CineTestimoniando #11: «Cosa mi lasci di te»

Fonte
USA 2019, Andrew Ervin e Jon Erwin, Kingdom Story Company – Lionsgate Productions, 1h55’

 

Nell’estate del 2020, una delle poche attività che avevo provato a seguire, compatibilmente con l’attenzione alle questioni sanitarie, era il cinema all’aperto di una delle parrocchie del mio Decanato. Ho segnalato l’iniziativa a mia sorella e a mio cognato, che hanno quindi colto l’occasione per recuperare non pochi film, persi per via dell’emergenza sanitaria e per altre ragioni.

L’ultimo spettacolo, organizzato per la festa dell’oratorio, fu la proiezione di Cosa mi lasci di te. Credevo che a mia sorella le vicende strappalacrime con giovanissimi, che vedono uno dei protagonisti gravemente malato, non piacessero, ma ha accettato di venire a vedere anche quella.

Di fatto, questo lungometraggio avrebbe dovuto uscire nelle sale il 19 marzo, ma a causa del coronavirus è stata resa disponibile on demand sulle principali piattaforme legali, nonché in DVD.

Più precisamente: iTunes & Apple TVRakuten TV Google Play, Infinity, CHILI e  Amazon Prime Video.

 Questa sera sarà trasmesso in prima visione su Raiuno: ho quindi pensato di pubblicare la recensione che avevo abbozzato pochi mesi dopo la proiezione parrocchiale.

 

La trama in breve

 

Jeremy Camp, un giovane di vent’anni (KJ Apa), appassionato di musica, parte dall’Indiana per frequentare l’università.

Una sera s’infiltra sul palco del concerto di Jean-Luc Lajoie (Nathan Parsons), anche lui della stessa università e musicista. Tra il pubblico scorge Melissa Henning (Britt Robertson), anche lei al primo anno, e se ne innamora a prima vista.

Inizialmente lei rifiuta la sua corte, dato che prova qualcosa per Jean-Luc, ma un evento improvviso li avvicina. Tuttavia, la loro storia d’amore, appena agli inizi, sembra destinata a una repentina fine…

 

Considerazioni di stile

 

Rispetto alla maggior parte dei film che ho trattato in questa rubrica, Cosa mi lasci di te è realizzato da professionisti, sia dal punto di vista tecnico che da quello attoriale. I fratelli Erwin hanno all’attivo altre produzioni, come October Baby e Una canzone per mio padre, perlopiù basate su storie vere in grado di appassionare lo spettatore.

Jeremy e Melissa in uno dei loro momenti più felici (fonte)
Le quasi due ore di narrazione non si fanno quasi sentire, per il continuo saliscendi di situazioni felici, sofferte, poi di nuovo gioiose, quindi ancora virate sul dramma, fino a un’accettazione rasserenata. In questo aiuta la fotografia: luminosa e solare nella prima parte, livida e fredda nella seconda, ma sul finale torna a essere vivace.
Gli attori risultano pienamente inseriti nei loro ruoli. Brilla in particolare Britt Robertson, che trasmette tutta la voglia di vivere del suo personaggio, ma anche la sorgente di questa energia. Degno di nota è anche Gary Sinise, che interpreta Tom, padre di Jeremy, figura apparentemente marginale, ma che riesce a sbloccare il figlio durante la sua crisi peggiore.

 

Considerazioni di fede


"Una lacrima strappa storie"? In parte sì,  però... (fonte)
Come però ha fatto notare il sacerdote che introduceva la serata all’oratorio, non si trattava semplicemente di un film per giovani con una malattia al centro: il vero Jeremy Camp, infatti, è un cantautore cristiano, anche se non cattolico (per questo ho messo l’etichetta “Ecumenismo” a questa recensione). La sua canzone più famosa è I still believe, che da anche il titolo originale sia al film, sia al libro, edito in italiano da Rizzoli, da cui esso è tratto.
Tuttavia, la società produttrice (non Kingdom, che è stata fondata dai fratelli Erwin stessi, ma Lionsgate) ha riadattato il film per venderlo meglio, eliminando praticamente ogni riferimento alla fede cristiana. Qualche critico ha pensato che sia avvenuto perché i film cristiani, da noi, hanno ancora un pubblico limitato, nonostante alcune eccezioni, sul versante cattolico europeo, come GPG Film, Infinito +1 e Contracorriente Producciones.

A dire il vero, non è la prima volta che la nostra TV generalista trasmette in prima serata prodotti simili: almeno due volte è stato proposto Miracoli dal Cielo, mentre poco meno di un mese fa è andato in onda Correre per ricominciare; in entrambi i casi, però, l’aspetto credente non era taciuto.

Per quanto riguarda il film di cui sto parlando, l’adattamento è avvenuto a partire dai dialoghi: ogni volta che i personaggi parlano di “destino”, in realtà, si riferiscono a Dio. L’università che frequentano, poi, è di matrice cristiana, il Calvary Chapel Bible College.

Non sempre, però, l’operazione (che non mi sento di chiamare censoria) è riuscita. In una scena, infatti, si vede benissimo che sulla porta di Melissa e della sua compagna distanza compare una lavagnetta con una citazione biblica. Avviene lo stesso in uno dei corridoi della struttura scolastica.

Il primo appuntamento (fonte)
Alla tematica credente si aggancia un motivo ricorrente in tutto il film. Melissa è appassionata di astronomia, come si vede nella scena del primo appuntamento con Jeremy, dove hanno una conversazione sul senso della vita. Lei si sente una stella in una galassia infinita, ma lui le fa presente che alcune splendono più di altre.
Ci sono stelle anche nella proposta di matrimonio, sia scenograficamente, sia nel nuovo scambio di battute: Melissa completa la frase del suo amato ricordandogli che le stelle più splendenti, in realtà, sono quelle dalla vita più breve. 
Infine, compaiono anche sul giubbotto di un personaggio di cui taccio per evitare anticipazioni (ammesso che non abbiate letto altre recensioni): costituiranno un segnale per l’inizio di una nuova vita.

Personalmente, mi sono trovata coinvolta nel tema fondamentale di questa storia, che non è l'amore e men che meno la musica, quanto il bisogno di raccontare esperienze che cambiano la vita. 

Molto spesso, infatti, mi sono chiesta se mi convenga raccontare vicende che mi paiono esemplari, ma che potrebbero nascondere aspetti di cui non sono immediatamente a conoscenza, oppure virare verso atteggiamenti incoerenti rispetto a scelte proclamate con entusiasmo.

Dopo aver visto questo film, mi sono convinta che non devo aver paura di prendere cantonate: se quella storia mi ha lasciato un insegnamento e mi ha portata a essere una credente migliore, non posso fare a meno di raccontarla a mia volta.

Del resto (fin qui avevo cercato di non rovinare le svolte della trama, ma a questo punto non posso più evitarlo), anche Jeremy, quando legge il testamento spirituale di sua moglie, si convince a raccontare di lei tramite la musica, dopo essere colpito da una sua frase (in originale, lei si riferisce non tanto alla situazione in cui è, bensì alla propria storia):

«Continuo a pensare che se la vita di una sola persona cambierà grazie a quello che sto attraversando, ne sarà valsa la pena!».

Per certi versi, la storia tra Jeremy e Melissa mi ha ricordato quella tra Guido Boffi e la Serva di Dio Laura Vincenzi. Anche in questo caso, infatti, lui ha sentito il dovere di rendere pubbliche le lettere che lei gli aveva inviato, trasudanti fede e voglia di vivere insieme. Ora, a distanza di anni e con una sposa diversa accanto a sé, non rinnega il proprio passato e continua a narrare quel che di Dio ha compreso tramite la sua antica amata.

 

Consigliato a...

 

Sicuramente, lo consiglierei a un pubblico di giovani e di adolescenti dai sedici anni in su e, tutto sommato, pure nei corsi di preparazione al matrimonio. Va benissimo anche per le famiglie e per chi ama munirsi di fazzoletti, e allo stesso tempo riflettere, di fronte a un prodotto cinematografico.

Lo scorso anno era stato inserito nella proposta per la Settimana dell’Educazione 2021 della Fondazione Oratori Milanesi (mi sa che c’era lo zampino del sacerdote che ha proposto questo film nel suo oratorio), facendolo corrispondere alla tematica della preghiera e a una frase del Beato Carlo Acutis: «Trova Dio e troverai il senso della tua vita». In effetti, i protagonisti sembrano proprio aver trovato l’Uno e l’altro.

 

Valutazione finale



Il comparto tecnico è professionale, gli attori fanno bene il loro mestiere, ma non sento di poter dare di più per la questione dell’adattamento diversificato.



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