Don Vincenzo Grossi, padre e fondatore con gioia

Ritratto ufficiale di don Vincenzo Grossi
usato per i santini della beatificazione
Chi è?

Figlio di Baldassarre Grossi e Maddalena Cappellini, Vincenzo nacque a Pizzighettone, in provincia di Cremona, il 9 marzo 1845. Avvertì la vocazione al sacerdozio, ma dovette attendere prima di entrare in Seminario per aiutare il padre nella sua professione di mugnaio. Il 4 novembre 1864 fu ammesso nel Seminario di Cremona: il 22 maggio 1869 fu ordinato sacerdote. Nel 1873 divenne parroco a Regona di Pizzighettone e dal 1883 fino alla morte resse la parrocchia di Vicobellignano.
Nel corso della sua esperienza pastorale maturò una speciale attenzione verso le ragazze di campagna: così, con alcune giovani cui faceva da direttore spirituale, iniziò l’istituto delle Figlie dell’Oratorio, ponendolo sotto la protezione di san Filippo Neri. Fu anche predicatore di missioni al popolo e dimostrò notevole carità verso i non cattolici, per la sua apertura verso i metodisti che risiedevano nel territorio di Vicobellignano. Morì a Lodi il 7 novembre 1917, a causa di una peritonite fulminante, pronunciando le parole: «La via è aperta, bisogna andare».
Il processo diocesano per l’accertamento delle sue virtù eroiche è stato aperto a Lodi nel 1947. Fu quindi dichiarato Venerabile il 6 maggio 1969. È stato beatificato dal Beato Paolo VI il 1° novembre dell’Anno Santo 1975. Sarà canonizzato questa domenica, 18 ottobre 2015, da papa Francesco, a Roma. I suoi resti mortali riposano nella cappella della Casa madre delle Figlie dell’Oratorio, in via Paolo Gorini 27 a Lodi.


Cosa c’entra con me?

Il primissimo contatto che ho avuto con don Vincenzo, o meglio, con le sue suore, è avvenuto quasi quindici anni fa, durante un campo estivo in montagna. Tra i partecipanti di un oratorio vicino al mio c’era una suora di nazionalità argentina, che mi disse di appartenere alle Figlie dell’Oratorio. Il nome mi stupì non poco: spesso gli istituti o le congregazioni hanno denominazioni lunghissime, sintetizzate in sigle che assomigliano quasi a un codice fiscale. Lì, invece, in tre parole mi sembrava fosse detto tutto. Dovevano trascorrere otto anni perché dovessi approfondire la conoscenza del suo insegnamento diventando partecipe di una storia che sembra uscita da qualche agiografia vecchio stile, ma in realtà decisamente attuale.
Nei miei primi tempi di adesione al Gruppo Shekinah avevo familiarizzato con una ragazza, prossima a ricevere il Battesimo. Nel mese di giugno mi domandò di accompagnarla a visitare alcune chiese e le dissi di sì. Un pomeriggio la nostra meta fu Santa Maria alla Fontana a Milano, ma non eravamo sole: con noi c’era una sua amica, Daniela. Dopo aver visitato l’edificio e il parco circostante, ricordo che avevo parlato un po’ con lei, che credette di aver notato in me i segni di una probabile vocazione religiosa.
Prima di andar via, mi regalò una medaglietta con l’immagine dell’allora Beato Vincenzo Grossi, dicendomi che era il fondatore delle Figlie dell’Oratorio e facendomi tornare alla mente l’incontro con quella religiosa. Ho accettato volentieri il dono, domandandomi allo stesso tempo come mai conoscesse il personaggio raffigurato: evidentemente, doveva venire da una parrocchia dove le suore in questione avevano una comunità, o gli era particolarmente devota o, addirittura, poteva essere un’aspirante di quell’istituto. Tuttavia, per riservatezza, non le feci nessuna domanda a riguardo. Alcuni mesi dopo, mi diede lei stessa la risposta, invitando me e le altre amiche a una festa di saluto e a un momento di preghiera nella cappella del pensionato femminile dove alloggiava: sarebbe partita per iniziare un discernimento più determinato tra le Figlie di don Grossi, che di quel luogo si occupano tuttora.
Ogni tanto domandavo sue notizie alla sua amica, ricevendo risposte positive. Nel 2009, improvvisamente, non furono più tanto buone: mi riferì che lei era stata ricoverata all’ospedale Sacco di Milano, per una recrudescenza del morbo di Crohn, di cui aveva sofferto tempo prima. Mi sono tremendamente dispiaciuta per lei: sembrava che tutte le storie di ragazze di mia conoscenza e avviate alla consacrazione religiosa, inclusa quella che voleva entrare tra le suore Vocazioniste (vedi qui), andassero a finire male, forse proprio per causa mia.
Non mi restava che una cosa da fare: pregare e far pregare per lei, magari sperando in un miracolo, quello che avrebbe permesso di canonizzare il Beato Vincenzo. Per questo motivo, mi sono fatta dare da una suora del pensionato dove Daniela aveva alloggiato un bel pacco di santini, da distribuire con la promessa d’invocarlo per lei. Così, tra una novena e uno spiraglio positivo, un messaggino con l’aggiornamento sulle sue condizioni e l’assottigliarsi del pacco d’immaginette, arrivò finalmente un miglioramento, finché Daniela non fu dimessa.
Il 7 novembre 2010 ero tra le persone che affollavano la cappella della casa madre di Lodi, felicissima perché Daniela stava per iniziare il postulandato. In quell’occasione ho conosciuto don Giovanni, uno dei futuri sacerdoti della classe 2012 della mia diocesi, che aveva raccomandato a sua volta di curarsi di lei a un suo amico e compagno di studi, inviato a svolgere il tirocinio di pastorale speciale proprio all’ospedale dove lei era stata ricoverata.
Negli anni del postulandato e del noviziato ho cercato di non disturbare troppo Daniela, accontentandomi di scriverle delle lettere (la posta elettronica le era preclusa) solo a Natale, Pasqua e durante l’estate. Nei suoi messaggi traspariva sempre di più la felicità per aver trovato il luogo dove amare di più il Signore e i fratelli, particolarmente i giovani. Due anni fa, sempre nella memoria liturgica del suo fondatore, ha professato per la prima volta i consigli evangelici.
La gioia per averla vista finalmente suora è diventata ancora più grande quando, lo scorso 6 maggio, ho visto tra i decreti della Congregazione per le Cause dei Santi il nome di don Grossi, per un miracolo riconosciuto per sua intercessione. Immediatamente ho scritto via Facebook a suor Daniela, entusiasta più che mai.
Nel frattempo, mi sono accorta che la scheda del futuro santo su santiebeati era troppo breve e necessitava di qualche aggiornamento. In breve, ho finito col riscriverla daccapo, ma sentivo il bisogno di farmi controllare quanto avevo scritto, magari da una persona qualificata. Ho quindi contattato la storiografa ufficiale dell’istituto, ricevendo consigli e correzioni. Qualcuno potrebbe dirmi di essermi cacciata in una fatica inutile: per me ha costituito, invece, la possibilità di restituire quanto, per mezzo della mia amica religiosa, avevo ricevuto. 
Ma mi sono dilungata troppo sulla storia di suor Daniela: per compensare, ecco un interessante filmato sul suo fondatore, andato in onda su Telepace lo scorso 6 ottobre nella rubrica Laus, notiziario della diocesi di Lodi.

Il suo Vangelo

Tornando più direttamente a san Vincenzo Grossi, il lavoro di approfondimento necessario per scrivere la sua scheda mi ha permesso di affrontare una figura purtroppo poco nota, che con la canonizzazione spero sia messa ancor più in luce.
Il Vangelo da lui incarnato è sicuramente quello della cura paterna, esercitata in primo luogo nel ministero parrocchiale. Molti testimoni hanno riferito delle sue soste in preghiera davanti al Tabernacolo, come pure delle sue omelie convincenti, originate da ore di meditazione e studio. La fondazione delle Figlie dell’Oratorio è venuta di conseguenza, oltre che per riparare e corrispondere al volere di Dio, ossia che sacerdoti e popolo siano santi insieme, ciascuno nei propri ruoli specifici. Tutto però senza pesantezza, ma con quella gioia genuina cui dava il nome di “giovialità”, appresa dal suo grande modello san Filippo Neri. Così poteva dare sfogo all’amore che gli scoppiava dentro e che invitava a vivere anche ai suoi parrocchiani:
Il nostro cuore, quando è pieno d’amore di Dio, non sa cosa farne degli altri amori. Capite? All’opera, dunque!
Oltre a quest’espressione, credo sia decisamente attuale il suo ultimo pensiero, che riferivo nel paragrafo iniziale. Tradizionalmente viene inteso, dalle sue religiose, come un invito ad incamminarsi lungo le strade del mondo. Personalmente, però, credo che forse don Vincenzo parlasse rivolgendosi a sé stesso: la strada per il Paradiso era aperta e a lui, benché le suore al suo capezzale pregassero che restasse a guidarle, non restava che percorrerla. Ciò non toglie che l’interpretazione tradizionale non abbia senso specie oggi, riletta come quell’ “uscire” tante volte raccomandato da papa Francesco.
Ora che il suo esempio è ufficialmente valido non solo per l’istituto che aveva ideato, ma per la Chiesa universale, mi sento di proporlo anzitutto ai sacerdoti che conosco e ai giovani che si preparano per quel ministero, incluso uno che, per una decisione che trovo curiosa e provvidenziale al tempo stesso, è stato destinato in una delle due parrocchie della mia città dove le Figlie dell’Oratorio hanno casa.

Per saperne di più

Massimiliano Taroni, Beato Vincenzo Grossi – Parroco e fondatore delle Figlie dell’Oratorio, Velar-Elledici 2013, pp. 48, € 3,50.
Un’introduzione divulgativa alla sua storia, per chi proprio non la conoscesse.

Rita Bonfrate, Ecco, io e i figli che Dio mi ha dato. La paternità spirituale in don Vincenzo Grossi, San Paolo 2013, pp. 370, € 22,00.
Uno studio più scientifico e documentato, che si concentra su come don Vincenzo abbia anzitutto vissuto la paternità di Dio e l’abbia poi incarnata come sacerdote, parroco e guida delle suore.

Su Internet

Sito ufficiale delle Figlie dell’Oratorio
Sito di Villa Immacolata, casa di esercizi spirituali a Castelveccana (VA)

Commenti

  1. Grande,grande davvero caro Don Vincenzo:ti prego sempre e non dico altro...

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