Sulla scia di... don Vincenzo Romano e Nunzio Sulprizio
Edicola votiva in piazza Santa Croce a Torre del Greco |
Tra meno di una settimana si svolgeranno, a
Roma, le canonizzazioni di sette Beati. Mi ero già espressa sulla questione, sperando che quelli meno noti lo diventino di più, per essere elevati
al massimo onore degli altari insieme a papa Paolo VI e a monsignor Oscar Arnulfo Romero.
Due di essi sono collegati alle terre napoletane:
sono don Vincenzo Romano, parroco per oltre trent’anni di Santa Croce a Torre
del Greco, e Nunzio Sulprizio, un giovane che si trovò a Napoli per ragioni di
salute, ma era abruzzese di nascita.
Durante le mie ultime vacanze estive, ho
pensato di andare a trovarli, proprio come spesso faccio coi miei parenti al
Sud. Se da Nunzio avevo fatto una breve visita il 17 agosto 2017, da don
Vincenzo non ero mai stata. Così, per una volta, ho saltato una mattina in
spiaggia e, accompagnata da mia madre, mi sono diretta a Torre del Greco. Dal
secondo prossimo Santo, invece, sono tornata un giorno prima di ripartire per
Milano.
Dimenticavo: tutte le foto del post sono opera mia.
Mercoledì 29 agosto
Ore 10.45:
Lungo i vicoli di Torre del Greco
Torre del Greco è comodamente raggiungibile
da Portici, il luogo delle mie vacanze, sia con la Circumvesuviana, sia con i
treni delle Ferrovie dello Stato. Io e mia madre abbiamo scelto il secondo
mezzo, così lei si sarebbe affaticata di meno. Certo, avrei potuto muovermi da
sola, ma non volevo far preoccupare né lei, che però è abituata ai miei
spostamenti quando sono a casa, né i parenti che ci ospitavano.
Dopo neanche tre minuti di viaggio, siamo
arrivate a destinazione. Per raggiungere Santa Croce ci siamo fatte aiutare un
po’ dal navigatore del mio cellulare, un po’ dalle indicazioni fornite dalla
gente del posto e, in misura minore, dai ricordi di gioventù di mia madre.
Ci siamo quindi incamminate per un vicolo non
troppo stretto, ma in notevole pendenza. Mentre camminavo, mi chiedevo quante
volte don Vincenzo avesse percorso quelle stesse strade cercando i suoi
parrocchiani, consolando madri e mogli dei marinai oppure invitando, con la
“sciabica” (il suo particolare stile di predicazione), a partecipare alla Messa.
Al termine dell’ultimo tratto, ci siamo trovate davanti la bianca facciata di Santa Croce e il campanile, che è l’unico elemento superstite della vecchia chiesa, distrutta dall’eruzione del 1794. Non erano previste funzioni a quell’ora, così abbiamo semplicemente girato per le navate; dopo aver salutato Gesù nel Tabernacolo, ovviamente.
Ore
10.49: don Vincenzo benedice la sua città
L’urna con i resti mortali del “parroco
santo” di Torre (a breve senza virgolette!) si trovava nel transetto sinistro,
ai piedi dell’altare del Sacro Cuore. Mi sono inginocchiata e ho pregato per
tutti i sacerdoti napoletani che conosco, specie per il parroco della mia
parrocchia delle vacanze. Don Vincenzo, infatti, è il patrono di tutti i
sacerdoti delle diocesi campane, non solo di quelli che sono parroci.
Ora che ci penso, credo che sia il secondo
parroco del clero secolare che viene dichiarato Santo, e il primo in Italia, che
nel coro della propria vita non ha fondato congregazioni religiose. San
Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars, ha istituito alcuni organismi in
parrocchia, ma non ha mai raggruppato ragazze e donne desiderose di consacrarsi
a Dio, come invece accadde, per parlare di due personaggi di cui ho scritto
qui, a san Vincenzo Grossi o al Beato Giustino Maria Russolillo, parroci anche
loro.
Mentre visitavo la chiesa, ho scorto un
giovane operaio che ritinteggiava le pareti di una cappella. Mi ha fatto
pensare che Torre del Greco stesse cercando di prepararsi al meglio alla
canonizzazione, mostrando il suo volto positivo, anche se segnato da eventi
tristi, non ultima la morte di quattro suoi giovani nel crollo del ponte
Morandi a Genova. Don Vincenzo, per quel che so, si è impegnato a fondo perché
nella sua parrocchia non ci fossero ingiustizie, ma anche perché i fedeli
comprendessero i riti della Messa: le due cose non si escludevano.
Ore
11.05: Dueddue santini, per favore
Compiuti i miei atti di devozione, ho chiesto
a mia madre di aspettarmi nella navata centrale, poi mi sono spostata in
sacrestia per procurarmi qualche immaginetta, sia per la mia collezione, sia
per contribuire a far conoscere don Vincenzo anche dalle mie parti (dico sempre
così, ma spesso trovo difficoltà a lasciare santini nelle chiese: ho paura,
infatti, che vadano buttati via).
Speravo anche d’incrociare don Giosuè, l’attuale
parroco di Santa Croce: volevo ringraziarlo per l’aiuto che mi ha fornito nel
rivedere il profilo biografico di don Vincenzo per santiebeati.it. Un giovane volontario molto gentile mi ha risposto
che non c’era, ma che gli avrebbe fatto avere i miei saluti. Per immaginette e
affini, invece, avrei dovuto rivolgermi a un tal Gerardo, che è arrivato subito
dopo.
Consapevole che presto sarebbero stati
stampati dei nuovi ricordini con la qualifica di “santo”, ne avevo chiesti non
più di due o tre: quando, a Dio piacendo, tornerò dai miei parenti, mi
procurerò quelli nuovi. Il fatto è che a Napoli, quando chiedi di avere
qualcosa in modica quantità, siano cartoline, immaginette o porzioni di cibo,
ne arriva in quantità tanto generosa quanto, a volte, sproporzionata.
Il risultato è che mi sono state date anche parecchie
immagini adesive, quelle che vedete nella foto qui a destra, con la scritta “Beato”. A
ben vedere, basterebbe ritagliare la parte sotto il ritratto di don Vincenzo.
Chissà se gli adesivi non sono stati stampati così apposta?
Il signor Gerardo avrebbe voluto darmi anche
un’immagine in formato poster, non ricordo se già aggiornata o meno, ma ho
declinato l’offerta per ragioni di spazio. Fosse per me, ne avrei incorniciata
una e l’avrei appesa in chiesa, ovviamente dopo la canonizzazione, ma avrei
dovuto domandare prima il permesso del mio parroco.
Mercoledì
5 settembre
Ore
9.35: Ritorno a piazza Dante
Non volevo però tornare a Milano prima di
aver fatto una capatina anche nella chiesa di San Domenico Soriano a Napoli, in
piazza Dante (o, come si dice in modo dialettale, “a piazza Dante”). Lì è venerato il grosso delle reliquie del corpo
dell’ancora per poco Beato Nunzio Sulprizio, insieme ad altri suoi effetti
personali. Questi ultimi sono collocati in alcuni ambienti attigui alla
cappella dov’è esposto l’arazzo usato per la beatificazione.
I volontari presenti, però, non mi hanno
concesso di fotografare né la ricostruzione della stanzetta di Nunzio, coi
mobili d’epoca, né gli abiti da lui indossati. Gli stessi volontari mi hanno
anche precluso l’acquisto di quadretti con la dicitura “San Nunzio Sulprizio”,
affermando che erano solo da esposizione: sarebbe stato possibile comprarli
solo dopo il 14 ottobre.
La ragione per cui volevo tornare lì era che
il parroco di San Domenico Soriano, don Antonio, mi aveva promesso di
controllare la scheda per santiebeati di
Nunzio, della cui causa è il postulatore. L’ho rintracciato prima dell’inizio
della Messa e ho trovato risposta alle domande che mi erano venute leggendo la
piccola biografia scritta da lui, che avevo trovato in un’altra chiesa di
Napoli.
Non ho scelto la data a caso: il 5 di ogni
mese, a San Domenico Soriano, è possibile lucrare l’indulgenza plenaria alle
solite condizioni (Confessione, Comunione, preghiera secondo le intenzioni del
Sommo Pontefice) e, per chi è malato, ricevere l’Unzione degli Infermi.
Ore 10.20:
Come Nunzio, orgogliosi di appartenere al Signore
Almeno ho potuto comprare la medaglietta col volto di Nunzio, circondato dall’aureola come si conviene ai Santi |
nella quale, appoggiandosi al
passo dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi, previsto nella liturgia del
giorno (precisamente 1Cor 3, 1-9), ha spiegato che dobbiamo essere orgogliosi
della nostra appartenenza a Cristo.
Nunzio lo fu, restando fedele alla preghiera
anche quando gli impegni del lavoro come apprendista fabbro occupavano la
maggior parte delle sue giornate. Nel tempo della sua degenza all’Ospedale
degli Incurabili di Napoli, poi, volle cementare la sua appartenenza ricevendo
subito la Prima Comunione (al suo paese si usava aspettare che i comunicandi
avessero quindici anni) e accostandosi all’Eucaristia ogni volta che gli fosse
possibile.
Sognava poi di consacrarsi a Dio e ne avrebbe
anche avuto la possibilità, se non fosse peggiorato in salute. Non emise voti,
almeno pubblici, ma adottò uno stile di vita ancora più sobrio e cominciò a
indossare una sorta di divisa, che è esposta oggi nella sala dei ricordi di cui
scrivevo prima.
Al termine della beatificazione di madre
Maria Crocifissa del Divino Amore, lo scorso 3 giugno, il cardinal Crescenzio
Sepe, arcivescovo di Napoli, aveva commentato che per farsi santi bisogna
venire a Napoli, o comunque esserci vissuti.
L’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ha invece dichiarato recentemente che Milano ora deve impegnarsi a far capire di non essre solo la città della moda e dell’industria, ma anche una città di santi, dato che, anche in questo caso, due dei personaggi la cui canonizzazione è imminente sono a essa collegati: Paolo VI ne fu arcivescovo per otto anni, mentre don Francesco Spinelli, fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda (e, va detto per completezza, figura fondamentale per la nascita delle Suore Sacramentine di Bergamo), è nato proprio lì.
L’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ha invece dichiarato recentemente che Milano ora deve impegnarsi a far capire di non essre solo la città della moda e dell’industria, ma anche una città di santi, dato che, anche in questo caso, due dei personaggi la cui canonizzazione è imminente sono a essa collegati: Paolo VI ne fu arcivescovo per otto anni, mentre don Francesco Spinelli, fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda (e, va detto per completezza, figura fondamentale per la nascita delle Suore Sacramentine di Bergamo), è nato proprio lì.
In quanto napoletana d’origine e ambrosiana
di nascita, sento quindi una doppia responsabilità.
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