Rafqa Ar-Rayes: la gratitudine nel dolore
Chi è?
Immagine ufficiale per la canonizzazione di santa Rafqa, Pierre Chédid, 2001 |
Boutrossyeh Ar-Rayes nacque a Himlaya, un villaggio
del Libano, il 29 giugno 1832, figlia unica di due coniugi cristiani maroniti. Nel
1839, quando aveva sette anni, perse la madre e poco dopo venne mandata a
servizio presso una famiglia di Damasco. Tornata a casa, apprese che il padre
si era risposato ed ebbe molte difficoltà nell’integrarsi nel nuovo nucleo
familiare.
A ventun anni, sentendosi attratta dalla vita
religiosa, si presentò al convento di Nostra Signora della Liberazione a Bifkaya,
per essere ammessa tra le suore Mariamât (Figlie di Maria). Il 9 febbraio 1855 prese
l'abito di novizia e successivamente emise i voti religiosi. Durante il suo
primo incarico, studiò per prepararsi a diventare maestra, compito che esercitò
nei villaggi vicini.
Nel 1871, dopo di una crisi nella congregazione delle Mariamât,
comprese di dover seguire la sua ispirazione originaria, ovvero non essere
religiosa di vita attiva, bensì monaca. Con l’aiuto di un benefattore, venne
accolta nel monastero delle Monache Libanesi Maronite di San Simeone al-Qarn a
Aïtou. Il 25 agosto 1872, con la professione religiosa solenne, assunse il nome
di suor Rafqa (in italiano Rebecca), in onore di sua madre. Si distinse tra le
consorelle per l’obbedienza alla Regola e la prontezza nel compiere il proprio
lavoro.
La sera della prima domenica d'ottobre del 1885 suor
Rafqa venne colpita da un forte dolore alla testa, che si estese agli occhi,
quasi ad essere esaudita nella preghiera che aveva rivolto al Signore, ossia di
essere associata alla sua Passione. Tra operazioni sbagliate e l’aggravarsi
della malattia, divenne completamente cieca nel 1889 e, in seguito, rimase
paralizzata. Morì il 23 marzo 1914, a 82 anni, presso il monastero di San
Giuseppe al-Daher a Jrabta, presso Batroun, dove era stata trasferita nel 1897.
Inizialmente sepolta nel cimitero del monastero, venne
traslata in una tomba nuova all’interno della chiesa del monastero il 10 luglio
1927. L’anno prima era stata avviata la fase informativa del suo processo di
canonizzazione insieme ad quelli di altri due candidati all’altare dell’Ordine Maronita,
Charbel Maklouf e Nimatullah Al-Ardini. A causa dei disordini in Libano, la sua
causa ebbe un rallentamento, ma procedette dopo la canonizzazione di san
Charbel.
Dichiarata Venerabile con decreto dell’11 febbraio
1982, suor Rafqa è stata beatificata il 17 novembre 1985 e canonizzata da san
Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001.
Cosa c’entra con me?
Alcuni anni fa ero venuta a sapere che il cappellano
della mia università sarebbe andato in Libano con alcuni giovani e dei suoi
amici, durante le festività natalizie. Sarebbe piaciuto anche a me unirmi a
loro, ma gli impegni di studio, uniti a una certa pusillanimità, mi fecero
desistere.
Di solito, quando qualcuno va in qualche luogo di
pellegrinaggio, gli viene chiesto di portare qualcosa a casa, almeno un santino;
è successo anche a me. Inaspettatamente, quella volta, sono stata io a ricevere
un regalino: il cappellano, sapendo del mio interesse verso gli esempi virtuosi,
mi aveva portato qualcosa d’inerente ai Santi libanesi. Per la precisione, si
trattava di due immaginette, una che ritraeva tutti e tre, l’altra della sola
santa Rafqa (col dipinto che ho messo in apertura). Il don mi diede anche un sacchettino che conteneva qualche
granello d’incenso e un pizzico di terriccio, riferendomi che provenivano dal
sepolcro di quella medesima santa.
Fino ad allora, quei personaggi mi erano quasi del
tutto sconosciuti. Avevo sentito parlare dei prodigi operati per intercessione
di san Charbel, ma non me ne ero mai occupata approfonditamente. Avevo sentito
dire che insieme a santa Gianna Beretta Molla e a sant’Annibale Maria Di Francia era stato canonizzato san
Nimatullah, ma anche in quel caso non ero scesa più nei dettagli. La terza,
invece, forse proprio perché donna, mi attraeva di più. In ogni caso, ho
sistemato quei ricordini in una delle mie scatole con cartoline e immagini
varie, stando molto attenta a non rovinare il terriccio e l’incenso, per
poterli usare in casi d’emergenza.
Due anni fa, santa Rafqa si è riaffacciata alla mia
vista dagli scaffali di una delle librerie cattoliche del centro di Milano.
Ammetto però di aver comprato il libro in questione solo alcuni mesi fa, per
presentare la sua storia qui in maniera più approfondita e aumentare, così, il
numero di Testimoni donne di cui ho trattato e non limitarmi a sacerdoti o,
comunque, a figure maschili.
Leggerlo mi ha fatto capire che non devono esserci
limiti nel delineare la propria personale geografia della santità. Certo, tutti
hanno figure che avvertono più vicine, per motivi parrocchiali, familiari o
altro, ma ce ne sono di particolari anche al di fuori del nostro Paese, sebbene
approfondirle possa risultare complicato per l’assenza di bibliografia in
italiano, per chi non conoscesse le lingue straniere.
Tornando a santa Rafqa, quello che mi ha impressionato
maggiormente di lei è stata la docilità con cui si è lasciata condurre nelle
sue varie destinazioni da religiosa, ancor prima di perdere la vista. Evidentemente,
era consapevole che Dio solo guidava i suoi passi.
Mi ha dato da pensare anche il suo modo di accogliere
la sofferenza fisica, che la caratterizzò per ventinove anni. Può sembrare che
se la sia cercata, invocando il Signore di dargliela. A ben vedere, è stato solo Lui a
concedergliela – ci sono altri casi, invece, in cui qualcuno sperava per sé il
martirio del sangue, ma non l’ha ottenuto – perché sapeva che l’avrebbe vissuta
in unione ai Suoi patimenti sulla Croce, o almeno, che avrebbe progressivamente
imparato ad assimilarsi ad essi. Quando a me, invece, capita di avere qualche
malessere, vado subito ad assumere qualche farmaco, sebbene stia
progressivamente cercando di sopportare come faceva lei.
Il
suo Vangelo
È proprio l’accettazione del dolore a
caratterizzare il messaggio universale di santa Rafqa. Oltre ai patimenti
fisici, ha tribolato parecchio anzitutto nel concretizzare la propria
vocazione. In seguito, come gran parte del suo popolo ancora oggi, ha
conosciuto il dramma della guerra, dello spostamento da una parte all’altra del
Paese.
Eppure, in risposta a una sua
consorella che l’interrogava circa il suo stato di salute, ebbe a dire:
Ciò che viene da Dio va accettato con
completa rassegnazione, sottomissione e gratitudine. Il vasaio è padrone della
creta. Sia fatta la sua volontà. Qualsiasi cosa faccia di me, sono contenta di
espiare i miei peccati. Se sloga le mie ossa e le frantuma, sia fatta la sua
volontà.
Prego quindi che il suo esempio –
evviva, stavolta posso dirlo senza farmi scrupoli!– dia la forza necessaria ai
cristiani del Libano e di tutto il Medio Oriente, ma anche agli ammalati e a
chi pensa che la vita non sia più tale se, ad esempio, il corpo che la ospita è
bloccato su una sedia a rotelle o collegato a macchinari artificiali.
Per
saperne di più
Patrizia
Cattaneo, La terra che guarisce. Santa
Rafqa monaca libanese maronita, San Paolo 2012, pp. 97, € 9,50.
L’unico libro disponibile in italiano,
che racconta la vita di questa religiosa e i miracoli che, ancora oggi, si
verificano mediante la terra presa accanto al suo sepolcro.
N. B.: la traslitterazione dei nomi
propri e di quelli geografici che ho adoperato in questo articolo è mutuata da
questo libro.
Su
Internet
Sito ufficiale del monastero di san Giuseppe a Jrabta-Batroun
Playlist di YouTube con un film di finzione,
sottotitolato in inglese
Commenti
Posta un commento