Don Vincenzo Romano, con la stessa carità che mosse Gesù a farsi uomo (Corona d’Avvento dei Testimoni 2018 # 3)
Ritratto di san Vincenzo Romano
conservato
nella sua casa natale in via Piscopia a Torre del Greco,
usato per l’arazzo
della canonizzazione
(per gentile concessione di don Giosuè Lombardo)
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Chi è?
Vincenzo Romano (al Battesimo, Domenico
Vincenzo Michele) nacque a Torre del Greco, in provincia e diocesi di Napoli, il
3 giugno 1751, ultimo dei sei figli di Nicola Romano e Grazia Rivieccio.
A quattordici anni domandò di poter entrare
nel Seminario Diocesano di Napoli, riservato agli aspiranti sacerdoti al di
fuori di Napoli città, ma inizialmente fu respinto perché c’erano già molti
suoi compaesani. Alla fine fu ammesso a partire dall’anno scolastico 1765-’66.
Venne ordinato sacerdote il 10 giugno 1775.
Sin dagli inizi del ministero, don Vincenzo
visse a Torre del Greco, con uno zelo tale da meritarsi il soprannome di
“prevete faticatore” (“sacerdote lavoratore”, in dialetto). Assistette la
popolazione anche dopo l’eruzione del Vesuvio del 15 giugno 1794, che distrusse
gran parte della città e la chiesa parrocchiale di Santa Croce.
Nel 1796 fu nominato economo curato di Santa
Croce e, il 28 dicembre 1799, ne divenne preposito curato, ovvero parroco.
Inizialmente si sentì indegno di tale compito, ma s’impegnò a fondo per il suo
popolo, tramite la predicazione, la catechesi e l’incoraggiamento a frequentare
i Sacramenti. Morì il 20 dicembre 1831, a causa di una polmonite, che aveva debilitato
ancora di più il suo fisico.
Beatificato da san Paolo VI il 17 novembre
1963, è stato canonizzato da papa Francesco il 14 ottobre 2018. La sua memoria
liturgica cade il 29 novembre, giorno in cui inizia la novena dell’Immacolata, alla
quale era molto devoto, perché il giorno della sua nascita al Cielo fa parte
delle ferie prenatalizie.
Cosa c’entra con me?
Come ho più volte raccontato, la mia famiglia
proviene da Napoli: precisamente, mio padre è nato nel quartiere di San
Giovanni a Teduccio, che un tempo era Comune autonomo, mentre mia madre è di
Portici, a otto chilometri dal capoluogo. Ciò nonostante, nessuno dei miei
parenti mi ha mai parlato di don Vincenzo Romano, neppure quelli da parte di
madre: Portici, infatti, dista circa sei chilometri da Torre del Greco.
Penso, comunque, di aver cominciato a
interessarmi a lui proprio durante una mia permanenza al Sud, nelle vacanze
natalizie del 2007, quando ho comprato un libro che lo riguardava. Ammetto che
non lo trovai molto interessante: c’erano troppe digressioni sulla Napoli di
fine ‘700. Di conseguenza, lo lasciai in un armadio della casa della zia che mi
ospita abitualmente in vacanza. Mi accontentai di sapere, circa don Vincenzo,
quello che era scritto in un pieghevole contenuto nel libro, nulla di più.
Non ricordo quando, non doveva essere passato
molto tempo da allora, ma in un bar-pasticceria di Portici ho visto, affissa
dietro il bancone, una sua immaginetta. Ho chiesto di poterla vedere più da
vicino: chi me la diede mi concesse non solo di osservarla bene, ma anche di
potermela tenere.
Diversi anni più tardi, mi è accaduto di
leggere sul sito del quotidiano Avvenire che si era conclusa l’inchiesta
diocesana relativa a un secondo asserito miracolo, preso in esame quindi per la
canonizzazione. Mi domandavo come mai fosse stato possibile riferirlo (ma il
nome del miracolato era stato taciuto), dato che uno dei criteri che mi sono
data come “agiografa moderna” è quello di non parlare di miracoli se non a beatificazione
o canonizzazione avvenuta, o se almeno sono stati riconosciuti come tali con
l’apposito decreto.
A parte questo, speravo proprio che quella guarigione
eccezionale venisse riconosciuta come miracolosa, così Napoli sarebbe stata
arricchita da un ulteriore Santo, anche se, negli ultimi dieci anni, ne aveva
già visti parecchi (nel 2009 Caterina Volpicelli, nel 2014 padre Ludovico da Casoria, nel 2015 madre Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, per non
parlare di Nunzio Sulprizio, il cui miracolo per la canonizzazione è stato
approvato dopo quello di don Vincenzo).
La notizia del decreto che confermava le
tappe precedenti dell’iter sul miracolo, di conseguenza, mi ha fatto pensare
che avrei dovuto tirare fuori da quell’armadio il libro che avevo accantonato.
Il problema era che non ricordavo il punto esatto dove l’avevo sistemato e che,
in ogni caso, non sarei tornata a Portici prima dello scorso mese di agosto.
Intanto, però, la scheda biografica del
futuro Santo per l’Enciclopedia dei
Santi, Beati e Testimoni era in parte da aggiornare, in parte da correggere
e ampliare. Partendo da quanto era comparso sul settimanale della diocesi di
Napoli, Nuova Stagione, e
dall’articolo di Avvenire sopra
menzionato, ho provato a rielaborare il testo precedente, ma sentivo che
mancava ancora qualcosa.
La persona che poteva aiutarmi era senz’altro
il parroco di Santa Croce: ovviamente non don Vincenzo, ma il suo attuale
successore, don Giosuè Lombardo. In modo eccezionalmente rapido rispetto a
quanto sia abituata, ho ricevuto risposta e ho proceduto all’ampliamento.
Inoltre, ho provato a chiedere ai miei parenti di cercare il libro che avevo
comprato, ma alla fine ho preferito aspettare di andare io.
Così, dopo il viaggio musicale a Roma per
l’incontro dei giovani italiani con papa Francesco, una delle prime cose
che ho fatto appena sono arrivata a casa della zia è stata aprire l’armadio e
mettermi a cercare il volume. Sembrava proprio non voler venire fuori, ma, come
al solito, dovevo solo aprire bene gli occhi.
Ho iniziato la lettura (terminandola solo a
ridosso della canonizzazione), ma intanto volevo approfittare della mia
permanenza per andare a Torre del Greco; non da sola, però, perché non so
ancora muovermi bene coi mezzi pubblici lì. Quando ero sul punto di
organizzarmi, il crollo del ponte Morandi a Genova e la morte di quattro
giovani nativi proprio di Torre frenò i preparativi. Ancora qualche giorno di
attesa, poi, il 29 agosto scorso, ho visitato insieme a mia madre la basilica
di Santa Croce, dov’erano e sono venerate le spoglie di don Vincenzo, come
riferivo qui. Purtroppo, a causa dello scarso preavviso, non abbiamo
potuto vedere la sua casa natale.
Quest’anno non potrò andare a Portici per le
vacanze: un’altra mia zia ha avuto un incidente stradale e deve ancora
riprendersi del tutto (ma il fatto che sia viva è, per me, una grazia
specialissima), quindi resterò a farle compagnia insieme ai miei genitori. Se
invece avessimo potuto partire, avrei supplicato di poter tornare a Torre: mi
sa tanto che anche il Natale, come la solennità dell’Immacolata, è vissuto in
maniera intensissima.
Un altro sacerdote che mi ha aiutata
tantissimo a conoscere don Vincenzo è don Francesco Rivieccio, già parroco a
Santa Croce, poi postulatore della causa, nonché esperto conoscitore della
santità napoletana. È stato ospite della trasmissione Siamo Noi di TV 2000 del 22 maggio 2018 e ho avuto la possibilità di
parlargli personalmente poco prima di tornare a Milano quest’estate.
Il suo Vangelo
Il modo in cui san Vincenzo ha incarnato il
Vangelo è strettamente collegato alla sua città, che non lasciò praticamente
mai. Era un autentico figlio della sua terra, dalla cui religiosità aveva
attinto gli aspetti migliori: un affetto sconfinato verso la Vergine Maria, la
certezza dell’importanza della pietà popolare, l’affidamento a Dio quando le
calamità o le difficoltà della vita in genere fanno sentire il proprio peso.
Insieme a questi aspetti, era consapevole che
il popolo andasse educato nella fede, così da evitare esagerazioni o storture.
Così si spiega la sua insistenza verso la catechesi e la predicazione pubblica,
al pari della preparazione delle omelie e della scrittura di opuscoli di vario
genere, ma anche della “Messa pratica”, un vero e proprio imparar facendo
applicato alla liturgia.
Tra le sue opere edite c’è quella intitolata Il Santissimo Rosario di Maria Vergine è
canale di grazie, con quindici meditazioni per i Misteri del Rosario in
vigore all’epoca. Don Giosuè, che non finirò di ringraziare, mi ha suggerito di
citare la meditazione sul terzo Mistero della Gioia, la nascita di Gesù a
Betlemme, come particolarmente indicata per far rientrare il suo santo
predecessore nella Corona d’Avvento dei Testimoni di quest’anno.
Il Figlio di Dio discende dal Cielo alla mangiatoia per
portare noi al cielo. E tu perché cammini per la via dell’inferno? Che pazzia!
Via, su prega quel Bambino che ti porti al cielo. La carità ha tirato il Figlio
di Dio in terra per innalzare l’uomo dalla terra al cielo.
È solo un piccolo estratto, ma fa capire
benissimo come don Vincenzo avesse preso quella stessa carità come modello per
la propria azione pastorale.
Per saperne di più
Domenico
Panariello, San Vincenzo Romano – “Lu
prevete faticatore”, Velar 2018, pp. 64, € 6,00.
L’unica biografia attualmente in commercio,
uscita in occasione della canonizzazione.
Su Internet
Pagina Facebook ufficiale, gestita dalla
parrocchia di Santa Croce
Scheda biografica sull’Enciclopedia dei Santi, Beati e Testimoni
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