Don Pier Luigi Quatrini: un “Piccolo” prete dal cuore grande
Foto di don Pier Luigi in un'elaborazione grafica (fonte: pagina Facebook della sua Postulazione) |
Pier Luigi Quatrini nacque a Civita Castellana, nell’omonima diocesi e in provincia di Viterbo, l’11 luglio 1968, secondo e ultimo figlio di Carlo Quatrini, primario del laboratorio analisi dell’ospedale San Giovanni Decollato di Civita Castellana, e di Elena Guidobaldi, che aveva scelto di lasciare il lavoro d’insegnante per dedicarsi alla famiglia.
Insieme al fratello Paolo, imparò presto a intendere la vita come un servizio gratuito e disinteressato al prossimo. La madre, che era catechista, favorì insieme al marito l’inserimento dei bambini nella vita parrocchiale e nel percorso proposto dall’Azione Cattolica, cui il secondogenito aderì a otto anni.
Pier Luigi frequentò le elementari, le medie e le superiori con ottimi risultati. Di pari passo, continuava il suo impegno nell’Azione Cattolica, come incaricato del settore giovani diocesano. Dopo aver conseguito il diploma di maturità, seguì le indicazioni dei genitori: avrebbe dovuto iniziare l’università, pur senza smettere di coltivare i segni di vocazione che sentiva di avere. Nel dicembre 1994 conseguì quindi la tesi presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Dopo essersi confrontato con alcuni preti di sua fiducia e con suo fratello, anche lui diventato sacerdote, nel settembre 1993 entrò a sua volta nel Pontificio Seminario Romano Maggiore. Fu ordinato diacono il 25 ottobre 1997 e sacerdote il 18 aprile 1998. Lo stesso anno ottenne la licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana, con il massimo dei voti.
Il 6 settembre 1998 iniziò il suo primo incarico presso la parrocchia di San Giovanni Battista a Manziana, in provincia di Roma, come viceparroco. Era il più giovane dei tre sacerdoti del paese, per cui, dato che non tutti i fedeli riuscivano a memorizzare il suo nome, propose di farsi chiamare “don Piccolo”.
Il 1° novembre 2002, dopo la dipartita di monsignor Alberto Bonini, parroco di San Giovanni Battista, don Pier Luigi gli succedette. Negli anni seguenti assunse seriamente il compito di guida della comunità, proponendo occasioni e spazi d’incontro e di comunione.
Nel settembre 2004, poco dopo aver iniziato a insegnare antropologia filosofica presso l’Istituto di Scienze Religiose «A. Trocchi» di Nepi, cominciò ad avere disturbi alla vista (diplopia, ossia ci vedeva doppio). Dagli accertamenti emerse che aveva un tumore al setto nasale, cui si aggiunse, dopo due mesi trascorsi con relativa serenità, un secondo tumore ai condotti biliari.
Nel febbraio 2005 fu operato d’urgenza all’ospedale Sant’Andrea di Roma, dove ebbe un secondo ricovero a ridosso della Pasqua dello stesso anno. Affrontò le terapie mettendosi contemporaneamente nelle mani di Dio.
All’alba di domenica 27 novembre 2005, all’inizio dell’Avvento secondo il Rito Romano, don Pier Luigi morì, dopo aver ricevuto l’Unzione degli Infermi da suo fratello, don Paolo.
L’inchiesta diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione su vita, virtù e fama di santità di don Pier Luigi si è aperta il 18 aprile 2021 presso la sala Doebbing di Nepi. I suoi resti mortali riposano dal 2008 nella cappella di famiglia, presso il cimitero di Civita Castellana.
Cosa c’entra con me?
Lo scorso 22 aprile, come faccio molto spesso, sono andata sul sito dell’editrice Velar per vedere le nuove uscite librarie, specie nella collana “Messaggeri d’Amore”, detta anche “Collana Blu” per il colore delle copertine. Ho deciso da tempo di acquistare solo volumetti che suscitino realmente il mio interesse o che potrebbero servirmi per qualche articolo, per ragioni di sobrietà.
Quando però ho visto che era in uscita un libro su don Pier Luigi, mi sono immediatamente incuriosita, specie per il sottotitolo. Anche la sinossi contribuiva in tal senso, anche se posso dire che, da tempo, non mi soffermo più troppo sulle storie di preti morti dopo un ministero relativamente breve.
Ho immediatamente controllato se santiebeati avesse già una pagina su di lui: c’è, ma è decisamente da completare. Non c’era miglior occasione, quindi, per rivolgermi ai contatti presenti sul sito della sua diocesi e chiedere di avere una copia del libro e qualche santino.
Lo stesso giorno, quindi, ho scritto alla postulazione, proponendomi di elaborare personalmente il profilo rinnovato: so per esperienza, infatti, che alcuni postulatori prendono tanto alla lettera il loro compito di custodire e tramandare la memoria dei loro assistiti, da sentire di dover essere gli unici a scrivere di essi.
La dottoressa Valentina Vartui Karakhanian, invece, non mi è parsa di questo avviso: nella risposta che mi ha spedito dopo una settimana, si è anzi detta favorevole al fatto che io ne parlassi qui e sull’altro sito. Per mesi, però, non ho avuto altri riscontri, anzi, quasi me ne ero dimenticata, presa da altre faccende.
Ieri mattina, mentre tornavo a casa da un funerale, mi è arrivata via WhatsApp la notizia della morte di don Graziano Gianola, prete della mia diocesi, a causa di un incidente in montagna. Premesso che non l’ho mai incontrato e che sono passata per una delle parrocchie della sua Comunità Pastorale, ben lontana da casa mia, prima che lui vi arrivasse, mi sono ugualmente e parecchio arrabbiata.
Non me la sono presa tanto con Dio che ha permesso anche questo (peraltro in una classe di sacerdoti che lo scorso anno, in maniera non meno tragica, ha perso un altro membro), ma col fatto che la stessa notizia mi era arrivata da una persona e su altri tre gruppi WhatsApp. Mi sono sentita come se mi venisse fatto pesare di non aver pregato abbastanza per lui e, quindi, di aver indirettamente favorito la sua morte.
La collera si è stemperata quando, appena arrivata a casa, ho trovato nella buca delle lettere una busta che conteneva il libretto su don Pier Luigi e un suo santino. Peraltro, ieri erano passati tre giorni dall’anniversario del suo compleanno. Tuttavia, non ero abbastanza in forma per darmi alla lettura, quindi l’ho rimandata, ma solo di poco.
Verso l’ora di cena, infatti, mi sono sentita meglio fisicamente, per cui ho cominciato a leggere. Ancora una volta, mi sono trovata davanti all’evidenza che ogni storia di vita, e di vite proposte per essere esempi ufficiali, è diversa e speciale a modo proprio. Superficialmente, don Pier Luigi poteva apparirmi simile ad altri sacerdoti giovani colpiti dalla malattia di cui ho letto e scritto, ma dovevo impegnarmi a riconoscere i suoi aspetti particolari.
Il primo mi è parso quello relativo al discernimento della vocazione al sacerdozio diocesano. Aveva alle spalle almeno due possibili modelli: il suo parroco e suo fratello. Eppure sentiva che Dio chiamava proprio lui, in un modo diverso da quello con cui gli altri due avevano avvertito la Sua voce. Proprio per questo, quando ormai l’ordinazione sacerdotale del fratello si avvicinava e lui stesso sembrava orientato a una carriera da professore, capì di non dover aspettare più.
Il secondo, più relativo al ministero, è invece l’impegno a favorire la comunione tra le varie componenti della comunità dov’era stato mandato. La sua formazione aveva ricevuto l’impronta dell’Azione Cattolica Italiana, ma questo non gl’impediva di lasciare spazio agli scout o ad altre forme aggregative e di riuscire a trovare tra di esse una sintesi: lo dimostra la buona riuscita del Grest 2004, in cui, peraltro, adottò la proposta della Fondazione Oratori Milanesi «Amici per la pelle» (un altro segno di comunione ecclesiale, anche se non è la prima volta che vedo proposte ambrosiane uscire dal nostro pur vasto territorio).
Un terzo lato che mi ha colpito è il suo modo di vivere la carità, con un’attenzione particolare verso le donne in difficoltà. Era iniziato affiancando l’amico Paolo Perelli, durante l’anno di diaconato, nel servizio pastorale presso la «Casa della Mamma» di Roma, e ha avuto un naturale proseguimento quando, ormai prete, frequentava le due case famiglia di Manziana: ascoltando le ospiti e parlando con loro, diceva di distendersi.
Infine, l’aspetto della malattia, che non visse isolandosi o rinchiudendosi nel dolore. Per lui, invece, fu un’ulteriore messa in pratica di un concetto che l’emergenza sanitaria ha reso ancora più autentico: «Non ci si salva l’uno senza l’altro».
Cosa c’entra con san Giuseppe?
Nella biografia non ho trovato particolari agganci tra lui e san Giuseppe, o segni di una devozione spiccata, al di là del fatto che la sua parrocchia di nascita era dedicata a San Giuseppe Operaio. Avrei potuto affermare che, in quanto parroco, ha esercitato il compito di custodire la comunità come fece lui, ma mi sembrava troppo poco specifico.
Ho quindi provato a cercarli sui mezzi di comunicazione della Postulazione. L’omelia di monsignor Romano Rossi, vescovo di Civita Castellana, pronunciata nella stessa parrocchia lo scorso 1° maggio, caricata sulla pagina Facebook e sul canale YouTube ufficiali, è capitata veramente a proposito.
In sostanza, afferma il vescovo, san Giuseppe e don Piccolo richiamano a due concetti. Anzitutto, bisogna imparare ad ascoltare la chiamata di Dio, ma senza stare fermi: bisogna, invece, uscire di casa e cercare un luogo dove ci si sente pienamente valorizzato. Nel suo caso, è stata proprio la parrocchia a cui apparteneva dal punto di vista territoriale, ma può anche essere altrove.
Il secondo concetto è che, una volta trovato il proprio posto, per essere veramente utili bisogna essere sé stessi, accettando che altri siano migliori di noi e di lavorare insieme, come in un’orchestra.
Il suo Vangelo
Per tutte queste ragioni, si può affermare che il Vangelo vissuto da don Pier Luigi è un’esperienza di comunità, che parte dal cuore del singolo e si allarga fino a raggiungere orizzonti impensati. Per viverla bene, però, quest’esperienza ha bisogno di momenti di silenzio, come quelli che lui si ritagliava visitando vari monasteri e trovando il suo angolo preferito nelle loro cappelle.
In questo senso, allora, il legame che l’ha unito ai suoi parrocchiani è stato la base per verificare, secondo gli strumenti che la Chiesa offre, se la sua vita sia stata realmente santa, come già poco dopo la morte proclamavano i disegni dei suoi bambini: in molti di essi è stato raffigurato con tanto di aureola.
Ai fedeli di Manziana si rivolgeva così nel suo ultimo messaggio, scritto mentre si trovava in famiglia per seguire meglio le cure, e recapitato nella solennità di Tutti i Santi del 2005:
L’avventura cristiana e umana non è fatta per essere vissuta in solitaria. La beatitudine vera è quella che spezza l’angosciante solitudine del cuore umano, nella gioia e nel dolore, il vero beato, Gesù, è colui che ha spezzato, in sé e negli altri, ogni solitudine esteriore ed interiore creando uno spazio di comunione, di amicizia, di legame, in cui tutti siamo chiamati a entrare, a volte per la porta stretta.
In tempi in cui stiamo cercando di recuperare le relazioni sfilacciate, fa bene sentire parole così.
Per saperne di più [Aggiornato 2 dicembre 2021]
Valentina Vartui Karakhanian, Servo di Dio Pier Luigi Quatrini – Il don Piccolo di Civita Castellana, Velar 2021, pp. 48, € 5,00.
La biografia uscita a ridosso dell’avvio della sua inchiesta diocesana, con molte testimonianze e alcuni estratti dagli scritti.
Pier Luigi Quatrini, Quando la Parola mette radici - Appunti delle omelie del Servo di Dio don Pier Luigi Quatrini, a cura di suor Valeria Critelli, San Paolo 2021, pp. 128, € 10,00.
Su Internet
Sezione del sito della diocesi di Civita Castellana dedicata a lui
Pagina Facebook della sua Postulazione
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