Terra Santa 2014 #9: a Betlemme, dove il Verbo si fa ancora carne (terza parte)
Il Caritas Baby Hospital (foto di Maria Tardini) |
Riprendo il mio racconto di viaggio
con la descrizione di una delle giornate più convulse del nostro percorso, dove
ho visto personalmente e, in un certo senso, vissuto il dolore di molti. C’è
una novità: dato che quel giorno avevo la macchina fotografica scarica, le foto
di questo articolo sono tutte di altri miei compagni.
Giovedì
14 agosto
Un
sorriso fra i dolori
Per una volta, la Messa del mattino
è stata celebrata nella cappella della “Società Antoniana”, così io e gli altri
che vi alloggiavamo abbiamo potuto far colazione in tutta calma. Nella sua
omelia, don Bortolo ci ha suggerito come prepararci agli impegni del giorno,
ovvero l’esecuzione di alcuni nostri canti nella cappella del Caritas Baby
Hospital e un concerto-meditazione più corposo presso l’auditorium dell’Azione
Cattolica.
Il tragitto verso l’ospedale non era
molto lungo. Appena arrivati abbiamo visto venirci incontro una giovane
religiosa, che ho visto chiamarsi suor Lucia Corradin dalla targhetta che
portava. Ero convinta che lì ci fossero le Suore di Maria Bambina, ma devo
essermi confusa con Nazaret: a operare in quel luogo, infatti, sono le
Terziarie Francescane Elisabettine di Padova, fondate dalla Beata Elisabetta
Vendramini e a me vagamente note (avevate qualche dubbio?).
I piccoli pazienti hanno svariate
patologie, in particolare causate dal muro di separazione eretto nel 2004: per
via della difficoltà degli spostamenti, i giovani di Betlemme faticano a trovar
moglie, quindi vengono costretti a prenderla nel proprio nucleo familiare. Il
fatto causa molte nascite con malformazioni o malattie congenite, ovviamente.
Dai bambini, ha detto, lei e il
personale medico stanno imparando molto, in particolare che ciò che resta, che
è eterno è la nostra umanità. Inoltre, avvertono un vero e proprio “scambio
nella vita eterna” in base alle relazioni che hanno ricevuto da loro.
Anche questa foto è di Maria Tardini |
Terminato il suo racconto e dopo
averci fatto un piccolo dono (del quale riferisco in chiusura di post), ci ha guidati in un rapido giro
tra i reparti. Attraverso dei finestroni, potevamo scorgere gli infermieri al
lavoro e alcuni casi particolarmente delicati. Dire che non mi sia sentita
smuovere qualcosa dentro di me sarebbe inesatto, eppure non mi è affatto venuto
da piangere.
Il tempo di sistemarci nella
cappella e subito abbiamo visto arrivare degenti e dottori, molti dei quali con
un’espressione tirata in volto. Non molto tempo dopo, mi è parso che fossero un
po’ più rilassati, anche perché erano stati volutamente scelti i pezzi del
nostro repertorio di carattere più allegro.
«Un
muro chiude la strada al futuro»
Foto di Roberto Latella |
Il famigerato muro di separazione
sorge proprio a brevissima distanza dal Caritas Baby Hospital. Tappezzato di
dipinti e di manifesti, non si può affatto far finta di non vederlo. Davvero,
per riprendere il verso del nostro canto Per fare festa con te che ho scelto come titolo di questo paragrafo, ostacola il
futuro di tanti, specialmente dei giovani. Nei primi giorni a Betlemme,
infatti, io e i miei compagni eravamo un po’ infastiditi dai clacson che
suonavano in continuazione e dalla guida spericolata di molti automobilisti.
Solo in seguito abbiamo compreso che è l’unico divertimento che i ragazzi del
posto hanno, non potendo andare liberamente a Gerusalemme, per esempio.
Per passare a qualcosa di molto più
piacevole, il pranzo è stato a base di pollo con salsina, contenuto
nell’immancabile pita, e patate
fritte. È stata un’occasione di ascoltare i progetti immediati e i sogni di
bene dei miei compagni che erano a tavola con me e di rammaricarmi perché loro
vivono i famosi “grandi ideali” presentati dal Papa, mentre io ne perseguo
altri. Ho scacciato subito quei pensieri deprimenti, ricordandomi ciò che avevo
scritto all’inizio del viaggio e impegnandomi a fare del mio meglio nel
concerto che mi attendeva.
Una
nuova intenzione per cantare
Anche quella volta siamo arrivati in
larghissimo anticipo sul luogo del concerto, per le ultime prove veloci e
prepararci a dovere. Per l’occasione avevo deciso di truccarmi, o meglio, di
nascondere qualche imperfezione cutanea, ma quando ho visto che una mia
compagna aveva portato degli ombretti, mi è venuta l’idea di prenderli in
prestito. Dopo avermi dato un’occhiata, lei mi ha chiesto se potevo farmi
aiutare: nel giro di pochi minuti mi aveva letteralmente rimessa a nuovo, con
un lavoro tanto riuscito da ottenere, da parte di altre di noi, la richiesta
del medesimo trattamento.
Anche da questo ho imparato, o
meglio, mi è servito per ricordare qualcosa che già sapevo e che con Shekinah
dovrei vivere già da parecchio: prendersi un po’ cura del proprio aspetto deve
servire per fare felici gli altri e per dare risalto agli aspetti gioiosi della
nostra fede.
Foto di Simone Clementi |
Stavolta a presentare ogni brano non
era don Bortolo, come abitualmente succede, bensì il nostro amico Charlie, il
quale, per farsi meglio comprendere dall’uditorio, si esprimeva in arabo.
Mentre cantavo, mi sono resa conto di qualcosa che altre mie compagne avrebbero
in seguito espresso all’incirca così: non mettevamo più noi al centro delle
invocazioni e delle promesse di fedeltà messe in musica, ma la gente che
avevamo di fronte, le sue difficoltà, la consapevolezza di vivere in un luogo
non facile ma benedetto dalla presenza di Dio.
Finito tutto, eravamo veramente
entusiasti, soprattutto nel vedere i bambini con cui avevamo giocato i giorni
precedenti. Il mio umore, tuttavia, è precipitato poco dopo: mi è stato
impedito di offrirmi volontaria per una breve intervista ad opera di alcuni
giornalisti di Canção Nova, mi pare
per il programma televisivo Terra Santa
News. Ho cercato di prendere anche quello come una prova: eppure, poco
prima, avevo intuito che non dovevo pormi al centro dell’attenzione.
Dalle
risate alle lacrime
Dall’auditorium ci siamo mossi per
andare a cena. Elena aveva in mente di portarci in un non ben determinato
ristorante, ma non riuscivamo a capire dove fosse. Abbiamo camminato per
parecchio tempo, finché non siamo ritornati al punto di partenza. Grazie a Dio
lì vicino c’era un altro locale, dove, finalmente, ci siamo fermati. Il motivo
di tutto quel giro era che il posto era chiuso, se ho ben capito.
Foto di Maria Tardini |
Il menu non era molto dissimile da
quello della sera precedente, con carni d’agnello e montone, salsine di tutti i
tipi e colori e patate all’insalata che, a dire il vero, erano lievemente
diverse da quelle che consumo di solito. Sarà stata la fame, ma alla fine nel
nostro piattino in comune ne era rimasta una sola: a quel punto, una delle mie
commensali l’ha resa protagonista di un gioco nel quale chi la riceveva nel
proprio piatto doveva rispondere a una domanda posta da chi gliel’aveva messa.
Anche in quel caso, mi ha fatto molto piacere ascoltare parti della vita delle
altre (eravamo solo donne), dal libro preferito a come hanno incontrato il
proprio fidanzato.
Finita la cena, ci siamo nuovamente
divisi nei due gruppi per il pernottamento. Tuttavia, mentre io e i miei compagni
eravamo quasi a destinazione, è avvenuto un episodio spiacevole. Avevamo da
poco attraversato un incrocio, quando una di noi ha gridato di coprirci gli
occhi. Pur non capendone il motivo, l’ho fatto, ipotizzando che ci fosse
qualcosa di brutto da non vedere. Immediatamente dopo, ho avvertito come un
pizzicorino alle narici, per cui me le sono tappate e mi sono coperta la bocca
con la sciarpa che avevo con me. Non c’è voluto molto per capire cosa fosse
successo: un attacco a base di lacrimogeni all’altezza del muro, la cui scia
era stata portata fino a noi dal vento forte.
Tutto il gruppo si è radunato sul
marciapiede, mentre alcuni automobilisti di passaggio ci urlavano di tornare
indietro. Nel frattempo, ho riaperto gli occhi: qualcuno tossicchiava, mentre
altri continuavano a lacrimare involontariamente. Dopo qualche istante d’attesa,
abbiamo deciso di tornare alla parrocchia greco-cattolica e di spiegare l’accaduto
alle nostre guide.
Non appena ho messo piede nel salone
dove ci radunavamo di solito, ho iniziato a piangere, ma non per colpa dei
lacrimogeni. Tutto d’un tratto, mi si era fatta presente la drammaticità della
situazione in cui la gente di Betlemme vive e ho capito che io e compagni,
stando lì, la condividevamo in pieno. I miei buoni propositi di andare fino
alla fine avevano subito un notevole scossone. A rimettermi in carreggiata è
stato don Bortolo, il quale, dopo aver sentito un mio commento pessimistico al
termine della preghiera serale, mi ha invitata ad avere fede anche in quel
momento di prova, non solo quando vivo delle situazioni molto più gradevoli.
Extra:
la Madonna del Muro
Come ci aveva raccontato suor Lucia
sul finire della sua testimonianza, ogni venerdì alle 18:00 lei e le consorelle
che operano al Caritas Baby Hospital, più chiunque voglia unirsi a loro,
pregano il Rosario lungo il muro di separazione, fino all’immagine della
cosiddetta Madonna del Muro, un’icona
scritta proprio su quella muraglia d’odio.
Un sacerdote di Reggio Emilia, don
Davide, si è ispirato alla loro iniziativa e ha composto la preghiera che lei
ci ha regalato, dietro un santino con la riproduzione di quell’icona. La
riporto come l’ho trovata sul blog di don Mario Cornioli, parroco di Beit
Jala (per i suoi parrocchiani e lettori, abuna
Mario), ritoccando solo le lettere che in originale avevano l’apostrofo al
posto dell’accento.
Fonte |
Madre di Gesù, Maria
ci rivolgiamo a Te invocando la pace per questa terra
benedetta dalle promesse e dalla fedeltà di Dio,
ma lacerata dalla paura e dalla durezza dell’uomo.
Ferita dolorosa, questo muro schiaccia la dignità dei tuoi figli
e uccide il futuro nel cuore delle donne e degli uomini
che posano su di esso lo sguardo: vieni in nostro aiuto, Vergine della Speranza!
Tu che hai percorso queste strade di Palestina custodendo
amorevolmente nel tuo grembo il Figlio dell’Altissimo,
consola tra le tue braccia i figli che piangono le vittime dell’ingiustizia e dell’odio.
Aurora di salvezza, Maria donna della pentecoste, insegnaci
ad essere docili alla voce dello Spirito e credere fermamente che la potenza del perdono è capace di disarmare la vendetta e di sgretolare i cuori di pietra.
La fede nel tuo figlio Gesù, signore della storia, sia la nostra forza.
Regina della Pace, prega per noi!
ci rivolgiamo a Te invocando la pace per questa terra
benedetta dalle promesse e dalla fedeltà di Dio,
ma lacerata dalla paura e dalla durezza dell’uomo.
Ferita dolorosa, questo muro schiaccia la dignità dei tuoi figli
e uccide il futuro nel cuore delle donne e degli uomini
che posano su di esso lo sguardo: vieni in nostro aiuto, Vergine della Speranza!
Tu che hai percorso queste strade di Palestina custodendo
amorevolmente nel tuo grembo il Figlio dell’Altissimo,
consola tra le tue braccia i figli che piangono le vittime dell’ingiustizia e dell’odio.
Aurora di salvezza, Maria donna della pentecoste, insegnaci
ad essere docili alla voce dello Spirito e credere fermamente che la potenza del perdono è capace di disarmare la vendetta e di sgretolare i cuori di pietra.
La fede nel tuo figlio Gesù, signore della storia, sia la nostra forza.
Regina della Pace, prega per noi!
La stessa suor Lucia, in un servizio
di Terra Santa News, racconta com’è
sorta quell’idea. Alcuni miei amici del coro hanno deciso di replicarla,
secondo le possibilità di ciascuno: cosa ne dite di unirvi a noi?
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