Don Jean-Paul Hyvernat, guida fedele per l’eternità

A don Jean-Paul non piacevano
le foto in cui lo si vedeva in viso,
ma ho pensato di scegliere questa
(dalla quarta di copertina di
Prêtre pour l’eternité)
perché ha un’espressione sorridente.



NOTA PREVIA : secondo l’uso francese, le mie fonti chiamano ora “abbé”, ora “père” il protagonista di questo post. Essendo un sacerdote diocesano, uso l’appellativo “don”, in base all’uso italiano, a cui corrisponde effettivamente la prima forma.

 

Chi è?

 

Jean-Paul Hyvernat nacque a Saint-Germain-du-Plain, nel dipartimento francese di Saona e Loira, l’11 settembre 1956, quarto di sette figli (preceduto da tre fratelli e seguito da tre sorelle). Suo padre Paul era veterinario, mentre sua madre era casalinga. Trascorse l’infanzia seguendo l’educazione impartita dai genitori; per le elementari, fu allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Adolescente, aderì allo scautismo: emise la Promessa nel 1970.

Nel dicembre 1973, durante un ritiro spirituale nelle vicinanze della basilica del Sacro Cuore a Montmartre, riconobbe di sentirsi chiamato al sacerdozio: i genitori furono molto felici. Allo stesso tempo era preoccupato di non riuscire a trovare, nella Francia del post-Sessantotto e negli anni immediatamente seguenti al Concilio Vaticano II, un luogo dove compiere una formazione realmente fedele agli insegnamenti della Chiesa.

Credette di averla trovata nel seminario di Écône, nel Vallese svizzero. Il 2 febbraio 1976 compì la vestizione clericale e il 29 giugno dello stesso anno assistette all’ordinazione di tredici sacerdoti, compiuta da monsignor Marcel Lefebvre, che aveva fondato quel seminario. Tuttavia, quell’atto si era svolto senza che i sacerdoti venissero incardinati in alcuna diocesi: rappresentava quindi uno dei passi che, in seguito, avrebbero portato a uno scisma.

Quando Jean-Paul capì, non immediatamente, che si trattava di un fatto grave, fu profondamente turbato. Un amico di suo padre gli suggerì d’intraprendere il servizio militare, che svolse presso il nono reggimento dei Cacciatori Paracadutisti a Tolosa, in attesa di capire come proseguire la formazione. Le domeniche, però, compiva il tirocinio pastorale nella parrocchia di Négrepelisse.

Dopo che alcuni educatori e altri allievi ebbero scelto di lasciare Écône e avevano ripreso la vita seminaristica a Saint-Hélier, Jean-Paul, terminato il servizio militare, si unì a loro. Intanto, il Papa san Paolo VI aveva stabilito che venissero ospitati a Roma, nel Collegio Apostolico Leoniano dei Preti della Missione, diventato da tempo un convitto ecclesiastico per i preti studenti nelle Università Pontificie.

Il 2 febbraio 1978, Jean-Paul iniziò il suo soggiorno romano, seguendo i corsi nella Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, ovvero l’Angelicum. Nell’ottobre 1980 passò al Pontificio Seminario Francese, perché nel Natale 1979 aveva conosciuto monsignor Louis Simonneaux, vescovo di Versailles, che aveva accettato d’incardinarlo nella sua diocesi.

Dal settembre 1980 fece la spola tra Roma e la parrocchia collegiata di Nostra Signora a Poissy, sede del suo nuovo tirocinio pastorale. Conclusi gli studi nel 1982, vi si stabilì definitivamente. Fu ordinato diacono il 12 giugno 1983 e sacerdote il 26 novembre dello stesso anno.

Il suo primo incarico fu, a partire dall’estate del 1984, nella parrocchia della cattedrale di San Luigi a Versailles. Si dedicò alla formazione dei giovani, compresi gli scout, curando le catechesi, proponendo loro pellegrinaggi e momenti di preghiera particolarmente intensi. Seguiva con attenzione anche le coppie che si preparavano al matrimonio e non trascurava le visite ai malati.

In vista del suo ingresso come parroco a Montigny le Bretonneux, nella parrocchia di San Martino, fissato al 1° settembre 1991, don Jean-Paul partì per andare a trovare i suoi familiari, in vacanza in Alta Savoia. Con lui erano presenti alcuni giovani che aveva accompagnato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Czestochowa e nel pellegrinaggio che ne era seguito.

Il 28 agosto 1991, mentre la comitiva era nei pressi del ghiacciaio dei Bossons a Chamonix, un masso si staccò, ferendo lievemente due ragazze e, più gravemente, lui; morì praticamente dissanguato. Di lì a poco avrebbe compiuto trentacinque anni.

 

Cosa c’entra con me?

 

Nei primi mesi del 2009, in parallelo alla conclusione della tesi della laurea specialistica, cominciai ad approfondire la storia del Beato Karl Leisner, di cui avevo sentito parlare in un documentario sulla Chiesa sotto il nazismo. Non essendo in grado di capire il tedesco, mi orientai su qualche pubblicazione in francese, lingua che avevo studiato alle scuole medie.

Finii quindi sul sito delle Edizioni Pierre Téqui, casa editrice cattolica francese, e cominciai a guardare i libri della collana Témoins de l’amour, che comprendevano anche una sua biografia.

Tra gli altri volumi, attirò la mia attenzione quello sulla cui copertina si vedeva un sacerdote che celebrava Messa in mezzo ad alcune cime montuose, vestito di una casula dello stesso colore della neve che imbiancava le vette. Il riassunto mi permise di capire che si trattava di Jean-Paul Hyvernat, nome che finì immediatamente in un motore di ricerca. In quel modo avvenne il mio primo contatto con lui: in particolare, tramite le parole del suo testamento spirituale (qui in lingua originale).

Ordinai entrambi i libri alla Libreria San Paolo di Milano, dato che all’epoca non ero granché pratica di acquisti digitali. Arrivarono l’8 aprile 2009, mercoledì della Settimana Santa, ma non li ritirai subito: passai l’indomani, perché avevo previsto di andare in Duomo per la Messa del Crisma. Mi parve significativo comprare due libri su due sacerdoti diversi per epoche, ma simili, da quel poco che sapevo, per la fedeltà alla Chiesa.

La lettura mi fece calare immediatamente nella vita seminaristica del protagonista, anche se sapevo già, a grandi linee, che lo scisma causato da monsignor Lefebvre non era lontano. Mi domandavo, però, come Jean-Paul si fosse reso conto solo dopo qualche tempo di quanto stava accadendo sotto i suoi occhi.

Procedendo, capii che per lui era molto più importante restare fedele alle decisioni del Papa, chiunque fosse, che arroccarsi in una difesa sterile di qualcosa che, comunque, faceva parte della storia della Chiesa.

Alcuni atteggiamenti gli rimasero impressi, come conseguenza della sua formazione (indossava sempre almeno la camicia col colletto, celebrava Messa anche in montagna parato di tutto punto e amava cantare, specie nella Liturgia delle Ore), ma aveva imparato a regolarli secondo quanto aveva imparato nel clima più universale dei suoi anni romani e in base all’inizio del suo ministero.

Trovai poi un punto in comune con lui nella passione per i Santi e per i Testimoni. I suoi prediletti erano san Tommaso d’Aquino (era molto ferrato sulla teologia tomista), san Francesco di Sales, sant’Agostino (morì proprio il giorno della sua memoria), santa Teresa di Gesù Bambino (visitò frequentemente il santuario di Lisieux e la citò in alcune omelie) e san Luigi IX (il cui nome ricorre nelle sue varie destinazioni: a Poissy è conservato il fonte battesimale di quel re francese, a cui è intitolata la cattedrale di Versailles). Per non parlare, poi, dell’affinità che sentiva con san Giovanni Paolo II, al di là dell’omonimia (con i suoi giovani, realizzò un compendio delle sue catechesi sulla “teologia del corpo”) e del fatto che la soluzione della vicenda degli ex di Écône arrivò grazie a san Paolo VI.

Nel secondo tipo di personaggi rientrano due giovani con lo stesso nome, sue contemporanee: Claire de Castelbajac, una restauratrice che visse qualche anno in Italia e che si sentiva “apostola della gioia”, morta quasi ventitreenne per una meningite fulminante (per lei, ora, è in corso la causa di beatificazione; prima o poi mi piacerebbe parlarne più estesamente) e Claire de Saint-Martin, caposcout di Versailles rimasta uccisa in un incidente d’auto che era costato la vita ad altri quattro giovani.

Anche nell’esperienza delle GMG trovai un punto in comune con lui, però immagino che l’esperienza del 1991 sia stata molto diversa da quelle che ho vissuto io nel 2005, nel 2011 e nel 2016.

Il sito dell’editore Téqui riportava, in correlazione col primo libro, un altro che conteneva estratti, tra l’altro, dalle conferenze e dai messaggi che don Jean-Paul inviava ai membri della «Cordata Spirituale» («Cordée Spirituelle»), un’iniziativa per giovani dai sedici ai venticinque anni, nella quale forniva dei punti fissi per la vita spirituale.

Lo ritirai il 24 agosto 2011, quattro giorni prima del ventesimo anniversario della sua morte. Due giorni dopo, il 26, scrissi al vicario della cattedrale di Versailles, sperando che non se la prendesse. In uno stentatissimo francese, espressi le mie considerazioni dopo la lettura del libro. In particolare, affermai che qualcuno, arrivato all’ultima pagina, penserebbe che non esistevano più preti come lui: da parte mia, ero convinta del contrario. Infine domandai di poter scrivere un suo profilo per santiebeati; sezione Testimoni, ovviamente. La risposta arrivò il giorno dopo: potevo benissimo farlo conoscere, perché lui apparteneva alla Chiesa e ai giovani.

Il profilo biografico fu pubblicato il 5 maggio 2012, ma il responsabile del sito m’invitò a non mandargli, almeno per un po’, articoli su Testimoni: avrei dovuto, piuttosto, scrivere di Santi o di Beati riconosciuti. Non sapevo da dove cominciare: oggi, invece, ho l’imbarazzo della scelta.

A don Jean-Paul, poi, dedicai una parte della Via Crucis Sui passi del Maestro, ovvero la dodicesima dello schema tradizionale: pensavo che la stazione dedicata alla contemplazione della morte di Gesù potesse essere illustrata adeguatamente dalla descrizione del suo incidente fatale. Trassi dalle sue meditazioni, invece, le invocazioni che seguivano il racconto della sua testimonianza.

Infine, mi sorprese leggere, in uno degli inserti centrali di Credere nell’estate del 2018, una brevissima presentazione della sua storia: credo che si trattasse di un approfondimento della mostra a pannelli Santi della porta accanto, realizzata per il Sinodo dei Giovani. Evidentemente, la mia fatica nel leggere e sintetizzare quei libri era servita.

 

Cosa c’entra con san Giuseppe?

 

Nei libri che ho letto non ho trovato tracce di una particolare devozione di don Jean-Paul per san Giuseppe. In compenso, posso però affermare che lui vivesse con intensità il proprio ruolo di padre spirituale, tanto da preferire quel termine a “direttore”.

I suoi insegnamenti, nelle catechesi dei Mercoledì di San Luigi ma anche nei colloqui individuali, erano allo stesso tempo semplici e profondi. Non esitava a proporre ai giovani vie esigenti per la preghiera personale e comunitaria, a partire da quando ci si sveglia.

Questo non vuol dire che fosse eccessivamente serio o rigido: rideva, scherzava, cantava, faceva le smorfie (l’imitazione del comico Louis de Funès era il suo cavallo di battaglia). Allo stesso tempo, non era nemmeno un compagnone: quanti l’accostavano sapevano bene che era un prete e come tale gli portavano rispetto, ma non soggezione.

 

Il suo Vangelo

 

L’intera vita di don Jean-Paul insegna come la Chiesa possa essere luogo dove ogni sensibilità viene accolta, purché non sia in contrasto con la Tradizione rettamente intesa. La sua scelta di studiare a Écône veniva dalla necessità di trovare un punto fermo in mezzo a tante interpretazioni fuorvianti, ma anche lì c’erano storture in un altro senso.

Con le sue esperienze a Roma e in parrocchia, comprese che il suo senso di Chiesa doveva ampliarsi rispetto a quello che aveva studiato: in particolare, mediante l’incontro con i fedeli, da poter accompagnare ad amare e a conoscere Dio proprio com’era successo a lui. Proponendosi come padre per i suoi giovani, ma senza per questo sostituirsi a Dio, indicava loro le mete più alte, radicandosi nella Parola di Dio e nell’esempio dei Santi a lui più cari.

Infine, invitava a donarsi interamente a Dio, come risulta da un appunto in preparazione a un’omelia nel settembre 1988:

Gesù ha senso dell’umorismo: ci domanda di dare tutto, e quando non si ha più nulla da dare, vuole ancora questo nulla. Al giovane ricco domanda di sbarazzarsi dei suoi beni, perché ciò che vuole è lui.

Secondo le testimonianze, sapeva che valeva lo stesso per la propria persona e si comportava di conseguenza.


Per saperne di più

 

Daniel e Odette Germain, Prêtre pour l’éternité – Jean-Paul Hyvernat, Editions Pierre Téqui 1997, 184 pp., € 13,90.

La sua vita raccontata attraverso le sue lettere e le testimonianze da parte di chi l’aveva conosciuto.

 

Jean-Paul Hyvernat, Paroles sur la vie chrétienne, Editions Pierre Téqui 1999, 168 pp., € 6,10.

Una selezione, divisa per temi, delle sue catechesi, delle omelie e di scritti personali.

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