Don Isidoro Meschi: mente e cuore aperti a tutti i fratelli

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Chi è?

 

Isidoro Meschi nacque all’ospedale di Merate, in provincia di Lecco e diocesi di Milano, il 7 giugno 1945, primo dei tre figli di Guido Meschi e Irene Bonsaglia. Fu battezzato il 10 giugno nella chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio a Merate.

Quando aveva due anni si trasferì coi genitori da Lecco, dove abitavano, a Merate, loro paese d’origine, dove vennero alla luce gli altri due bambini. Isidoro, che preferiva essere chiamato Lolo (soprannome che gli rimase anche negli anni successivi), era intelligente, attivo, curioso, ma anche disposto a compiere piccoli sacrifici.

A sei anni, affascinato dai racconti ascoltati a scuola su Gesù e san Francesco d’Assisi, iniziò a pensare di poter diventare sacerdote. I genitori, però, gli imposero di aspettare la conclusione delle scuole medie per iniziare gli studi in quel senso.

Il 1° ottobre 1959 Isidoro entrò nel Seminario Arcivescovile di Milano, cominciando a frequentare il ginnasio nella sede di Seveso. Proseguì gli studi liceali, filosofici e teologici nella sede di Venegono Inferiore: in III Teologia fu prefetto della seconda Liceo. Venne ordinato sacerdote il 28 giugno 1969.

Il suo primo incarico fu di vicerettore responsabile della prima Liceo (gli allievi erano così tanti che occorrevano tre vicerettori, uno per classe) a Venegono. Nel 1972, quando i suoi studenti conseguirono il diploma di maturità, poté ottenere, come sempre sperava, un incarico in parrocchia. Venne quindi assegnato alla parrocchia di San Giovanni a Busto Arsizio, in provincia di Varese, come assistente dell’oratorio maschile San Luigi. Alla fine degli anni Settanta iniziò anche a insegnare nelle scuole: dalle elementari alle medie, fino al liceo classico «Daniele Crespi».

Il 1978 fu un anno intenso per don Isidoro: venne chiamato a far parte del Consiglio Presbiterale diocesano e a essere vicedirettore di Caritas Ambrosiana, incarico, quest’ultimo, che lasciò dopo un anno. Soprattutto, iniziò la sua avventura come direttore dell’edizione dell’Alto Milanese del Luce, settimanale diocesano ormai chiuso, ma che all’epoca aveva una redazione anche a Legnano.

Il 4 ottobre dello stesso anno avvenne un’esperienza che ricordò tra le date fondamentali della sua vita, ma della quale, a tutt’oggi, non è possibile stabilire i contorni. Già da qualche tempo, però, aveva iniziato a interessarsi ai problemi dei tossicodipendenti e delle loro famiglie: è plausibile che quella data corrisponda, dunque, alla sua scelta definitiva d’impegno nei loro riguardi.

L’11 novembre 1983 firmò il suo ultimo editoriale per il Luce, pronto a lanciarsi nella nascita di un’associazione intitolata a Marco Riva, un giovane eroinomane morto suicida. Nel 1987 venne avviata la Comunità Marco Riva, una delle prime strutture terapeutiche, riservata ai soli uomini, per quanti volevano liberarsi dalla tossicodipendenza. Per gli educatori, don Isidoro realizzò un manuale con gli elementi del progetto educativo che voleva assegnare a loro e agli ospiti, pubblicato postumo.

Da tempo, però, era seguito in modo ossessivo da un giovane con problemi psichici, Maurizio Debiaggi, che l’aveva conosciuto all’oratorio San Luigi. Nonostante alcuni atteggiamenti violenti da parte sua, aveva continuato a dargli fiducia con piccoli lavori al giornale e non solo. Sentendosi trascurato dal sacerdote, che non poteva dedicarsi solo a lui - nel 1990 era stato nominato vicario della parrocchia di San Giuseppe, aiutando realmente l'anziano parroco - Maurizio decise di compiere un ultimo gesto eclatante.

La sera del 14 febbraio 1991, mentre don Isidoro era impegnato in una riunione alla Comunità Marco Riva, venne a cercarlo. Dato che il giovane continuava a inveire contro di lui, il sacerdote uscì per raggiungerlo.

Fatti pochi metri in direzione della campagna, venne trafitto al cuore, poi più lievemente a una spalla, con un coltello appuntito da cucina. Il sacerdote sapeva che  Maurizio stava venendo da lui e che era armato, perché l’aveva avvisato la madre del giovane. 

Secondo l’autopsia, don Isidoro morì immediatamente dopo il primo colpo, per un’emorragia interna. Il suo aggressore, invece, rimase soffocato da un boccone di carne, mentre si trovava in carcere in attesa di giudizio, poche settimane dopo l’aggressione.

I resti mortali di don Isidoro riposano nel cimitero di Busto Arsizio, nella cripta della cappella dei sacerdoti.

 

Cosa c’entra con me?

 

Ricordo benissimo che nell’aprile 2010 lessi un articolo di monsignor Ennio Apeciti su don Isidoro sulle pagine di Fiaccolina, la rivista per ragazzi a cura del Seminario di Milano. Mi colpì particolarmente la descrizione dell’aggressione da parte di Maurizio e come venisse ipotizzato che il don sia morto quasi rivolgendogli una domanda: «Perché non ti sei fidato?».

Scrissi quasi immediatamente, il 20 aprile, al curatore del sito Internet aperto in sua memoria. Mi premeva segnalargli che, nella pagina riservata ai commenti dei visitatori, c’erano frasi sconvenienti o indesiderate. Soprattutto, gli scrissi che da quello che avevo letto mi ero fatta l’idea che testimoni come don Lolo esistano a migliaia nelle nostre comunità, ma ce ne accorgiamo solo quando qualche disgrazia li strappa da noi; mi riferivo in particolare ai sacerdoti. Il webmaster rispose e sistemò l’inconveniente.

Nella mia e-mail, però, scrivevo che avevo visitato il sito già prima di quella data, ma ora non riesco a ricordare quando. Almeno sapevo qualcosa su di lui, quando lo vidi menzionato nel primo volume di Cerco fatti di Vangelo di Luigi Accattoli, nel capitolo Martiri della carità, mentre in quello intitolato Il perdono degli uccisori dei parenti sono riportate le parole di sua sorella Maria, detta Mariella, al termine della Messa delle esequie.

Nel 2011 vidi che era uscita una sua biografia, la prima a diffusione nazionale, basata sugli scritti e sulle testimonianze di colleghi, amici, allievi, confratelli, parrocchiani e familiari. Tuttavia, non mi venne il desiderio di acquistarla né di leggerla, almeno per il momento.

Due anni dopo, con l’arrivo di un nuovo sacerdote nella parrocchia dove abitavo da poco più di sei mesi, mi accorsi che nella sua biblioteca c’era lo stesso volume. Il don fu molto felice di prestarmelo, raccomandandomi di trattarlo con cura: sentiva infatti di trovare, nel confratello deceduto, un esempio a cui attingere, più o meno come don Isidoro stesso aveva fatto nei confronti del Santo Curato d’Ars.

Rammento di aver impiegato più tempo del solito a leggerlo, ma non per ragioni stilistiche. In ogni caso, la lettura mi concesse di vedere che la sua vita offriva moltissimi spunti di riflessione. In particolare, mi venne da pensare che non dovevo prendermela troppo se qualche sacerdote mi rinviava un appuntamento per la confessione o per la direzione spirituale: è nella sua missione esserci per tutti, quindi non dovevo sequestrarlo, né essere gelosa se era più attento a qualcun altro. 

Non molto tempo dopo, nel 2014, mi venne in mente di controllare se la sua memoria fosse ancora viva, basandomi, come avevo imparato nei corsi diocesani per operatori pastorali della comunicazione, sui siti di cronaca locale. Come appurai leggendo Merate On Line, non solo la memoria era viva, ma c’erano fondate speranze circa l’avvio della sua causa di beatificazione e canonizzazione. Era perfino pubblicata la preghiera per chiedere la sua intercessione; per la devozione privata, s’intende.

Per cercare di andare più a fondo, specie per capire quale fosse l’iter che la probabile causa avrebbe seguito, scrissi alla responsabile dell’Associazione Amici di don Isidoro. Da lei ricevetti un’esortazione alla prudenza e a basarmi su quanto la Chiesa avrebbe deciso, non a quanto affermavano i giornali. Ho comunque recepito la notizia integrando la scheda biografica presente su santiebeati.it.

Due anni dopo, uscì una nuova biografia. A quel punto ero molto più interessata ad avere una copia per me, ma anche per il sacerdote di cui sopra: il libro che mi aveva prestato, e che gli avevo restituito seguendo le sue indicazioni, era stato rovinato da cause indipendenti dalla mia volontà.

Nel 2018 ero alle prese con le registrazioni della versione italiana dell’inno della GMG di Panama, insieme ai miei compagni del Gruppo Shekinah, coro giovanile della diocesi di Milano. In quell’occasione venni a sapere che Silvia, una dei contralti, era nativa di Merate. Sperando che non mi prendesse in giro, mi sono accostata a lei per chiederle se presso la sua parrocchia erano disponibili copie dell’ultima biografia. Mi rispose subito di sì, perché le aveva viste tra le mani del suo sacrestano.

Il sacerdote delle mie parti apprezzò il mio pensiero, ma io, a dire il vero, non ho letto quel libro fino a pochi giorni fa: mi ero infatti resa conto che mancavano pochissimi anni al trentesimo della morte. Nel frattempo avevo trovato anche una copia usata del libro uscito nel 2011, del quale, per certi versi, il secondo rappresenta una sintesi.

Quando ho sentito la notizia dell’uccisione di don Roberto Malgesini, quasi subito mi è venuto da accostarle quella di don Lolo, se non altro per le circostanze dolorose in cui sono avvenute entrambe. 

Da quel poco che si sa di quell’altro sacerdote, però, emergono anche differenze di non poco conto riguardo al percorso personale, che permettono di appurare, una volta di più, che le storie dei Testimoni hanno tutte una propria originalità, al di là delle definizioni in cui viene da incasellarle.

 

Il suo Vangelo

 

Come avrete notato, ho scelto, per quanto mi riguarda, di non definire “martire” don Isidoro, neanche con il complemento di limitazione “della carità”. Come ho già spiegato nel post in cui esprimevo le mie perplessità circa l’applicazione di un termine simile a qualcuno per il quale la Chiesa non ha ancora espresso il proprio giudizio ufficiale (anche se, in molti casi, si è mossa per formularne uno), riferendomi anche al caso di don Malgesini, la trovo una semplificazione, anche giornalistica, che forse tiene poco in conto gli effettivi criteri in cui può rientrare la valutazione di una storia di fede.

Peraltro è curioso che, in questo caso, sia attribuita a qualcuno che ha operato nel mondo del giornalismo e della comunicazione. Eppure è un termine che corrisponde al sentimento di un’intera città e di quanti avevano effettivamente toccato con mano l’operato di quel sacerdote.

In realtà, è evidente come la preoccupazione per l’educazione sia il collegamento tra tutte le esperienze che lui ha affrontato nei quasi ventuno anni di ministero, di cui quella fra gli ex tossicodipendenti è solo una parte. In ogni destinazione in cui era stato collocato dall’obbedienza, che a differenza di altri confratelli non aveva mai discusso, era sempre riuscito a trovare spazi per ascoltare gli altri e per offrire loro non ricette preconfezionate, ma consigli adatti a ciascuno.

Col senno di poi, è stato facile riscontrare nelle sue omelie o in alcune conversazioni presagi di una fine prematura. Avrebbe potuto anche andare diversamente, ma lui sentiva di aver orientato bene la propria vita, per cui si sentiva in pace e pronto ad andare a Dio.

Lo testimoniano alcune delle ultime parole del suo testamento spirituale, scritto nella casa di Esercizi Spirituali a Somasca di Vercurago nell’annuale periodo che si concedeva a ridosso dell’anniversario di ordinazione sacerdotale. Così, ormai prete da ventuno anni, sentiva di affermare:

Sorelle, fratelli che mi avete conosciuto, accorgetevi che Gesù, Emmanuele, Cristo Signore è davvero in sovrabbondante, gioiosa pienezza Via, Verità, Vita.

In Lui, con Lui, per Lui scoprite quanto è bella la vita, in tutte le sue espressioni autentiche. Essa può, forse, sembrare breve, deludente, anche crudele; è invece l'appuntamento e il cammino con l'immolarsi di Gesù per noi, perché possiamo credere, sperare, amare, fino alla Risurrezione, fino alla vita eterna.

Davanti a qualsiasi fratello abbiate il coraggio di non chiudere né mente né cuore; Gesù ce ne rende capaci e ci fa avere il “Suo Centuplo”.

Domani l’Arcivescovo monsignor Delpini sarà a Busto Arsizio per la celebrazione liturgica in occasione di questo trentennale dalla morte di don Lolo. Di certo non gli sfugge quello che il popolo di Dio pensa ormai da tempo a suo riguardo, come già ha dato modo di far capire nell’omelia per il ventesimo anniversario.

 

Per saperne di più

 

Cristina Tessaro, Don Isidoro Meschi – Un «prete felice», Paoline 2011, pp. 248, € 15,00.

Uscito per il ventennale, basato su scritti di don Isidoro e testimonianze di chi lo conobbe.

 

Cristina Tessaro, Don Isidoro Meschi – Martire della carità, Velar 2016, pp. 48, € 3,50.

Una sintesi della biografia sopra menzionata, con molte illustrazioni fotografiche e citazioni dalle sue omelie.

 

Don Isidoro Meschi, Lezioni biblico-teologiche, Nomos Edizioni 2012, pp. 272, € 19,00.

I testi delle lezioni che don Isidoro teneva il mercoledì alla sezione bustese dell’UCIIM (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi), rielaborati in base agli appunti degli studenti.

 

Su Internet

 

Sito ufficiale dell’Associazione Amici di don Isidoro


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