Quando i Papi anticipano la Chiesa

Maestro di Sant’Apollinare, Processione dei santi martiri,
Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, entro il 526 d. C.


Ho atteso a lungo prima di poter dire la mia sulla vicenda di don Roberto Malgesini. Sono rimasta troppo delusa, da qualche mese a questa parte, da persone che sembravano esemplari, ma nascondevano di aver commesso abusi sessuali e di potere, oppure sono venute meno agli impegni presi il giorno dell’ordinazione sacerdotale.

Ora, come si dice, i giornalisti stanno scrivendo le bozze della sua storia; eventualmente, un giorno, i tempi saranno maturi per un profilo biografico più completo e per descrivere meglio la sua testimonianza, valida fino a prova contraria (spero proprio che non ci sia). 

Intanto, la sua uccisione sta interrogando anche chi dice di essere lontano dalla fede e ammette di non comprendere perché ci si possa spingere a donarsi agli altri fino a rischiare la vita.

C’è anche un’altra ragione che m’impedisce di presentarlo organicamente qui. Continuano a tornarmi alla mente le parole di un giovane prete, il quale mi ha rimproverato di anticipare il giudizio ufficiale della Chiesa se parlo di un suo compagno di Seminario, morto prima dell’ordinazione. Secondo questo stesso principio, anche quelli che stanno invocando don Roberto come “santo” e “martire della carità” starebbero sbagliando; nessuno, però, si sogna di correggerli.

Dopotutto, costoro sono in buona compagnia: perfino alcuni Papi, buon ultimo Francesco, hanno definito martiri personaggi per i quali, ma non sempre, tale fama ha portato all’apertura di una seria causa di beatificazione e canonizzazione, per verificare se davvero le loro tragiche fini possono essere considerate martirio in odio alla fede; spesso, peraltro, non c’è ancora il decreto sul martirio.

Il “martirio della carità”, invece, non è ancora stato definito da norme canoniche, a parte il caso di padre Massimiliano Maria Kolbe, canonizzato come martire per testimonium caritatis heroicis, ma beatificato come confessore, ossia dopo la verifica di un miracolo.

 

1901: Leone XIII e il massacro di Alto Alegre

 

Fonte
Verso le cinque del mattino di domenica 13 marzo 1901, la missione di San Giuseppe della Provvidenza presso Alto Alegre, nel Nordest del Brasile, fu attaccata da un gruppo di indios armati, capeggiati da Joao Caboré.

Morirono più di duecentocinquanta abitanti della missione e della colonia agricola fondata dai padri Cappuccini, coadiuvati, per l’educazione delle bambine, dalle Suore Terziarie Cappuccine di Loano, attualmente Suore Cappuccine di Madre Rubatto.

Furono accertati gli omicidi di quattro frati (padre Zaccaria da Malegno, padre Rinaldo da Paullo, padre Vittore da Lurano e fra Salvatore da Albino), sette suore (Suor Maria Eleonora di Sant’Antonio, suor Maria di San Lorenzo, suor Maria Agnese di San Carlo, suor Maria Eufemia di San Giovanni Battista, suor Maria Benedetta di San Luigi, suor Maria Natalina di San Giuseppe e la novizia suor Maria Anna di San Carlo) e due Terziari francescani (Pietro Novaresi, venuto al seguito di padre Rinaldo da Paullo, e Carlota Bizerra).

Madre Maria Francesca di Gesù, fondatrice e prima superiora generale (beatificata nel 1993, ma è stato approvato a febbraio scorso il miracolo per la canonizzazione) delle suore, raccontò nella sua lettera del 20 maggio 1901 (nell’inventario, Lett. 454) a M. Antima Bellini, delle Figlie di Sant’Anna, quel che il Pontefice dell’epoca affermò riguardo le vittime del massacro:

 

Se un conforto e sollievo mi è dato di cercare in tanta desolazione, lo trovo nel pensare che quelle mie care figlie spero siano veramente martiri, basandomi nel detto del Santo Padre Leone XIII quando le fu riferito l'atroce fatto, Sua Santità disse: Sono le primizie del secolo.


La lettera del 30 marzo 1901 di padre Bernardo da Andermatt, Padre Generale dei Cappuccini, a padre Carlo da San Martino, superiore della missione cappuccina del Maranhão, riporta in forma più ampia l’affermazione del Papa:

Il Sommo Pontefice appena intese una tal notizia, rimase sorpreso, dopo esclamò "Sono le primizie del secolo. Domani suffragheremo le anime dei novelli martiri. Intanto benediciamo l'Ordine, la Provincia di S.Carlo e i Missionari e le suore Terziarie Cappuccine".

 

Presso l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e le Suore Cappuccine di Madre Rubatto è ancora viva la fama di martirio di questi fratelli e sorelle.

Tuttavia, come mi hanno assicurato le due parti in questione, il fatto è troppo delicato per poter essere preso in considerazione e, quindi, per aprire una causa, che a questo punto sarebbe di tipo storico o antico, essendo trascorsi quasi centovent’anni.

 

1966: san Paolo VI e i Servi di Dio Saveriani di Uvira

 

Fonte; manca il ritratto dell'abbé Albert Joubert

Il 28 novembre 1964 alcuni guerriglieri Simba, guidati da Abedi Masanga, uccisero tre membri della Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere, ossia Saveriani, e un sacerdote diocesano, nella Repubblica Democratica del Congo.
A Baraka spararono a morte a un Fratello saveriano, Vittorio Faccin, e al suo confratello padre Luigi Carrara. La sera stessa si spostarono a Fizi, dove assassinarono padre Giovanni Didonè e Albert Joubert, sacerdote della diocesi di Uvira, che da due mesi viveva insieme a lui.

Monsignor Danilo Catarzi, Saveriano e primo vescovo di Uvira, raccontò così la sua udienza privata col Papa san Paolo VI (traggo il racconto da un sussidio preparato dal Centro di Documentazione dei Saveriani per l’annuale commemorazione di quelli che reputano essere i loro martiri):

Il Papa mi ricevette nel suo studio privato. Mi accolse con grande amabilità. Volle sapere, con esattezza dove è situata Uvira. Mi chiese dell’Istituto che egli conosceva attraverso la nostra casa di Desio, del numero dei padri e delle suore che lavorano nella nostra missione. Si mostrò interessatissimo quando gli ricordai i nostri morti e gli annunciai la liberazione dei due confratelli di Nakiliza. A proposito dei morti, mi disse con voce vibrante:

“Sono i vostri martiri. Raccoglietene le memorie; veneratene le reliquie”.

A proposito dei due liberati: “Immagino che abbiano sofferto molto. Me li saluti tanto; porti loro la mia benedizione. E benedica quelli che li hanno liberati”. Volle sapere delle pene da noi sofferte durante la nostra prigionia…

Per padre Faccin e compagni l’inchiesta diocesana sul presunto martirio in odio alla fede è stata aperta a Uvira dal 13 novembre 2016. Per i soli Saveriani, in parallelo, si è svolto il processo rogatoriale nella diocesi di Parma, terminato il 1° ottobre 2017.

 

1993: san Giovanni Paolo, il Servo di Dio Rosario Livatino e gli uccisi dalla mafia

 

Fonte

Il 21 settembre 1990, mentre viaggiava lungo la Strada Statale 640 Agrigento-Caltanissetta a bordo della sua Ford Fiesta amaranto, per recarsi al Tribunale di Caltanissetta, il giudice Rosario Livatino venne ucciso in un agguato mafioso. Era impegnato nell’Azione Cattolica e partecipava assiduamente alla Messa domenicale.

San Giovanni Paolo II, in occasione della sua visita pastorale in Sicilia, il 9 maggio 1993 incontrò i genitori del giudice. Essendo stato l’incontro di natura privata, non esiste un discorso pronunciato, né una trascrizione ufficiale. Mi rifaccio dunque alla frase indicata sul sito del Centro Studi Livatino, dove il Papa polacco non si riferì solo a lui, ma agli uccisi dalla mafia in generale:

Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede.

Di fatto, la sua causa è ora nella fase romana e segue il percorso della dimostrazione del suo martirio in odio alla fede. L’inchiesta diocesana si è svolta ad Agrigento dal 21 settembre 2011 al 27 luglio 2017.

 

2016: papa Francesco e il Servo di Dio Jacques Hamel

 

 

Foto di Michael Bunel/Ciric (fonte)
(spero che abbiano rimosso quel quadro: raffigurare padre Hamel con l’aureola ed esporre tale raffigurazione in una chiesa costituisce culto indebito, allo stato attuale delle cose)


È apparso da subito che l’assassinio di padre Jacques Hamel, avvenuto nella chiesa di Santo Stefano a Saint-Etienne-du-Rouvray il 26 luglio 2016, aveva una chiara matrice anticristiana.

Il 14 settembre 2016 papa Francesco ha presieduto, nella cappella di Casa Santa Marta, una Messa in suo suffragio, alla presenza dei suoi parenti e di una delegazione della diocesi di Rouen.

In tutta l’omelia lo ha definito martire e ha parlato della sua morte violenta come martirio, ma l’espressione più netta è nell’ultimo paragrafo:

E questo esempio di coraggio, ma anche il martirio della propria vita, di svuotare sé stesso per aiutare gli altri, di fare fratellanza tra gli uomini, aiuti tutti noi ad andare avanti senza paura. Che lui dal Cielo – perché dobbiamo pregarlo, è un martire!, e i martiri sono beati, dobbiamo pregarlo – ci dia la mitezza, la fratellanza, la pace, e anche il coraggio di dire la verità: uccidere in nome di Dio è satanico.

Forse proprio per dare ufficialità alle parole del Santo Padre, è stata concessa nello stesso anno la deroga alla norma per cui una causa di beatificazione e canonizzazione non possa essere aperta prima dei cinque anni dalla morte del candidato o dei candidati in questione; nello stesso 2016 è stato emesso il nulla osta.

L’Editto che segnava l’apertura della causa è stato reso pubblico il 13 aprile 2017, al termine della Messa Crismale nella cattedrale di Rouen. La prima sessione dell’inchiesta diocesana sul presunto martirio in odio alla fede di padre Hamel si è svolta a Rouen il 20 maggio 2017, mentre l’ultima il 9 marzo 2019. Gli atti dell’inchiesta sono stati consegnati il 12 aprile 2019 alla Congregazione delle Cause dei Santi, che nella primavera di quest’anno ha emesso il decreto di convalida giuridica. Ho tratto questi dati dalla sezione del sito della diocesi di Rouen a lui dedicata.

 

2020: papa Francesco e don Roberto Malgesini

 

Veniamo quindi all’ultimo caso, quello di don Roberto Malgesini. Nei saluti ai pellegrini in lingua italiana al termine dell’Udienza generale di ieri, papa Francesco si è mostrato in pieno accordo con monsignor Oscar Cantoni, vescovo di Como, che già aveva attribuito a quel suo diocesano la qualifica di “santo della porta accanto”:

Desidero ricordare in questo momento don Roberto Malgesini, il sacerdote della diocesi di Como che ieri mattina è stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava, una persona malata di testa. Mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunità comasca e, come ha detto il suo Vescovo, rendo lode a Dio per la testimonianza, cioè per il martirio, di questo testimone della carità verso i più poveri. Preghiamo in silenzio per don Roberto Malgesini e per tutti i preti, suore, laici, laiche che lavorano con le persone bisognose e scartate dalla società.

Solo oggi sarà interrogato l’uomo che l’ha ucciso, le cui motivazioni appaiono molto confuse. Di conseguenza, almeno allo stato attuale delle cose, il suo caso risulta diverso da quelli che ho citato sopra (escluso il massacro di Alto Alegre).

 

Due prospettive a confronto

 

I Pontefici sopra citati non hanno parlato ex cathedra, quindi quelle loro parole non sono da intendere come vincolanti, ma come considerazioni da semplici credenti: per parafrasare un’espressione che spesso mi è stata ripetuta, un prete è un credente che diventa prete, quindi vale anche per il Papa. Certo, neppure i personaggi che ho elencato sono ufficialmente martiri, ma almeno per la maggior parte di loro ci si è mossi per confermare un'opinione tanto diffusa e autorevolmente affermata.

Va pur detto che ormai la definizione di “martiri della carità” è entrata da tempo nel linguaggio ecclesiale, grazie all’appassionato lavoro di ricerca di Luigi Accattoli, confluito nei tre volumi di Cerco fatti di Vangelo e in Nuovi martiri. 393 storie di cristiani nell’Italia di oggi: lo ammette lui stesso in questo commento al suo post su don Malgesini.

La collega blogger Lucia di Una penna spuntata, invece, mi pare andare in senso opposto. Commentando il Motu proprio Maiorem hac dilectionem (che non ho ancora visto applicare in concreto) e la definizione giornalistica, appunto di “martiri della carità”, abbinata a quanti scelgono consapevolmente di offrire liberamente la propria vita per gli altri, compresa una morte sicura e a breve termine, diceva:

Quindi, no: questi “martiri della carità” non avrebbero potuto essere in alcun modo assimilati ai martiri tout court. Anzi, il termine stesso di “martiri della carità”, che stamattina invade le prime pagine dei giornali ma che purtroppo ha già contaminato da tempo i bollettini parrocchiali e il linguaggio chiesastico, induce i fedeli alla confusione e all’errore: coloro che muoiono offrendo la loro vita per il bene del prossimo sono degli “eroi”, dei “testimoni della fede”… ma NON dei martiri.

Semmai possono essere considerati dei “bravissimi cristiani molto altruisti”, toh: io li definirei senza problemi individui che, tra tutte le virtù evangeliche, hanno messo in pratica con un particolare grado di eroismo quella dell’amore per il prossimo.

 

E io?

 

Come già ho scritto, nel caso di don Roberto aspetto che le motivazioni dell’uccisore siano più chiare. Preferisco, fino a prova contraria, non usare la parola “martire”, neanche con il complemento di specificazione. Dopotutto, qui tratto di Testimoni in genere, specificando solo alla fine del paragrafo Chi è?, quando c’è, se c’è una causa in corso o se si tratti di un Beato o di un Santo con le debite maiuscole. Nelle etichette ai post riguardanti Servi di Dio in fama di martirio, invece, metto "Martiri" perché il lemma della causa, come lo chiamano gli esperti, è quello (ecco perché ho dato questa etichetta anche a questo post).

Spero poi di poter essere, un giorno, più serena e libera nel poter affermare che il Testimone di cui accennavo sopra, quello criticato dal suo vecchio compagno di studi, abbia davvero seguito il Signore fino alla fine. Dopotutto, come ho cercato di far vedere, esistono dei precedenti più che eccellenti.

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