Accanto al suo gregge fino alla fine - Il Servo di Dio don Elia Comini (Cammini di santità #18)
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A
settembre, per la rivista Sacro Cuore
VIVERE, dell’Opera Salesiana del Sacro Cuore a Bologna, mi sono occupata del
Servo di Dio don Elia Comini, salesiano. Il suo nome non mi era sconosciuto, dato che
l’avevo visto in altre pubblicazioni salesiane. In più, visitando una chiesa,
avevo trovato un libro su padre Martino Capelli, il sacerdote dehoniano che fu
catturato e ucciso con lui.
Quando
il direttore della rivista mi ha chiesto di scrivere di lui, mi domandavo come
poter reperire altre informazioni sulla sua storia prima della cattura, fermo
restando il principio per cui devo concentrarmi sugli aspetti biografici solo
se mi aiutano a ricostruire la testimonianza offerta dal personaggio di cui
scrivo. Provvidenzialmente, il direttore mi ha spedito un libro ricco di
testimonianze, che conteneva anche parte degli scritti di don Elia.
Avevo
iniziato a leggerlo da poco, quando mi è capitato di smarrirlo. Non essendo
reperibile nelle librerie, non sapevo più dove cercarlo. Ho ricostruito
mentalmente i miei spostamenti della giornata, quando mi è venuto in mente dove
si trovasse: l’avevo infilato per sbaglio nel sacchetto con la fornitura di
particole per la chiesa dov’è viceparroco il mio direttore spirituale, che ho
subito allertato per chiedergli di verificare.
Alla
fine sono andata di persona a recuperarlo, visti i tempi stretti per stendere
il pezzo. Quando il don mi ha vista arrivare, ho elevato in alto il volume,
quasi come quando, durante le celebrazioni più solenni, viene portato in
processione l’Evangeliario. Quel piccolo incidente mi ha insegnato due lezioni:
la prima, che devo stare più attenta a dove lascio i miei libri; la seconda,
ancor più importante, che la vita di don Elia è stata davvero Vangelo vissuto e
Pane donato per i fratelli. Non mi restava, dunque, che rendere a lui un buon
servizio.
Avevo
anche un dubbio di non poco conto: come mai le cause di don Elia e padre
Martino sono state avviate per l’accertamento delle virtù eroiche, anche se,
nelle rispettive congregazioni e non solo, entrambi hanno fama di martirio? Lo stesso
direttore mi ha fornito la risposta tramite posta elettronica, così l’ho
riportata in chiusura del pezzo.
* * *
Salvaro,
sull’Appennino bolognese, 29 settembre 1944. Due sacerdoti escono dalla chiesa
parrocchiale: sono don Elia Comini, dei Salesiani di Don Bosco, e padre Martino
Capelli, dei Sacerdoti del Sacro Cuore, detti Dehoniani. I fedeli cercano di
fermarli, ma don Elia sente di dover andare dove c’è più bisogno di lui e
aggiunge: «Pregate per me, non lasciatemi solo». Poi si avvia, insieme
all’altro sacerdote: portano con loro l’Olio Santo e l’Eucaristia in forma di
Viatico. Percorrono il sentiero di montagna che porta alla cascina Creda: lì i
militari tedeschi hanno ucciso settanta persone, compresi anziani e bambini.
Non
fanno neanche in tempo ad arrivare, perché i soldati tedeschi li arrestano,
convinti che abbiano collaborato con i partigiani. È una situazione terribile
anche per i tedeschi che non si sentono più sicuri e agiscono con spirito di
odio e di vendetta senza guardare in faccia nessuno. Ma facciamo un passo
indietro.
Innamorato della vocazione salesiana
Don
Elia nasce a Calvenzano, in provincia di Bologna, il 7 maggio 1910.
A
quattro anni si trasferisce con la famiglia a Salvaro, dove conosce il parroco,
monsignor Fidenzio Mellini. Il sacerdote si accorge subito del carattere
disponibile e dell’intelligenza pronta del bambino, quindi pensa di mandarlo a
studiare dai Salesiani. Lui stesso aveva ipotizzato di entrare tra le loro
fila, ma il fondatore san Giovanni Bosco, che aveva conosciuto durante il
servizio militare, l’aveva dissuaso.
Elia
parte per il Collegio salesiano di Finale Emilia nel gennaio 1924, ma un anno
dopo, il 1° ottobre 1925, inizia il noviziato a Castel de’ Britti (BO). Emette
la prima professione religiosa il 3 ottobre 1926, poi studia Filosofia a
Torino-Valsalice, dove inizia a prepararsi con attenzione al tirocinio pratico
nelle varie case salesiane.
Sul
diario che inizia in quel periodo dichiara di voler «conoscere lo spirito di
Don Bosco: allegria, confidenza, onesta libertà, condiscendenza, tenerezza
sentita e indulgente, spirito di famiglia, dolcezza nel modo (e nei mezzi),
vigilanza serena e continua; unione con Dio».
L’8
maggio 1931, a 21 anni compiuti, Elia professa i voti perpetui. Per lui sono lo
«spirituale sposalizio» col Signore; si sente sostenuto dalla Madonna e da don
Bosco. Due giorni prima invocava Gesù: «Ti scongiuro per tutto il bene che mi
vuoi da amico intimo, che abbia a cominciare una vita santa, tutta piena di
buone opere».
Sacerdote, ovvero servo di Gesù
Il
tirocinio di Elia passa per le case di Finale Emilia, dove la sua vocazione si
era sviluppata, Sondrio e Chiari. È incaricato d’insegnare Lettere, ma non fa
mai mancare la sua presenza nelle ricreazioni dei ragazzi. Per far incontrare
la “lingua morta” del Latino con la vita, spiega loro il significato delle
sequenze liturgiche, come il “Lauda Sion”. Sono insegnamenti che restano
impressi con forza nella mente e nel cuore dei suoi allievi.
Si
avvicina, intanto, l’ordinazione sacerdotale: la riceve il 16 marzo 1935, nel
duomo di Brescia, per le mani del vescovo monsignor Giacinto Tredici. Durante
gli Esercizi spirituali in preparazione a quel giorno solenne, scrive un
Regolamento di vita sacerdotale in nove punti. S’impegna a rispettarli tutti,
dall’aspirazione alla santità al ripasso delle materie di studio. Al centro
dello scritto, l’amore per le anime, per le quali sente di essere responsabile:
«Tutti coloro che mi avvicinano», annota, «dovranno incontrare non l’uomo, ma
il sacerdote, il ministro, il servo di Gesù. I giovani, tutti i giovani,
saranno porzione prediletta al mio cuore».
Continua
a insegnare a Chiari, dividendosi tra la cattedra e il cortile. Trova anche il
tempo di laurearsi in Lettere, presso l’attuale Università degli Studi di Milano.
Il 17 settembre 1939 discute, con successo, la tesi sul «De resurrectione
carnis» di Tertulliano, autore cristiano dei primi secoli. Il 1941 porta don
Elia a Treviglio, con l’incarico di Consigliere scolastico. Lo svolge con un
costante sorriso e senza mai perdere la calma, a giudizio di ex-allievi e
superiori.
Nel pieno della guerra
La
seconda guerra mondiale, nel frattempo, è nel pieno del suo svolgimento.
Preoccupato per sua madre, don Elia ottiene di lasciare Treviglio. Torna quindi
a Salvaro, accolto a braccia aperte da monsignor Mellini, ormai molto anziano.
È
il 1944. La popolazione dell’Appennino si sente minacciata dai continui scontri
tra i tedeschi e le formazioni partigiane. Per questo, don Elia non fa mancare
a nessuno la consolazione dell’incontro con Dio. Cerca anche di rallegrare le
celebrazioni, dotato com’è di un discreto talento per la musica, già esercitato
negli anni d’insegnamento. Il dehoniano Padre Martino Capelli è arrivato dopo
di lui e lo affianca immediatamente nelle visite ai parrocchiani che abitano
sulla montagna.
Il
26 settembre un tedesco viene ucciso e parte subito la rappresaglia: tre civili
trovano la morte nella loro casa bruciata. Don Elia e padre Martino ricoverano
i sopravvissuti in canonica e provvedono alla sepoltura dei morti, fabbricando
delle bare rudimentali. Questo, insieme ai tentativi di dialogo operati dal
dehoniano, fa sorgere nei tedeschi il sospetto che i due padri siano alleati
dei partigiani.
Il
29 settembre, verso le cinque di pomeriggio, gli scampati alla strage della
Creda affollano la chiesa di Salvaro. Don Elia celebra la Messa per loro e
cerca, con l’altro sacerdote, di nascondere il più possibile gli uomini. Alla
fine, decide di partire per andare a portare i Sacramenti ai feriti.
«O tutti o nessuno!»
Don
Elia, insieme a padre Martino e ad altri uomini prelevati dai tedeschi, viene
obbligato a trasportare le munizioni per i soldati. Durante la prigionia, sul
suo volto appare la consueta espressione serena, mentre il turbamento di padre
Martino è più visibile. Il cavalier Emilio Vegetti, persona molto in vista
nella zona, supplica il comandante nazista di mettere in libertà soltanto don
Elia. Lui, però, risponde subito: «O tutti o nessuno!».
Dopo
tre giorni, il 1° ottobre, alcuni dei prigionieri vengono portati sul luogo
della loro esecuzione, una grossa vasca interna alla canapiera. Don Elia intona
le Litanie della Madonna a voce alta. Ha ancora il tempo d’invocare pietà, poi
la scarica dei fucili falcia lui e gli altri condannati. Padre Martino traccia
su di loro un ultimo segno di croce, prima di cadere a sua volta.
La
fama del sacrificio suo e di padre Martino si diffonde nelle rispettive
congregazioni religiose di appartenenza e anche al di fuori di esse. Il 3
dicembre 1995, proprio nel nostro Santuario del Sacro Cuore, il cardinal
Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, ha presieduto la prima sessione del
Tribunale ecclesiastico per le cause di beatificazione dei due sacerdoti. La
fase diocesana della causa di don Elia si è conclusa il 25 novembre 2001,
mentre la sua “Positio super virtutibus” (ossia il volume con le testimonianze
più rilevanti del processo diocesano) è stata consegnata nel 2009. Il 4 aprile
2017, i Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi hanno
espresso parere favorevole circa l’esercizio in grado eroico delle virtù
cristiane da parte sua. Tuttavia, nel maggio 2018, il cardinal Angelo Amato,
Prefetto uscente della stessa Congregazione e Salesiano, ha dato il compito a
tre teologi di studiare l’opportunità di dimostrare l’effettivo martirio in
odio alla fede sia di padre Martino, sia di don Elia.
Originariamente
pubblicato su «Sacro Cuore VIVERE» 5 (settembre 2018), pp. 16-17
(visualizzabile qui)
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