Fabrizio Boero: uno di noi, ma con una marcia in più
La
fotografia scelta per i santini di Fabrizio
è la stessa che era presente sulla sua carta d’identità
(fonte)
Chi è?
Fabrizio
Boero (al Battesimo, Fabrizio Francesco) nacque a Torino il 12 giugno
1974, secondogenito di Gianfranco (detto Franco) Boero e Gabriella Tiglio. Visse con la
famiglia a Canale d’Alba, in provincia di Cuneo e diocesi di Alba. Dai
familiari, particolarmente dalla nonna Delfina, imparò a pregare il Rosario
quand’era ancora molto piccolo.
Nella
parrocchia di San Vittore a Canale d’Alba, dov’era stato battezzato il 28
luglio 1974, ricevette anche la Prima Comunione, a otto anni, e la Cresima. A
circa undici anni venne nominato responsabile dei chierichetti da don Eligio
Mantovani, arrivato come viceparroco nel 1984. Frequentava la chiesa
parrocchiale, e spesso la chiesa delle Sacramentine di Canale, anche per
raccogliersi in preghiera silenziosa.
Quando
don Eligio propose ad alcuni dei suoi ragazzi di aderire alla Gioventù Ardente
Mariana (in sigla, GAM; in quel caso non si dice “la”, ma “il” GAM), movimento
fondato nel 1975 da don Carlo de Ambrogio (per il quale è in corso la causa di
beatificazione e canonizzazione), Fabrizio accettò con entusiasmo. Si sentiva,
infatti, di corrispondere alla spiritualità da esso proposta, basata sull’amore
all’Eucaristia, alla Madonna e al Papa, sull’ascolto e la meditazione della
Parola di Dio e sull’attenzione per la
purezza dell’anima e del corpo.
Tuttavia,
proprio per questa scelta, don Eligio fu molto contestato. Lo fu anche
Fabrizio, che divenne oggetto di offese, a volte molto pesanti. Cercava di
perdonare gli altri ragazzi che lo prendevano in giro, sperando che la sua
testimonianza, un giorno, li avrebbe convinti.
Quando il suo parroco, don Angelo Conterno, gli propose di entrare in Seminario, Fabrizio, che era studente di Ragioneria all’istituto Luigi Einaudi di Alba, chiese di poter riflettere ancora per qualche tempo, così da capire bene quale stato di vita abbracciare.
Intanto,
continuò il suo apostolato come membro dei Sabra, ovvero i giovani del GAM,
partecipando alle missioni da esso proposte, animando i Cenacoli di preghiera e
viaggiando fino a Roma, con don Eligio e un altro amico, per gli incontri di
formazione nazionali.
Il 28 novembre 1992, qualche tempo dopo aver superato gli esami per la patente di guida ma ancora privo del documento effettivo, Fabrizio ebbe un incidente stradale: si trovava ad Alba ed era alla guida dell’auto del padre, mentre riaccompagnava alcuni amici a casa dopo una festa; né lui né gli altri avevano bevuto o usato droghe.
La vettura si schiantò contro un albero: lui fu l’unico a rimanere ferito gravemente. Sottoposto a varie operazioni chirurgiche, prima all’ospedale San Lazzaro di Alba, poi al Santa Croce di Cuneo, entrò in coma vigile.
Nei
dieci mesi successivi, l’intero paese di Canale si strinse attorno ai suoi
familiari. Anche alcuni dei ragazzi che l’avevano preso in giro cominciarono a
provare rimorso, se non pentimento. Circa otto mesi dopo l’incidente, il
ragazzo fu riportato nella sua casa di Canale, dove morì il 24 settembre 1993, a diciannove anni.
La
prima sessione del processo diocesano della sua causa di beatificazione e
canonizzazione si è tenuta il 27 gennaio 2023 nel Duomo di Alba.
Cosa c’entra con
me?
La
storia di Fabrizio mi era davvero sconosciuta, fino al 4 gennaio di quest’anno.
Quel giorno mi è venuto in mente che da un po’ non guardavo il Settimanale
di Padre Pio, di cui non sono un’accanita lettrice, ma in cui spesso mi
sono imbattuta, anche nella versione online.
Ho subito trovato un’intervista che parlava di lui, che mi ha veramente incuriosita. In essa si faceva riferimento a un articolo precedente: una breve ricerca, ed eccolo sul mio schermo.
Da lì ho ricavato l’informazione per cui le
virtù di quel ragazzo erano sotto esame in un regolare processo diocesano: ne
ho trovato conferma sul sito della diocesi di Alba, trovando l’Editto e la
notizia dell’accettazione del Supplice Libello, avvenuta il 12 novembre 2022,
ovvero il primo passo per l’avvio della causa.
Tornata
sui primi articoli, ho iniziato a oscillare tra l’ammirazione e una sorta di
disgusto per come Fabrizio veniva descritto: mi appariva troppo perfetto,
troppo puro, troppo buono. Mi era accaduto quasi lo stesso quand’ero ragazza e
avevo letto una biografia di san Domenico Savio – peraltro, uno dei modelli che
lui si era scelto –, aprendo quella crisi di rigetto per gli esempi virtuosi
che mi sarebbe passata solo dopo la GMG del 2005 e le parole di papa Benedetto
XVI sui Santi.
Per
avere un quadro più completo della sua personalità, avevo solo un modo:
contattare la sua parrocchia. Ho cercato quindi i contatti della parrocchia di
San Vittore a Canale d’Alba, scoprendo che dal 2018 il parroco è quello stesso
sacerdote che, da viceparroco, aveva conosciuto Fabrizio.
Il 10
gennaio, quindi sei giorni dopo la mia prima ricerca, ho telefonato alla
segreteria parrocchiale: una gentile segretaria si è segnata i miei recapiti,
per inviarmi il materiale che mi occorreva, ovvero un libretto a cura della
postulatrice e gli immancabili santini. Nel frattempo, la mia idea di
pubblicare un suo profilo era venuta meno, dato che l’Enciclopedia dei
Santi, Beati e Testimoni aveva ripreso lo stesso articolo che avevo letto
per primo.
Mi è
arrivato tutto il 28 febbraio (ma sulla busta era indicato il 27 come data
della spedizione), proprio in un momento in cui si erano ripresentate nella mia
vita le mie antiche passioni, quelle stesse che mi portavano a Dio, ma allo
stesso tempo rischiavano di sostituirsi a Lui.
Ricordando
quel che avevo letto in Rete a riguardo di Fabrizio, mi è venuto spontaneo
chiedere al Signore la forza di rigettare dal mio essere tutto quello che
m’impedisce di vivere solo per Lui, ma anche di bilanciare gli interessi che
colorano la mia vita, come quelli per la musica, il cinema, i fumetti;
altrimenti, continuerò a risultare anormale, perfettina, a tratti
insopportabile.
Riflettendo
così, ho sistemato la busta col materiale in un angolo di casa mia,
riservandomi di prenderlo in esame a settembre, a ridosso del trentesimo
anniversario della morte di Fabrizio. Dopo i mesi estivi, ho pensato che fosse
il momento di farlo: tuttavia, la busta non era nel posto dove credevo di
averla sistemata.
Quasi
come la donna della parabola in cerca della moneta perduta, ho frugato dentro
scatoloni, ho sollevato tappeti, ho svuotato e risistemato scaffali, ma nulla.
Volevo anche passare un libretto e un santino a una dei miei più fedeli
lettori, che avrei rivisto di lì a breve, ma non riuscivano a saltare fuori.
Ho
chiesto anche aiuto a mia madre, mostrandole una foto di Fabrizio sul
telefonino. A lei sembrava di averlo visto da qualche parte, così mi ha
promesso di aiutarmi nelle ricerche. Spesso, quando tornavo a casa da qualche
commissione o dalla Messa in parrocchia, finivo col chiederle: «Mamma, hai
trovato Fabrizio?». Insomma, l’avevo così assillata da portarla a esclamare: «Fabri’,
fatti trovare, o mia figlia impazzisce!». È la tipica confidenza che la gente
di Napoli ha coi suoi Santi, ma anche con le persone che reputa sante sebbene,
per loro, manchi (per il momento, riguardo il caso in esame) il giudizio
ufficiale della Chiesa.
All’inizio
di settembre ero sul punto di contattare di nuovo la parrocchia di San Vittore
a Canale, quando mi sono ricordata che non avevo cercato proprio dappertutto:
mi mancava lo spazio sotto il mio vecchio computer di casa. È stata
un’ispirazione davvero provvidenziale: la busta coi libretti e i santini era
proprio là. Ho spedito una copia alla lettrice a cui l’avevo promessa, mentre
una l’ho messa in bella vista sulla mia scrivania, così da non dimenticarmene
di nuovo.
Dalla
lettura di quel breve opuscolo sono uscita certamente edificata dal racconto
delle virtù di Fabrizio, ma principalmente confortata dalla determinazione con
cui lui perseguiva i suoi ideali. Spero comunque, che il processo diocesano
porti nuovi racconti e documenti circa la sua esemplarità.
Qualcos’altro
è rintracciabile nei due appuntamenti che Radio Mater ha dedicato a lui, nella
rubrica Filo diretto con i nostri angeli, a cura del Gruppo GAM “Maria
Porta del Cielo”. È una trasmissione in onda ogni terzo sabato del mese, dalle
13.45 alle 15.30, in cui, inizialmente, sono stati presentati altri giovani e
ragazzi del GAM defunti, ma poi si è allargata ad altre storie di Testimoni,
quasi tutti delle stesse fasce d’età.
Non
avevo affatto idea che il conduttore principale fosse proprio don Eligio
Mantovani: me ne sono accorta solo ascoltando la prima trasmissione, che risale
al 25 novembre 2018, cioè poco dopo i venticinque anni dalla morte di Fabrizio.
In questa circostanza sono stati ospiti sua madre e alcuni amici e amiche.
La
seconda trasmissione è invece del 25 febbraio 2023, a ridosso dell’inizio del processo
diocesano. La maggior parte è occupata dall’intervento della dottoressa Lia
Lafronte, ovvero la postulatrice di Fabrizio.
Il modo in cui si è trovata a occuparsi di lui è strettamente legato a un’altra trasmissione alla radio, sui Servi di Dio Giovanni Gheddo e Rosetta Franzi, sempre condotta da don Eligio: ancora una volta, mi sembrava un caso di persone giuste messe al posto giusto affinché una storia, santa nel cuore di pochi, diventasse patrimonio di tanti.
Il suo Vangelo
La
testimonianza di Fabrizio è meno respingente di quel che potessi pensare
all’inizio e in modo superficiale. Con un paragone che forse può sembrare
azzardato, è come il cioccolatino il cui nome è simile al suo cognome: come
esso, sotto un guscio di cioccolato fondente, nasconde una ciliegia sotto
spirito, così anche lui, apparentemente timido, manifestava in un secondo
momento l’ardore per Dio e una dolcezza sorprendente.
Anche
lui aveva i suoi interessi e passatempi, forse un po’ lontani da quelli di un
ragazzo di oggi, ma sapeva come riuscire a non disperdersi in mezzo a essi,
anzi, a concentrarsi e a dirigerli verso il bene. Un caso su tutti: era molto
abile nel disegno, ma accanto alle automobili riproduceva copie di opere
d’arte, come la Madonnina del Ferruzzi.
Anche
la sua attenzione per la purezza può essere riletta non solo in chiave
corporea, o nella fuga da ogni occasione di peccato, ma anche come libertà da
ogni condizionamento, nonché impegno ad avere una vita semplice e semplificata,
capace di affrontare i problemi della vita con la certezza della vicinanza di
Dio.
Di
problemi, a ben vedere, Fabrizio ne aveva: su tutti, quello di essere oggetto
di prese in giro molto pesanti perché era un ragazzo credente, che frequentava
la parrocchia ed era membro di un movimento ecclesiale; come diremmo noi
milanesi, appariva un “paolotto da oratorio”. Forse ne soffriva, ma è molto
sicuro che si facesse forza ripensando all’esempio di Gesù.
Mi
sembra che questo emerga con chiarezza da una sua meditazione sulla quarta
stazione della Via Crucis:
Gesù è appunto segno di
contraddizione: o siamo con lui, o siamo contro di lui. Non possiamo essere
cristiani tiepidi che pregano solo quando hanno bisogno di aiuto perché non
sanno più a chi rivolgersi e lo hanno messo all’ultimo posto dei propri
pensieri. L’essere cristiani impegnati vuol dire invece affidarci totalmente a
lui, consci della nostra nullità affinché faccia di noi secondo i suoi disegni,
affinché riusciamo a vederlo in chi ci è vicino, in chi soffre, in chi ha
bisogno di speranza.
Questa
domenica, nella mia diocesi, ricorre la festa di apertura degli oratori. Se gli
educatori continueranno a proporre ai loro ragazzi mete alte, esperienze che
lasciano il segno, incontri personali col Signore, non mancheranno anche dalle
nostre parti ragazzi come Fabrizio, anzi, forse ci sono già.
Per saperne di più
Associazione
Amici di Fabrizio Boero (a cura della postulatrice Lia Lafronte), Servo di
Dio Fabrizio Boero (1974 – 1993), Il “giglio” di Canale d’Alba, 2023.
Un
piccolo libro con i dati essenziali della sua vita; si può richiedere alla
parrocchia di San Vittore a Canale d’Alba o scaricare da qui.
Su Internet
Sito ufficiale della sua causa (www.fabrizioboero.it)
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