Padre Massimiliano Maria Kolbe: un dono di vita ai fratelli attraverso l’Immacolata
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Rajmund Kolbe nacque a Zdunska-Wola, nella Polonia centrale, l’8 gennaio 1884, figlio di Juliusz Kolbe, tessitore, e Mariann Dabrowska, levatrice. Fu uno dei tre figli maschi sopravvissuti, sui cinque che erano venuti alla luce. Ebbe una formazione scolastica piuttosto approssimativa, grazie a un sacerdote e al farmacista del suo paese, ma dal 1906 frequentò la scuola commerciale a Pabianice.
Insieme al fratello maggiore Franciszek fu accolto nel Seminario Minore dei Frati Minori Conventuali (che aveva conosciuto durante una missione popolare) a Leopoli, per poter avere un’istruzione più completa. A differenza dell’altro, che uscì e successivamente intraprese la carriera militare, sentiva di essere chiamato in maniera speciale, sin da bambino.
Il 4 settembre 1910 iniziò quindi il noviziato, cambiando nome in fra Massimiliano; un anno e un giorno dopo emise la professione semplice. Dal 1912 soggiornò presso il Collegio Serafico Internazionale di Roma, dove professò i voti solenni il 1° novembre 1914; in quell’occasione, aggiunse il nome di Maria a quello che già portava dall’ingresso in noviziato. Nel 1915 si laureò in Filosofia all’università Gregoriana. Di salute era parecchio fragile, tanto da avere per la prima volta delle emottisi proprio durante il periodo romano.
Consapevole di vivere in un tempo in cui la Chiesa era attaccata da correnti filosofiche e ideologie palesemente contrarie, mentre i fedeli attraversavano crisi e turbamenti, cominciò a pensare a un’associazione che avesse come scopo il rinnovamento spirituale, con l’esempio e la guida della Vergine Maria. La sera del 16 ottobre 1917, ottenuto il permesso dei superiori, insieme ad altri sei compagni diede quindi vita alla Milizia dell’Immacolata (MI in sigla).
Fu ordinato sacerdote il 28 aprile 1918 nella chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma; celebrò la Prima Messa il giorno seguente nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, presso l’altare della Madonna del Miracolo (ossia il luogo esatto dove la Vergine apparve ad Alphonse Ratisbonne).
Dopo essersi laureato in Teologia nel 1919, rientrò in Polonia. Per ragioni di salute, non poté essere incaricato della predicazione o dell’insegnamento, per cui fu lasciato libero di dedicarsi all’ampliamento e al consolidamento della Milizia dell’Immacolata. Nel 1922 fondò l’organo ufficiale dell’associazione, la rivista “Il Cavaliere dell’Immacolata”.
Grazie alla donazione di un benefattore, nel 1927, avviò la costruzione di Niepokalanów, un convento delle dimensioni di una vera città, dedicato all’Immacolata (il nome significa proprio “Città dell’Immacolata”), di cui diventa il superiore. Tre anni dopo, ottenne di essere inviato in Giappone: anche lì fondò un convento-città, Mugenzai no Sono (“Giardino dell’Immacolata”).
Il progetto di fondarne un terzo in India, invece, non fu concretizzato, per cui padre Massimiliano dovette tornare in patria, proprio nel periodo in cui il nazismo cominciava ad avere ancora più potere.
I frati, intanto, accoglievano rifugiati sia cristiani, sia ebrei, motivo per cui cominciarono a essere visti con sospetto dalla polizia nazista, che arrestò, il 19 settembre 1939, padre Massimiliano e altri trentacinque confratelli. Riuscirono a tornare nel mese di dicembre, ma non avevano smesso la loro attività missionaria durante i trasferimenti nei campi di concentramento di Lamsdorf, Amtitz e Ostrzeszow. L’8 dicembre 1939 aprì con un discorso le trasmissioni di SP3RN, l’emittente radiofonica di Niepokalanów.
Il 17 febbraio 1940, con un inganno, padre Massimiliano viene arrestato per la seconda volta. Dalla prigione di Pawiak viene quindi trasferito al campo di concentramento di Oswiecim o Auschwitz, dove arriva il 28 maggio; gli viene assegnato il numero di matricola 16670.
A causa della fuga di un detenuto dal blocco 14, il direttore del campo scelse, per rappresaglia, dieci altri detenuti, in due riprese, il 28 luglio e il 1° agosto, condannandoli alla morte per fame. Padre Massimiliano domandò di poter sostituire uno di essi, Franciszek Gajowniczek: venne quindi rinchiuso nel blocco 13, luogo del “bunker della fame”.
Il 14 agosto 1941, non tutti i prigionieri erano ancora morti: ne rimanevano quattro compreso padre Massimiliano, che, nei giorni precedenti, aveva aiutato gli altri a pregare e ad accettare la morte. A lui e ai sopravvissuti fu iniettato dell’acido fenico.
Fu beatificato il 17 ottobre 1971 da san Paolo VI nella basilica di San Pietro a Roma, ma la sua causa era stata condotta per verificare l’esercizio delle virtù eroiche, quindi erano stati necessari due miracoli per beatificarlo. In più, per la discussione sull’eroicità delle virtù, avrebbero dovuto trascorrere cinquant’anni in base alle norme dell’epoca, ma il Papa aveva concesso la dispensa il 13 novembre 1965, su richiesta dei vescovi polacchi e tedeschi.
I componenti dei medesimi episcopati, il 5 giugno 1982, scrissero al nuovo Papa, san Giovanni Paolo II, per chiedergli che il Beato Massimiliano venisse canonizzato come martire. Il 10 ottobre 1982, quindi, lo iscrisse nell’albo dei Santi, precisando che ciò avveniva per testimonium caritatis heroicis, ossia “in base all’eroica testimonianza della carità”.
I resti mortali di san Massimiliano sono andati bruciati nel forno crematorio del campo di Auschwitz, ma la cella dove morì è stata preservata come memoriale.
Cosa c’entra con me?
Nell’estate dei miei nove anni, la mia maestra di religione diede un compito per le vacanze molto particolare a noi suoi allievi: una ricerca su come viveva un religioso o una religiosa nel luogo dove saremmo andati in vacanza. Una delle mie cugine di Portici mi propose, allora, di poter chiedere ai Frati Minori Conventuali del convento di Sant’Antonio di Padova, a due passi da casa sua.
Il mio primo incontro con san Massimiliano è avvenuto proprio così, contemplando un suo quadro che un tempo era situato a destra dell’entrata, di fronte alla statua del Santo portoghese. Era raffigurato col saio e indicava l’Immacolata, sospesa nel cielo al di sopra del filo spinato. In effetti, aveva pernottato in quello stesso convento il 3 luglio 1919, come indicava una lapide nel chiostro. A grandi linee, negli anni successivi, venni a conoscenza del fatto che era morto ad Auschwitz scambiandosi con un altro detenuto, ma non sapevo molto di più.
Una decina d’anni fa, conversando con un amico prossimo all’ordinazione, lui mi disse che durante le vacanze estive aveva letto la sua biografia. In particolare, l’aveva colpito il sogno o visione delle due corone, ovvero l’episodio avvenuto nel 1904, in cui la Madonna era apparsa al piccolo Rajmund mostrandogli una corona rossa e una bianca e domandandogli quale preferisse: lui le scelse tutte e due.
Il significato che viene abitualmente dato a quell’apparizione era che il bambino aveva accettato sia la purezza, sia il martirio. Per uno come il mio amico, che a volte veniva preso in giro anche dai compagni seminaristi per il suo amore alla Madre di Dio, doveva essere decisamente un ottimo modello.
Poco tempo prima, avevo scoperto che il nostro Santo era una figura centrale nella spiritualità dei Francescani dell’Immacolata, cui apparteneva un mio dirimpettaio, conosciuto in parrocchia grazie ai suoi familiari.
Proprio su Tele Radio Buon Consiglio, emittente di quei frati, un 14 agosto di non molti anni dopo e durante le mie vacanze a Portici, ho visto una registrazione dell’opera rock Kolbe – Fare della vita un dono, composta da Daniele Ricci. Da quel che ricordo, non era male, anche se rispettava i classici luoghi comuni del musical religioso, vale a dire i brani allegri, quelli più riflessivi e di preghiera, la figura dell’antagonista quasi diabolico e quella di un altro personaggio in via di conversione, più il finale in gloria.
Su TV 2000, invece, meno di cinque anni fa, sono riuscita a vedere il film Vita per vita, di cui avevo sentito parlare molto bene. Mi sono trovata pienamente d’accordo: rappresenta una vera riflessione per immagini su cosa sia la santità e sul perché la Chiesa s’impegni tanto per accertarla nei suoi figli.
Nel 2011, invece, avevo scoperto che la Milizia dell’Immacolata era stata fondata non dal solo padre Kolbe, ma da sette frati lui compreso; in spirito intercongregazionale, pensai che erano sette come i Santi amici fiorentini che fondarono i Servi di Maria. Uno di quei giovani frati in formazione al Collegio Serafico Internazionale era fra Girolamo Maria Biasi: avevo trovato un suo santino proprio rovistando, col permesso del sacrestano, in un armadio della sacrestia di Sant’Antonio a Portici.
La MI non è stata una scuola per santificarsi solo quel giovane religioso trentino, ma anche per altri due confratelli dei quali la Chiesa sta effettivamente vagliando la santità: si tratta di padre Quirico Pignalberi, come lui Venerabile, e di padre Antonio Mansi, la cui inchiesta diocesana è iniziata nel 2019. Il rischio, per anni, è stato considerare i compagni che avevano fama di santi all’ombra della santità personale del compagno già canonizzato; le singole cause, invece, stanno permettendo di capire che c’è molto di più.
Quando poi ho saputo del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, non mi è interessato prendere posizione, ma pregare chiedendo a padre Kolbe d’intercedere perché tutto si sistemasse per il meglio e, in particolare, perché il mio amico frate perseverasse nella vocazione intrapresa. In effetti, un paio d’anni dopo, l’ho rivisto comparire su TV 2000 col caratteristico saio azzurro e la Medaglia Miracolosa sul cuore; la scritta con cui era presentato diceva che si trovava a Roma.
Circa nello stesso periodo, ascoltando la trasmissione I Sempre Giovani su Radio Maria, ho sentito che il conduttore, il giornalista Angelo Montonati, aveva dichiarato di aver trovato e intervistato poco prima della beatificazione, per Famiglia Cristiana, Franciszek Gajowniczek. La sua vita dopo lo scambio col futuro santo è stata parecchio avventurosa, come lo stesso Montonati ha raccontato sul sito del medesimo settimanale nel 2018.
Cinque anni fa esatti, invece, poco prima del 75° del martirio, dopo aver letto su un sito un testo copincollato dalla sua scheda su santiebeati, errori di sintassi compresi, decisi di dover intervenire. Pensai che la persona giusta a cui chiedere aiuto fosse padre Raffaele Di Muro, al tempo direttore del Centro Internazionale della MI: l’avevo visto più volte su TV 2000 a parlare di lui, non ultimo in questa puntata di Siamo Noi, dedicata al suo modo di pregare.
In particolare, mi premeva specificare che padre Kolbe non era stato beatificato in quanto martire. Mi rispose quasi subito, fornendo consigli preziosissimi.
Mentre rivedevo la scheda, però, mi venne spontaneo domandarmi in che senso si rifacessero a lui le consacrate dell’Istituto Secolare delle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe, che conoscevo di fama per aver sentito parlare, anche se non l’avevo ancora approfondita, della Serva di Dio Santa Scorese.
Non ci volle molto per capire che l’Istituto era stato fondato da padre Luigi Faccenda, incaricato di occuparsi della MI a Bologna nel 1945. Accostandosi ai suoi scritti, assunse su di sé la medesima passione per la salvezza dell’uomo attraverso l’Immacolata. Le Missionarie dell’Immacolata nacquero nel 1954, dietro insistenza di alcune giovani che intendevano consacrandosi a Dio a servizio dell’evangelizzazione, seguendo lo stile missionario del Santo.
Oltre a questi legami, riconosco che ho almeno un aspetto in comune con padre Kolbe. Si tratta della passione per la comunicazione del Vangelo tramite tutti i mezzi disponibili. Nel suo caso, si trattava della stampa, compresa l’edizione di un quotidiano, e della radio. Il suo nominativo da radioamatore era l'abbreviazione di "Stazione Polacca 3 Radio Niepokalanów", ma non mi consta che il patronato sui radioamatori gli sia stato conferito ufficialmente.
Con la radio ho un’esperienza più ridotta, ma sono sicura che almeno un paio di miei lettori che operano radiofonicamente potrebbero raccomandarsi a lui, se non lo fanno già.
Dovrei approfondire, invece, i rapporti che lui sentiva di avere nella Comunione dei Santi con chi era vissuto prima di lui. Ovviamente è fondamentale quello con san Francesco d’Assisi, ma mi consta che avesse un trasporto speciale per santa Gemma Galgani.
Infine, sento di condividere una curiosità che mi ha colta mentre scrivevo questo post: mi sono chiesta come mai, in molte fotografie, lui portasse la barba pur essendo un membro dell’Ordine Francescano Conventuale, non di quello Cappuccino.
In questo sussidio di preghiera per il settantacinquesimo anniversario della morte, è spiegato che se l’era fatta crescere nel periodo trascorso in Giappone, per essere identificato meglio come un missionario. Nella Germania e nella Polonia naziste, però, quell’ornamento costituiva una provocazione insieme al suo saio e lo rendeva simile agli ebrei, che erano raffigurati appunto con lunghe barbe, nelle caricature sui giornali.
Dato che all’abito religioso non poteva rinunciare, preferiva farsi radere. Purtroppo, invece, gli fu tolto durante la prigionia: nell’iconografia, è facilmente identificabile perché sotto il saio, o in sostituzione parziale o totale dello stesso, ha indosso la divisa a righe dei prigionieri dei campi di concentramento, col triangolo rosso e il numero di matricola.
Fra Camillo, il confratello che operò la rasatura, conservò alcuni peli: di fatto, insieme a quelle poche ciocche conservate in altre occasioni simili, prontamente raccolte da altri frati, sono l’unica sua reliquia ex corpore che resta, custodita in maggior parte a Niepokalanów.
Cosa c’entra con san Giuseppe?
Ammetto che non avevo affatto idea se san Massimiliano fosse particolarmente devoto a san Giuseppe. Sul sito nazionale della MI ho trovato il file PDF degli Scritti Kolbiani (sigla SK), in cui ho provato a verificare le occorrenze del suo nome.
Due volte dice di aver ascoltato prediche su di lui, il 21 aprile 1918 e l’11 maggio 1919, mentre in tre casi appunta brevissime riflessioni a riguardo: il 17 aprile 1918 commenta come i comandi di san Giuseppe alla sposa e al figlio fossero quasi delle preghiere. Due giorni dopo, sottolinea la sua fede viva, l’umiltà e la fiducia, che gli fanno ripensare a quelle stesse caratteristiche, presenti nel patriarca Abramo.
Il 7 maggio 1919 riporta indirettamente quell’espressione secondo cui santa Teresa d’Avila affermò di non aver mai pregato invano san Giuseppe. Mette quasi immediatamente in pratica quell’invito, scrivendo espressamente, l’11 maggio, «S. Giuseppe, prega per me», dopo essersi appuntato di dover fare tutto nella misura delle proprie possibilità e confidando nella Madonna.
Il 13 marzo 1920, sbarcando a Suez, riflette poi sul fatto di aver attraversato la strada percorsa dalla Madonna col Bambino e san Giuseppe per fuggire in Egitto.
Sorprendentemente, benché lo avesse definito «un patrono valido» in un appunto del 19 marzo 1920, non è stato lui il “cassiere” della MI nei primi tempi, ma san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Padre Kolbe lo dichiara nella lettera a padre Floriano Koziura, scritta il 7 novembre 1935 (SK 649): aveva messo una sua immaginetta nella scatola in cui raccoglieva le prime offerte. Peraltro, all’epoca non era ancora stato canonizzato, ma la sua fama di sacerdote totalmente affidato alla Provvidenza Divina lo rendeva perfetto per quei bisogni.
Anche Miquel Bordas Prószynski, Presidente facente funzione del Centro Internazionale Milizia dell’Immacolata, ha provato a trovare collegamenti tra i due, basandosi sulla coincidenza dell’anno dedicato a san Giuseppe come patrono della Chiesa Universale e l’Anno Kolbiano nel settantesimo del martirio. Nella lettera scritta per l’occasione, afferma:
Anche attraverso il Santo Patriarca, custode di Gesù e dell’Immacolata, capo della Santa Famiglia, che possiamo riconoscere la fisionomia morale e spirituale di san Massimiliano. Entrambi, San Giuseppe e San Massimiliano, sono esempi di “fiducia filiale” e, allo stesso tempo, di “paternità umana spirituale feconda”, che partecipa della massima paternità di Dio, principio e sostenitore di tutto bene. Nel caso particolare del «Padre» Kolbe, è significativo che ha dato la sua vita per un «padre» di famiglia, Franciszek Gajowniczek.
Il suo Vangelo
Il dono della vita per salvare i fratelli è la chiave con cui tutto il percorso di san Massimiliano può essere spiegato. Altrimenti, la Milizia dell’Immacolata, le Città dell’Immacolata in Polonia e in Giappone, l’impiego dei mezzi di comunicazione sarebbero solo delle realizzazioni lodevoli in sé, ma prive di anima.
Da giovane frate-studente, infatti, fremeva quando vedeva manifestazioni pubbliche attuate dai massoni, oppure quando sentiva che i suoi confratelli s’interessavano al modernismo dimenticando l’essenza della loro consacrazione. Quelle opere avevano, quindi, l’unico scopo di ricordare a tutti che Dio esiste e che ha voluto farsi uno di noi passando per l’incarnazione, permessa dall’obbedienza di Maria al volere di Dio.
Al di là dello scambio con Gajowniczek, che ha permesso di dichiararlo martire “della carità” (ma, a ben vedere, ogni martirio è per la fede che si esplica in vario modo: attraverso la difesa della castità, la passione per la giustizia oppure la carità portata all’estremo) dopo di lui è stato possibile avviare le cause e, successivamente, dichiarare martiri molti religiosi, religiose e laici destinati a morire nei campi di concentramento perché, vivendo e predicando il Vangelo, erano in palese contrasto con l’ideologia nazista.
Forse pensava alla guerra che di lì a poco avrebbe devastato il mondo, compreso il Giappone nel quale risiedeva al tempo, quando scriveva, nel terzo numero del 1936 di «Mugenzai no Seibo no Kishi» (l’edizione giapponese de «Il Cavaliere dell’Immacolata») l’articolo intitolato La religione dell’amore (SK 1205).
Gran parte del testo, scritto originariamente in giapponese, è occupata da citazioni prese dai Vangeli di Matteo e Giovanni e, in minor parte, dalla prima Lettera di san Pietro e dalla prima di san Giovanni. Tutti gli estratti servono al Santo per dimostrare quanto vivamente Gesù desiderasse che tra gli uomini regnasse un amore sincero.
Riporto quindi l’attacco e la conclusione:
L’odio divide, separa e distrugge, mentre al contrario l’amore unisce, dà pace ed edifica.
Nulla di strano, quindi, che solo l’amore riesca a rendere sempre gli uomini perfetti.
Perciò, solamente quella religione che insegna l’amore di Dio e del prossimo può perfezionare gli uomini.
La religione di Gesù Cristo è realmente questa religione dell’amore, dell’amore perfetto.
[...]
È lecito affermare che se questa religione si diffondesse nel mondo intero, esso diventerebbe un paradiso.
A settant’anni dal suo martirio, questo sogno tarda ancora a realizzarsi. Il suo esempio, in compenso, costituisce ancora uno sprone per realizzarlo.
Per saperne di più
Gianfranco Grieco, San Massimiliano Kolbe. Una luce nel lager di Auschwitz, Velar-Elledici 2009, pp. 64, € 6,00.
Un’introduzione essenziale alla sua conoscenza, scritta da un frate conventuale giornalista recentemente scomparso.
Severino Ragazzini, San Massimiliano Kolbe - La biografia completa del martire di Auschwitz attraverso i suoi scritti, San Paolo Edizioni 2016, pp. 256, € 14,90
Biografia composta da una selezione degli scritti e di testimonianze di suoi contemporanei.
Raffaele Di Muro, Massimiliano Kolbe - Il trionfo dell'amore, Libreria Editrice Vaticana 2016, pp. 174, € 10,00.
Una biografia con gli elementi più rilevanti della sua storia, scritta per il settantacinquesimo anniversario del martirio.
Raffaele Di Muro, Massimiliano Kolbe - «Un mistico nella scia dell'Immacolata», Libreria Editrice Vaticana 2013, pp. 160, € 11,00.
Una selezione di testi divisi per aree tematiche legate alla teologia spirituale.
Raffaele Di Muro, La sofferenza in san Massimiliano Kolbe, Libreria Editrice Vaticana 2014, pp. 104, € 10,00.
Un approfondimento su come il Santo ha vissuto la sofferenza nella sua persona e sul suo pensiero a riguardo.
Su Internet
Sito del Centro Internazionale della Milizia dell’Immacolata a Roma
Sito della sede nazionale italiana della Milizia dell’Immacolata
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