Monsignor Domenico Pogliani, il manovale ambrosiano della Provvidenza

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Chi è?

Domenico Pogliani nacque a Milano il 18 dicembre 1838, primogenito di Felice Pogliani, maniscalco, e Regina Guanni. Fu battezzato il giorno seguente nella chiesa di Santa Maria alla Porta, nella stessa città.

I suoi genitori, convinti cristiani, vollero che lui frequentasse l’oratorio San Luigi, situato nella parrocchia di San Simpliciano ma di fatto interparrocchiale. Per sei anni aiutò gli educatori e i sacerdoti che lo seguivano, ossia il direttore don Serafino Allievi e don Biagio Verri (anche per lui è stata avviata la causa di beatificazione e canonizzazione).

Già a dodici anni si sentì incline al sacerdozio, ma volle prima terminare gli studi superiori. Nel 1857, con la presentazione di don Allievi, entrò quindi nel Seminario diocesano, affrontando poi gli studi teologici nell’allora sede di corso Venezia a Milano.

Ordinato sacerdote il 25 maggio 1861, fu assegnato come viceparroco o coadiutore alla parrocchia di Rosate, povera di mezzi e di occasioni spirituali: promosse dunque l’istruzione catechistica in preparazione alla Prima Comunione e la predicazione speciale nel mese di maggio, entrambe tenute da lui stesso.

Circa otto anni dopo fu mandato a Lecco, ma il clima umido del lago peggiorò la sua salute. Ebbe quindi, dopo quattro mesi, un incarico a Trenno per i soli giorni festivi, ma non per questo limitò il proprio impegno, tra predicazioni, catechesi e funzioni anche fuori parrocchia.

Nell’autunno del 1870 tornò a Milano, come sacerdote della Metropolitana, ossia coadiutore della parrocchia del Duomo. In particolare, fu incaricato della catechesi alle donne e fu confessore ordinario di varie comunità religiose femminili. Riprese anche la pratica degli Esercizi spirituali ignaziani, dedicati al clero, mentre per i laici avviò il Circolo San Raffaele.

Il 23 ottobre 1883 fu nominato prevosto parroco di San Giovanni Battista a Cesano Boscone, facendo l’ingresso solenne nel febbraio 1884. Al tempo Cesano Boscone era un borgo agricolo, i cui abitanti affrontavano spesso situazioni di miseria, se il raccolto andava male o era rovinato. In più, la chiesa parrocchiale aveva bisogno di essere ricostruita, più che restaurata. Don Domenico si accorse anche che i figli dei contadini erano lasciati soli dai genitori, impegnati nel lavoro. Per questa ragione, la prima opera che istituì fu l’asilo parrocchiale,

Intanto aveva constatato come la campagna, rispetto alla città, venisse trascurata anche dalle opere di beneficienza. Molti anziani o malati cronici non venivano considerati dai benefattori e, per questo, spesso morivano soli. A questo si aggiungeva il fatto che molti si trasferivano in città per cercare lavoro, ma così rischiavano di essere attratti da dottrine estranee al cattolicesimo.

Nel 1892 guarì da una grave malattia, che attribuì all’intercessione della Madonna: a quel punto, decise di avviare un progetto più concreto. Il 1° giugno 1896 si svolse l’inaugurazione ufficiale del primo edificio della «Casa della Sacra Famiglia. Ospizio per gli incurabili della campagna milanese», detto per brevità «Ospizio della Sacra Famiglia» o semplicemente «La Sacra Famiglia».

Solo dopo questa creazione fece costruire l’oratorio maschile (con la casa del sacerdote che aveva l’incarico di assistente) e il salone dell’Unione Giovani. Quanto alla chiesa nuova, fu consacrata il 4 settembre 1899.

Nel 1913, due anni dopo aver festeggiato il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, don Domenico fu insignito della dignità di cameriere segreto di Sua Santità, ottenendo quindi il titolo di monsignore. I cesanesi e non solo, però, da tempo lo conoscevano come “il prevostino”, facendo riferimento alla sua corporatura esile.

Monsignor Pogliani non poté essere presente a tutti i festeggiamenti per il venticinquesimo della «Sacra Famiglia», perché, molto malato e sofferente di calcoli renali, era stato mandato a riposare ad Arizzano Alta, in provincia di Verbania. Il 25 luglio 1921, nello stesso luogo, ebbe un attacco apoplettico: ricevette gli ultimi Sacramenti in piena coscienza, poi spirò, sorridendo e benedicendo la parrocchia e l’ospizio, che aveva intanto affidato a don Luigi Moneta.

L’inchiesta diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione si svolse presso la diocesi di Milano, concludendosi il 9 settembre 2005. Gli atti dell’inchiesta furono convalidati il 24 maggio 2008, mentre la “Positio super virtutibus” era in corso di redazione nel 2015.

I resti mortali di monsignor Pogliani riposano, dal 1993, nella chiesa della Fondazione Sacra Famiglia, che lui stesso aveva tenacemente voluto, a sinistra dell’altare maggiore.

 

Cosa c’entra con me?

 

Nel 2008, verso la fine di giugno, mi trovai a passare per la chiesa di San Giovanni Battista di Cesano Boscone: nell’ambito della festa patronale, infatti, era stato organizzato un concerto-meditazione del Gruppo Shekinah, di cui facevo e faccio parte.

Come spesso mi accadeva (e spero accada di nuovo, dato che, a Dio piacendo, a settembre i concerti ricominceranno anche per noi), domandai all’ufficio parrocchiale, che era aperto, se avessero qualche pubblicazione interessante sulla storia del luogo.

Mi fu quindi dato un libro sulla storia della chiesa e un opuscolo su monsignor Pogliani. Li trovai interessanti, perché mi permisero di conoscere una figura che, fino a quel momento, era poco più di un nome trovato su un vecchio articolo de Il Segno, mensile diocesano di Milano, sui nostri candidati agli altari.

Circa quattro anni dopo, quando ormai mi ero proposta come corrispondente ambrosiana per santiebeati.it, non mi venne in mente di scrivere di lui, anche perché, per quel che ne sapevo, la sua causa aveva avuto scarsi sviluppi. L’idea mi venne quando ritrovai l’opuscolo, probabilmente durante il mio trasloco.

Non sapevo però a chi domandare un controllo su quanto avevo scritto. Al termine di una celebrazione in Duomo, m’imbattei nel parroco di Cesano Boscone, il quale trovò che fosse un’ottima idea. Il profilo biografico fu pubblicato il 6 settembre 2014, ma, ora che ci penso, meriterebbe non poche migliorie.

L’ho capito soprattutto dopo che ho letto un’altra piccola biografia di monsignor Pogliani, uscita un anno dopo la pubblicazione dell’articolo. Avevo pensato di andare a Cesano Boscone per procurarmela, ma poi ho pensato di ordinarla in libreria. In ogni caso, mi servì per inquadrare meglio storicamente il suo operato, in un tempo complicato per la Chiesa italiana, che vedeva la fine del potere temporale, e per quella di Milano, animata da tendenze a volte contrapposte.

Quanto a don Domenico, secondo le fonti attualmente disponibili, fu estraneo alle polemiche che coinvolgevano i cattolici all’epoca, ma patì col suo popolo, sin dal primo incarico a Rosate, le conseguenze dell’industrializzazione, della fuga dalle campagne, dei rischi d’imbattersi in quelle teorie politiche incompatibili col cristianesimo di cui, nel suo periodo di servizio in Duomo, ebbe più diretta conoscenza.

Un altro libro uscito ancora l’anno dopo mi ha fatto capire che era una missione non sempre facile. Lui aveva efficacemente suddiviso i pareri ricevuti in tre categorie: gli ottimisti, gli incerti e gli apertamente contrari; tra questi ultimi c’erano anche alcuni esponenti del Comune di Cesano Boscone.

C’erano poi i dubbi personali: a lungo fu indeciso se procedere con l’ospizio o pensare all’oratorio maschile (alla fine li fece entrambi), oppure non seppe per parecchio tempo se accogliere in casa propria una bambina di sette anni perché, effettivamente, si presentava un rischio morale. Aveva anche parecchi interrogativi se conservare il suo piccolo capitale, donando solo gli interessi, o se spenderlo interamente.

Risolse la questione affidandosi alla Provvidenza: per lui non era un concetto vago, ma una presenza autentica, favorita dalla sua parsimonia personale e dalla conoscenza dei pochi cesanesi in grado di reinvestire il proprio patrimonio, come la signora Maria Monegherio, che donò i terreni per l’asilo e per l’ospizio.

Quanto agli aspetti in cui lo sento più affine a me, il principale consiste nell’avere degli esempi di riferimento. Il primo fu san Carlo Borromeo: gli dedicò un opuscolo divulgativo sul Sacro Chiodo per i trecento anni dalla sua canonizzazione e, specie quando era coadiutore del Duomo, pregava di frequente davanti alla sua urna.

Il secondo fu san Giuseppe Benedetto Cottolengo, che era morto appena nel 1842 ed era, al tempo, Servo di Dio. Don Domenico lesse la sua cospicua biografia scritta da padre Pietro Gastaldi, degli Oblati di Maria Vergine: ne trascrisse e riassunse interi brani su fogli volanti. Proprio come lui, si considerava un manovale della Divina Provvidenza (lo scrive nella lettera del 30 novembre 1894 alla superiora delle Suore di Maria Bambina), la quale l’aveva condotto in quell’avventura senza che lui se ne rendesse conto.

Non sono mai stata alla Sacra Famiglia, né ho mai pregato sulla sua tomba. Mi è venuto spontaneo invocarlo quando la sua creatura è finita sulle cronache, non ultimo durante la pandemia. Ho poi auspicato che, il 22 marzo 2020, quarta domenica di Quaresima, una delle Messe in pieno lockdown trasmesse da Raitre in diretta dalla chiesa dell’Istituto potesse essere l’occasione per dare risalto alla sua esperienza e, magari, dare impulso alla sua causa.

A rileggerla, l’omelia dell’Arcivescovo calza perfettamente sulla vicenda di don Domenico, anche se non lo cita direttamente. Lui non si è perso in domande curiose, minacciose o maliziose, ma è andato al cuore della questione: credeva nel Figlio dell’Uomo, come il cieco nato che noi ambrosiani ritroviamo ogni anno in quella stessa domenica, quindi ha provato ad aggiustare il piccolo mondo della sua comunità con gli strumenti che aveva a disposizione.

Infine, pensando a come lui sia stato promotore degli Esercizi ignaziani con l’aiuto dei Gesuiti, quando su di essi circolavano ancora pregiudizi e, di fatto, nel 1859 erano stato espulsi dalla Lombardia, ho riscontrato che per lui rimaneva centrale la preghiera come rapporto personale del sacerdote con Dio.

Per chi ama gli incroci tra le storie sante, ho appurato che riuscì ad accordarsi con due Gesuiti per la predicazione: uno di essi era quel padre Ottone Terzi che tanta parte ebbe nel cammino della futura fondatrice della Famiglia del Sacro Cuore, la Venerabile Laura Baraggia.

 

Cosa c’entra con san Giuseppe?

 

Per quel che ho capito, monsignor Pogliani non aveva una devozione particolare per lui quanta ne aveva, come già dicevo, per san Carlo Borromeo.

Pose comunque l’ospizio sotto la protezione di Gesù, Maria e Giuseppe, ossia quella famiglia, come scrisse nel numero unico del bollettino del 1910, «dalla quale irradiò la civiltà cristiana, apportatrice della vera uguaglianza e fraternità».

 

Il suo Vangelo

 

In monsignor Pogliani risplende un equilibrio saggio tra attività, predicazione e meditazione, secondo le migliori doti che, nonostante tutto, permettono ancora oggi alla mia diocesi di essere fiera (come dice l’Arcivescovo) del proprio clero.

Come dicevo sopra, non agì direttamente nel campo politico, ma seppe interpretare il suo tempo accogliendo quelli che genericamente definiva “poveri”, ma che col tempo ebbero tanti volti: anzitutto, gli anziani e quanti non potevano essere accuditi dalle famiglie perché menomati o invalidi. Per questo trovo che sia davvero felice la coincidenza tra il centenario della sua morte e la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani, che per volere di papa Francesco si celebra la quarta domenica di luglio, quest’anno per la prima volta.

Alcuni dei suoi progetti non trovarono sviluppo, come l’istituzione di una congregazione femminile in appoggio ai bisogni dell’ospizio. In compenso, seppe sfruttare i suoi passati contatti con le Suore di Maria Bambina per farsi aiutare da alcune di loro: ancora oggi una piccola comunità opera lì, insieme ai frati Cappuccini che curano la Rettoria interna all’attuale Istituto.

L’aiuto delle suore era per lui realmente prezioso, perché serviva a uno scopo duplice e preciso. Scrisse infatti nelle sue annotazioni:

Orbene raccolti nell’ospizio e mentre sono cordialmente assistiti nel fisico, istruiti insieme altresì dalle Suore di carità conosceranno la dignità dell’uomo, impareranno a benedire il Creatore anche nella loro disgrazia…

Oggi la Sacra Famiglia continua questa missione, grazie anche al personale sanitario, ai volontari e ai giovani che continuano a renderla davvero una famiglia per tutti, proprio come intendeva il suo ideatore.

 

Per saperne di più

 

Fausto Ruggeri, Francesca Consolini, Mons. Domenico Pogliani – Un prete a tempo pieno, Velar - Elledici 2015, pp. 48, € 3,50.

Biografia piccola con un giusto inquadramento storico, curata dai postulatori della sua causa.

 

Enrico Palumbo, Super omnia charitas - Storia dell'Istituto Sacra Famiglia dal 1896 a oggi, Ancora 2016, pp. 368, € 14,00.

Volume pubblicato in occasione dei centovent’anni dalla fondazione dell’Istituto Sacra Famiglia.

 

Su Internet

 

Sito della Fondazione Sacra Famiglia Onlus

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