Curare l’umanità ferita – La missione di Annalena Tonelli (Cammini di santità #5)
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Non potevo trovare occasione migliore della Giornata Missionaria Mondiale, che cade domenica prossima, per riproporre su queste pagine l’articolo che mi è stato commissionato per il numero di ottobre della rivista Sacro Cuore dei Salesiani di Bologna.
Conoscevo
di fama Annalena Tonelli e la sua morte – che in molti chiamano martirio, ma che io, per prudenza, preferisco non definire così (non ho nemmeno messo la tag "Martiri" a questo post) –
avvenuta mentre curava gli ammalati in Somalia, ma non avevo mai approfondito
la storia che precedeva la sua vocazione missionaria. È stata proprio un’occasione
positiva, ma rimando ad altri momenti, se ci saranno, il racconto del legame
che sento di avere con lei.
Ecco
quindi l’articolo; stavolta, titolo e sottotitoli sono proprio quelli scelti da
me.
* * *
È
il 1° dicembre 2001. L’Aula Nervi, in Vaticano, ospita un convegno indetto dal
Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Tra i partecipanti c’è una
donna, con una tunica che le copre l’esile figura. Quando è il suo turno di
parlare, si presenta: «Mi chiamo Annalena Tonelli. Sono nata in Italia, a
Forlì, il 2 aprile 1943». Ma non è di sé che intende riferire, quanto del
profondo motivo che ha animato ogni sua azione: «Scelsi di essere per gli
altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, che ero una
bambina e così sono stata e confido di continuare a essere fino alla fine della
mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così
fortemente: Cristo e i poveri in Cristo».
Missionaria con gioia
Anche
se sta parlando a un uditorio composto da operatori sanitari, Annalena non è un
medico: ha studiato al liceo classico e, dopo un anno di stage a Boston in
America, si è iscritta alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Bologna.
Dotata di un carattere allegro ed espansivo, ha anche un altro dono: riesce ad
aggregare le persone per creare iniziative di bene. Si fa promotrice, tra
l’altro, del “Comitato contro la fame nel mondo”, uno tra i primi in Italia a
rendere consapevoli specialmente i giovani su quel problema.
Si
laurea nel 1968, ma ha un sogno in cuore: l’India, che desidera raggiungere
dopo essersi appassionata alla lettura dei libri di Gandhi. I familiari non
vogliono che parta né per l’India né per altri Paesi, ma lei decide di cogliere
la prima occasione possibile. Così, indirizzata da un’amica, decide di andare a
Nairobi, capitale del Kenya.
Riceve
l’incarico d’insegnare l’inglese nelle scuole dei Missionari della Consolata e,
intanto, si mantiene lavorando come ragazza alla pari. È convinta che la sua
strada passi da lì, come racconta a un amico sacerdote, don Adriano Raineri, in
una lettera del 24 agosto 1969: «Sono certa che alla fine scoprirò che anche la
vita qui è grazia, perché tutto è grazia, se io dovunque mi trovo, vivo
semplice, nello sforzo umile ma potente e continuamente rinnovato di imitare il
Cristo».
Il Vangelo con la vita, anche tra i contrasti
Nel
1970 passa a insegnare nella scuola governativa di Wajir, nel nord-est del
Kenya. Raggiunta da Maria Teresa Battistini e da altre missionarie laiche, dà
vita a una piccola comunità. Unica regola: «Gridare il Vangelo con la vita»,
secondo gli insegnamenti di un altro dei suoi maestri spirituali, Charles de
Foucauld, oggi Beato.
In
un paese esclusivamente musulmano, la loro presenza è non poco ostacolata:
spesso Annalena è raggiunta dalle pietre lanciate dai bambini del luogo, che
l’apostrofano come “pagana”. Un’altra volta viene aggredita e picchiata, ma
resiste. Con gli aiuti che arrivano da Forlì, porta avanti un orfanotrofio, poi
inizia ad occuparsi dei malati di tubercolosi, sviluppando perfino un nuovo
sistema di cura. Tuttavia, per aver denunciato il massacro avvenuto il 10 febbraio
1984 all’aeroporto di Wagalla, viene espulsa dal Paese come “persona non
gradita”; la comunità di laiche missionarie si disperde.
Si
ferma per un po’ in Italia per curare suo padre in fin di vita, poi riparte.
Destinazione: la Somalia, dove di lì a poco scoppia la guerra civile. «Il cuore
è sgomento», scrive a suor Laurentia, Missionaria della Consolata, «il mio
essere tutto come accartocciato, stretta in una morsa che non concede respiro
eccetto che nei rari momenti in cui mi immergo beata nel sorriso di un bimbo,
negli occhi buoni e mansueti di un adulto […], nel sorriso timido di un piccino
tubercoloso che già torna alla vita».
Tra eremo e missione
Annalena
sa quale sia la radice di quest’attività, a volte logorante: la preghiera
contemplativa, la meditazione, l’adorazione eucaristica... quando possibile.
Nei suoi ritorni in Italia frequenta l’eremo di Cerbaiolo, tra Toscana e
Romagna, o quello di Spello, o ancora a Campello sul Clitunno. Sente
costantemente la tensione verso una vita più ritirata, ma il pensiero dei suoi
somali la spinge a tornare da loro.
Fonda
un ospedale a Merka, che dall’agosto 1994 passa alla Caritas Italiana. Due anni
dopo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità le affida un progetto a Borama: lì
organizza scuole, ma inizia anche a lottare contro le mutilazioni genitali
femminili, sostenuta da alcune donne, ma anche da qualche capo religioso
musulmano. Gli altri continuano a guardarla con sospetto, mentre le minacce
continuano.
Il martirio in preventivo
Col
tempo, Annalena ha imparato a tenere in conto la prospettiva di una morte
violenta. Ne sono prova alcune sue parole in un’altra lettera: «La mia morte,
la mia malattia, il mio dolore non sono assolutamente diversi dalla morte,
dalla malattia, dal dolore di uno di questi adulti e dei bambini che muoiono
sotto i nostri occhi ogni giorno, sul gradino di casa nostra. […] Potessi io
vivere e morire d’amore. Mi sarà dato?».
Questo
suo desiderio si è concretizzato domenica 5 ottobre 2003, verso sera. Gli
infermieri che l’accompagnano, durante l’ultima visita della giornata agli ammalati
dell’ospedale di Borama, sentono uno sparo: lei è a terra, riversa nel suo
sangue. I tentativi per salvarla non servono a nulla: muore alle 21.15. Ha 60
anni, vissuti per quelli che chiamava “brandelli di umanità ferita”.
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