Un dono di luce dal deserto – Il Beato Charles de Foucauld (Cammini di santità #20)


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Domani comincia l’Avvento per il Rito Romano, mentre per il Rito Ambrosiano è già la terza domenica. Come ogni anno, inizierò la Corona d’Avvento dei Testimoni, dove abbino a ogni settimana un personaggio. Prima, però, voglio riprendere l’articolo appena pubblicato sulla rivista Sacro Cuore VIVERE.
Due anni fa esatti avevo raccontato qui il mio legame col Beato Charles de Foucauld, in occasione del primo centenario della sua morte. Credevo di aver detto tutto, ma mi sbagliavo: è stato necessario che il direttore della rivista mi chiedesse di scrivere di lui perché me ne rendessi conto.
Per la prima stesura, mi ero rifatta alla scheda che avevo scritto per santiebeati, ma avevo preso in prestito un altro libro, oltre a quello che già avevo, per approfondire la spiritualità foucauldiana. Ho quindi chiesto aiuto al curatore di quel testo, che mi ha dato qualche suggerimento. Tuttavia, quando ho mandato il pezzo al direttore, mi sono sentita rivolgere un rimprovero: era come se avessi ingurgitato informazioni senza digerirle. In più, mancavano alcune informazioni che lui riteneva più importanti.
Ho consultato altri testi, ma non riuscivo proprio a produrre qualcosa di originale. Ero un po’ abbattuta, quando ho incontrato in biblioteca un prete che conosco, il quale mi ha incoraggiata: non potevo sentirmi frenare dalla caratura del personaggio, io che avevo scritto di tante altre figure. Il colloquio mi fece trovare l’ispirazione, ma il resto è stato causato dai fatti della vita.
Alcune questioni in famiglia, non gravi però, mi hanno condotta a occuparmi maggiormente delle faccende domestiche, motivo per cui anche le mie pubblicazioni si sono fatte più rade. In quel modo, mi sono resa conto che quella era la “Nazareth” in cui ero chiamata a vivere. Al mio articolo, quindi, mancava l’immedesimazione col personaggio, quella stessa che avevo afferrato, in maniera analoga, scrivendo di santa Teresa Benedetta della Croce.
Un’ultima revisione, poi ho mandato l’e-mail con l’allegato. Mi sono profondamente commossa quando il direttore, rispondendo, ha dichiarato che quello era il miglior contributo che avessi mai prodotto per lui. Non solo: mi ha anche confermato quanto mi aveva anticipato, cioè che la mia collaborazione retribuita proseguirà almeno per l’anno prossimo, anche perché i lettori gradiscono i miei profilini.
Ecco quindi l’articolo. Spero tanto che piaccia anche a voi, sia che conosciate già il Beato Charles, sia che non abbiate (ma mi sembra difficile) mai sentito parlare di lui.

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Tamanrasset, nel deserto del Sahara, alla fine di gennaio 1907. Un uomo, vestito di un abito bianco come quello di un religioso, si rigira sul suo letto spoglio. È prostrato, affamato e assetato, senza un briciolo di forza.
All’improvviso, nella sua dimora scivolano alcune figure, vestite di blu. Il malato si alza a fatica, mentre qualcuno gli porge del latte. Qualcun altro gli spiega che hanno percorso quattro chilometri per trovare qualche capra da mungere: nella regione, da tre anni, imperversa la carestia. Il religioso credeva di essere arrivato in quel luogo per annunciare il Vangelo ai più poveri, ma ora si ritrova a essere salvato dalla loro fraternità.
Gli uomini in blu fanno parte del popolo tuareg, sono musulmani, mentre lo strano religioso, nelle sue lettere, si firma “fratel Charles di Gesù”. In realtà è francese e proviene da una famiglia nobile: il suo nome completo è Charles-Eugène de Foucauld. Ma come mai è finito in quel deserto?

Un giovane spensierato

Charles è nato a Strasburgo, in Alsazia, il 15 settembre 1858, secondo di quattro figli. Perde entrambi i genitori e viene affidato, insieme alla sorella minore Marie, al nonno materno. L’ambiente scolastico in cui è inserito lo porta a non credere più in Dio: a causa delle correnti materialistiche che pervadono la Francia del tempo, dubita di quanto non sia direttamente riconducibile a ciò che vede o sente.
Alla morte del nonno eredita una cospicua fortuna, anche perché, per fargli piacere, si è iscritto all’accademia militare di Saint-Cyr. A vent’anni, allievo della scuola di cavalleria di Saumur, s’impegna più nel gustare cibi raffinati che nell’addestramento: è ai limiti dell’obesità, come testimoniano le fotografie dell’epoca.
Promosso sottotenente, anche se con voti molto bassi, viene destinato al 4° Squadrone Ussari e inviato in Algeria, per sedare la rivolta anti-francese. Per motivi disciplinari, viene praticamente radiato dall’esercito: tra l’altro, ha fatto credere che la sua amante sia la sua legittima consorte. Con lei si trasferisce nella cittadina termale di Évian, dove, leggendo il giornale, apprende una notizia che lo lascia scosso: il suo squadrone è rimasto coinvolto in alcuni scontri coi rivoltosi algerini. Chiede quindi di essere reintegrato e, in breve tempo, diventa uno dei combattenti più valorosi.

Alla scoperta di Dio, cercando l’“ultimo posto”

Dopo la campagna nel sud dell’Algeria, Charles chiede di essere congedato. La vita di caserma non fa più per lui, mentre l’inquietudine che sente non accenna a placarsi. In compenso, sente un certo fascino per il mondo arabo, specie per quella parte che è ancora da esplorare.
Così, travestito da rabbino ebreo, comincia la sua indagine: di nascosto prende appunti e osserva le popolazioni musulmane del luogo. Quelle persone lo accolgono e più di una volta gli salvano la vita, perché per loro l’ospite è sacro. In più, il giovane visconte si sente turbato al vederle pregare più volte al giorno.
Anche lui, tornato in Francia, riprende a pregare. Sta in chiesa per ore, ripetendo continuamente: «Dio, se esisti, fa’ che ti conosca». L’esempio di Marie de Bondy, sua cugina, contribuisce a orientarlo verso la fede cattolica. Il momento decisivo avviene alla fine dell’ottobre 1886: entrato nella chiesa di Sant’Agostino a Parigi per parlare con l’abbé Henri Huvelin, il parroco e direttore spirituale della cugina, Charles riceve da lui l’ordine di confessarsi e di ricevere la Comunione subito, senza nessuna forma di preparazione.
Il sacerdote l’invita poi a compiere un pellegrinaggio in Terra Santa. Charles acconsente: i dieci giorni che trascorre a Nazaret lo cambiano nel profondo. Capisce che Gesù ha trascorso trent’anni in quel villaggio pressoché ignoto, in obbedienza a Maria e Giuseppe. Decide quindi di cercare un ordine religioso che gli consenta di «occupare l’ultimo posto», il più umile e sconosciuto, proprio come Gesù a Nazaret.
Inizialmente gli sembra che l’ordine dei Trappisti faccia al caso suo: il 15 gennaio 1890 entra come postulante nel monastero di Nostra Signora delle Nevi, nella regione montuosa dell’Ardèche, in Francia. Qualche mese più tardi passa alla comunità di Akbès, in Siria: professa i voti semplici nel 1892, diventando fra Maria Alberico. Neanche la vita in monastero, però, gli sembra abbastanza radicale.

L’apostolato della bontà

Ottenuta la dispensa dai voti, Charles si ritira a Nazaret. Per tre anni è ortolano del convento delle Clarisse, ma appare molto più incline alla preghiera. Ordinato sacerdote il 9 giugno 1901, nel Seminario di Viviers, si stabilisce poi a Beni-Abbès, accolto dal Prefetto apostolico, monsignor Charles Guérin. Non è più un pingue ufficiale, ma quasi un monaco. La sua solitudine viene spesso interrotta dalla popolazione del luogo, che viene a domandargli cibo e medicine.
Accade lo stesso a Tamanrasset, dove si trasferisce nel 1905. In quel luogo del deserto del Sahara, alterna preghiera e lavoro: in particolare, raccoglie poesie e racconti del popolo tuareg e compila un dizionario. Non lo fa più per ottenere onori e fama, come quando scrisse la «Ricognizione in Marocco», frutto delle sue ricerche. La sua aspirazione più grande, ora, è un’altra: «Vorrei essere abbastanza buono perché si dica: “Se tale è il servo, com’è dunque il Padrone?”».
«Mio Dio, come sei buono!» è del resto la sua esclamazione ricorrente, nelle meditazioni sulla Parola di Dio che scrive davanti al Santissimo Sacramento. L’Eucaristia è il solo motore della sua azione silenziosa, come Gesù è il suo “Modello unico”. Fratel Charles riserva poi una particolare attenzione su quel poco che i Vangeli dicono della vita di Gesù prima del ministero, trascorsa nella totale obbedienza ai genitori terreni e nell’abbandono al Padre nei cieli. Nazaret, per lui, ora è uno stile di vita, che si può condurre dovunque.

Un’eredità sorprendente

Dopo oltre tredici anni nel deserto algerino, fratel Charles non ottiene nemmeno una conversione. Più di una volta scrive una Regola per i futuri fratelli che volessero condividere il suo stile, ma non arriva nessuno. Di passaggio per la Francia, riesce solo a creare l’Unione dei Fratelli e delle Sorelle del Cuore di Gesù, che ha lo scopo di «produrre un ritorno all’Evangelo nella vita delle persone di tutte le condizioni; produrre un accrescimento d’amore alla santa Eucaristia; produrre uno slancio verso l’evangelizzazione degli infedeli». Conta quarantanove iscritti, lui compreso.
Il 1° dicembre 1916, verso sera, fratel Charles viene aggredito dopo aver aperto la porta di casa sua. Alcuni uomini entrano e fanno razzia dei suoi pochi averi. L’arrivo di alcuni soldati impaurisce il ragazzo che lo ha in custodia: spara e, senza volerlo, lo colpisce a morte.
Sul momento la vita di fratel Charles sembra essere stata inutile e sprecata. Dopo qualche anno, anche grazie alla diffusione della sua prima biografia, cominciano a sorgere gruppi variamente ispirati agli insegnamenti che ha lasciato. Nel 1933 René Voillaume dà inizio ai Piccoli Fratelli di Gesù, seguiti, cinque anni dopo, dalle Piccole Sorelle di Gesù, fondate da Magdeleine Hutin. In tutto, alle sue Regole si rifanno dodici congregazioni religiose.
Secondo il teologo Pierangelo Sequeri, Charles de Foucauld «è un dono dato alla Chiesa in un momento in cui non poteva adeguatamente riceverlo e adesso, a distanza, scopriamo che è un dono dato a lui per la Chiesa, ma più per la Chiesa di adesso che per quella di allora». Questo dono è stato riconosciuto con la sua beatificazione, avvenuta il 13 novembre 2005.
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Originariamente pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 7 (dicembre 2018), pp. 16-17 (visualizzabile qui)

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