pastori

La prima tappa del nostro penultimo giorno a Betlemme è stata nuovamente la Basilica della Natività, dove abbiamo celebrato la Messa nell’area stabilita per i cattolici, a ridosso del punto segnalato dalla famosa stella d’argento. Non so come abbiamo fatto a starci tutti e cinquantasei, ma ci siamo riusciti, anche se ci sembrava quasi di soffocare.
Usciti da lì, siamo saliti sul pullman che ci avrebbe portati al Campo dei Pastori, il luogo dove si ricorda l’annuncio della nascita di Gesù proprio a quella categoria di persone. La zona è molto adatta alla meditazione, dato che è fuori città e consente di ammirare il panorama circostante, compresi gli insediamenti e il famigerato muro, così da passare, nel giro di breve tempo, dalla contemplazione all’intercessione.
Tra i numerosi spunti offerti da don Bortolo a partire dal brano evangelico di Lc 2, 8-20, mi sono soffermata su quello in cui c’invitava a considerare la rapida partenza dei pastori per andare a vedere quello che il Signore aveva fatto conoscere loro. Rileggendola nella mia attuale situazione, l’ho colta come un invito a prendere qualche decisione grossa per la mia vita, a costo d’incontrare fregature da parte degli uomini, ma non di Dio.
Foto di Simone Galli
Mentre mi spostavo dal luogo dove mi ero messa ad annotare le mie riflessioni a causa dell’arrivo di un gruppo di pellegrini, mi è sorta una domanda: perché i pastori non sono considerati santi ufficialmente? Lo sono i Magi, le donne al sepolcro o Mirofore, perfino il cosiddetto buon ladrone. Avevo perfino ipotizzato che, se fossi nel Papa, li canonizzerei motu proprio: sarebbe decisamente nel suo stile, per offrire ai cristiani di tutto il mondo degli esempi ufficiali di prontezza nel rispondere alla chiamata divina, anche se provenienti da una categoria disprezzata e messa ai margini della società del tempo. In ogni caso, posso ugualmente imparare qualcosa da loro: che devo mettermi in cammino, per restare meravigliata dal segno che è Gesù Bambino.
Prima di andare, però, i pastori si confidano tra loro. Mi ha fatto pensare alle numerose occasioni di scambio tra me e i miei compagni, agli sfoghi che ho gettato addosso ad alcuni di loro, ma anche alle volte in cui ho ascoltato i racconti delle loro esperienze. La stessa decisione di scrivere un diario di viaggio rispondeva a questa esigenza: esporre ai miei lettori quello che ho visto mi servirà per ripartire nella vita di tutti i giorni, alla ricerca della vera felicità.
Quando ci siamo radunati tutti insieme nel punto convenuto per ritornare in albergo, abbiamo intonato Venite fedeli, certi che, quando lo eseguiremo nelle nostre parrocchie di provenienza il prossimo Natale, avremo qualcosa di nuovo da esprimere.
Prima di ripartire, don Bortolo ha chiesto se qualcuno di noi dovesse compiere ancora qualche acquisto. Io ho alzato la mano e dichiarato che volevo comprare un Bambinello di terracotta fatto dalle Piccole Sorelle di Gesù, ma sono stata frenata: la loro bottega è chiusa il sabato pomeriggio. Lì per lì sono rimasta delusa, tuttavia, mentre ero sul pullman, mi è venuto un pensiero: il giorno prima, passando per il negozio, avevo visto un cartello che indicava la chiusura unicamente nei giorni di venerdì e domenica. A quel punto, ho formulato un’ipotesi: il don e gli altri responsabili del nostro gruppo volevano regalarci una statuina a testa e avevano messo in giro quella versione dei fatti per impedirci di andare personalmente. Se anche fossi rimasta delusa, sapevo che dovevo cercare in qualsiasi immagine di Gesù in fasce il messaggio di fiducia che Lui, quello vero, è venuto ad incarnare proprio in quella Terra Santa.
Per questo motivo, mentre stavo effettivamente comprando gli ultimi ricordini insieme a una mia compagna, le ho suggerito di non andare fino alla Grotta del Latte, anche perché altrimenti saremmo arrivate in ritardo al momento di sintesi finale.

17: 30 – Un abbraccio che racchiude un mondo

Più che una comunicazione nella fede, che in realtà avevamo svolto a Nazaret la sera di domenica 10 agosto, si trattava di una riflessione che racchiudesse un po’ il succo di tutto il nostro viaggio, accompagnata dalla lettura di un Salmo, da alcune preghiere spontanee e dallo scambio di un abbraccio di pace.
Don Bortolo ha esordito affermando che il nostro percorso ci ha portati a comprendere che la spiritualità non è lontana dalla terra, dalla gente, dalle sfide e dalle domande che essa pone. Per questo dovevamo continuare a pregare per questi posti, per chi vi abita e per noi stessi, affinché possiamo diventare, riecheggiando il Salmo 147, “messaggio che corre veloce”.
Ha proseguito invitandoci a scrivere in maniera sintetica le nostre impressioni e riflessioni. Come immagino saprete se mi seguite da un po’, la sintesi non è la mia miglior dote: basti pensare che, durante il pellegrinaggio, avevo inizialmente preventivato cinque post e ora mi ritrovo ad averne prodotti il doppio! Tuttavia, ho deciso che ci proverò.
L’abbraccio di pace, a cui non mi sono sottratta nonostante le mie resistenze, si è in breve tramutato in un’occasione per chiedere perdono agli altri per le mie crisi e i comportamenti sbagliati e per ricevere, a mia volta, incoraggiamenti a procedere senza cambiare i miei lati positivi. Il tutto annaffiato da copiose lacrime, per una volta non solo da parte mia.
Prima di concludere col Padre nostro, il don ci ha detto che aveva qualcosa per noi. In breve, la mia ipotesi si è realizzata: era proprio un Gesù Bambino delle suore! Avevo esaurito la mia scorta di lacrime, per cui non potevo fare altro che sorridere, con un’espressione il più possibile simile a quella della statuetta che avevo tra le mani.

Un grazie alle guide!

La festa serale, con la cena ancora a base di pizza, era stata concepita come un modo per ringraziare chi si era occupato di noi in quei giorni tanto intensi e scherzare con loro.
L’organizzazione della festa in corso
Le prime “vittime” sono state don Bortolo ed Elena, che in un’intervista doppia (col povero Marco a fare da paravento umano infilato in un sacco-lenzuolo) hanno svelato aspetti della loro vocazione che ci erano ignoti. A seguire, il nostro direttore Filippo e Daniela, la nostra segretaria, uniti anche nella vita, motivo per cui li abbiamo fatti rispondere invertendo le loro personalità. Mi spiego: l’uno rispondeva come se fosse l’altra e viceversa.
C’è stato anche il tempo per intonare tutti insieme un nostro adattamento dellinno non ufficiale dei pompieri italiani, Il corista paura non ne ha, che accompagna noi del Gruppo Shekinah dalla GMG di Madrid. Ogni strofa, pazientemente elaborata nel corso del pomeriggio, era dedicata a una delle guide o dei musicisti che ci accompagnano da sempre nei nostri concerti-meditazione.
La festa si è conclusa per darci il tempo utile di riposare un po’ prima della partenza. Per partecipare tutti insieme all’Eucaristia domenicale, era stato stabilito di celebrarla alle 5:00, dato che il primo gruppo doveva essere all’aeroporto di Tel Aviv alle 10:30. Mentre io e gli altri tornavamo al nostro alloggio, proprio un attimo prima di entrare, ho visto di sfuggita una stella cadente. Ho avuto il tempo di esprimere il mio desiderio, ma, come si usa, non lo rivelerò.

Domenica 17 agosto
Partire è un po’… rinascere


La notte stellata ha ceduto il passo a un’alba meravigliosa, abbondantemente immortalata da quasi tutti i miei compagni me inclusa. Significativamente, la liturgia ambrosiana del giorno poneva alla nostra attenzione almeno due brani biblici che ci facevano pensare a quanto vissuto fino allora: la preghiera di Salomone nella consacrazione del primo Tempio a Gerusalemme e l’elogio, da parte di Gesù, della vedova che donò quanto aveva per vivere. Ho quindi chiesto perdono se in quei giorni non ho davvero messo a frutto quello che sono e quello che ho, impegnandomi a farlo una volta tornata a casa.
Infine è venuto il momento di dividerci in base ai nostri due voli; io ero sul primo. Tra baci, abbracci e promesse di scambi di foto, ci siamo mossi alla volta di Tel Aviv, un po’ intimoriti per via delle probabili perquisizioni. Alla fine sono state meno problematiche del previsto.
Il nostro gruppo, giunto a Malpensa dopo un viaggio non privo di scossoni, si è progressivamente assottigliato, fino a ridursi a me e agli altri che dovevano tornare a Milano, saliti sull’apposito treno.
Arrivata in stazione e rimasta da sola con don Bortolo perché gli altri abitavano tutti vicini tra loro, gli ho rinnovato il mio ringraziamento, poi sono scesa in metropolitana. Appena ho rivisto i palazzi del mio quartiere, l’abside della mia chiesa parrocchiale e il mio condominio… sì, non vi sbagliate: ho iniziato a singhiozzare, felice di essere tornata e di aver avuto salva la vita. Una volta di più mi sono decisa a non sprecarla, anche grazie a quello che avevo visto in due settimane veramente incredibili.

Con questo articolo concludo il racconto vero e proprio. A dire il vero, per tener fede a un impegno preso con qualcuno dei miei compagni e lettori, sto per prepararne uno che esula un po’ dalla linea editoriale che mi sono imposta, ma che spero possa strappare qualche sorriso.



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